Akira Kurosawa: il più occidentale dei cineasti orientali
di Fabrizio Melodia
Buon compleanno, Akira Kurosawa. Nato a Tokyo il 23 marzo 1910 fu artista eclettico che ha da sempre cercato di costruire un ponte fra Oriente e Occidente, mondi solo all’apparenza separati. Ancora adesso è un modello per molti registi e sceneggiatori. Un artista che ha sempre cercato di ottenere nelle sue opere un equilibrio fra contenuto e forma, spesso riuscendoci. Ha vinto molti premi nella sua cinquantennale carriera: fra gli altri il Leone d’ Oro alla mostra del Cinema di Venezia nel 1951 con lo “scandaloso” – per l’epoca ma anche i pregiudizi verso un cinema fino ad allora considerato munore – «Rashomon». Poi anche un Leone d’Oro alla Carriera sempre alla Mostra del Cinema di Venezia (nel 1982) e l’ Oscar alla Carriera nel 1990.
Su di lui sono stati spesi fiumi d’inchiostro. Persino George Lucas – “papà” d’Indiana Jones ma sopratutto di «Star Wars» – ha dichiarato (con dimostrazione pratica) di essersi ispirato a lui per le sue avventure fantascientifiche, fatte di rocambolesche battaglie e samurai armati di spade laser in lotta contro tirannici imperatori e cavalieri neri con alto grado di nobiltà. Ispirati… in tanti compresi certi furti messi in atto da Hollywood come dal primo Sergio Leone.
Ultimo di otto fratelli, Akira Kurosawa trovò nel padre Isamu, insegnante di arti marziali e primo laureato all’ Accademia Imperiale di Tokyo, un forte stimolo fin dall’infanzia. Quando aveva 6 sei anni, suo padre lo portava a teatro, gli faceva vedere i film muti, anche quelli occidentali.
Diventò presto abile nel kendo, la scherma orientale, si appassionò al disegno, coltivandolo per molti anni. Con il fratello Heigo, di quattro anni più vecchio, si appassionò alla letteratura, classici giapponesi ma anche occidentali. Il fratello trovò lavoro come “benshi”, ovvero voce narrante nei film muti, così il piccolo Akira si formò una cultura davvero vasta grazie a quel che il fratello gli faceva vedere. L’avvento del sonoro portò una forte crisi nel settore dei “benshi”: Heigo si suicidò ad appena 24 anni.
Akira Kurosawa crescendo comprese che non avrebbe trovato lavoro come pittore; venne a conoscenza che lo studio cinematografico Photo Chemical Laboratories (che sarebbe poi diventato lo Studio Toho, uno dei più importanti in Giappone) assumeva aiuto registi. Fece una sorta di esame e fu assunto. Lavorò come assistente per numerosi registi ma il più importante fu di sicuro Kajiro Yamamoto, che gli fece da mentore. Akira lo aiutò per 17 film e fece carriera, diventando direttore dei cameraman.
E fu Yamamoto, individuandone le potenzialità, a insegnargli il mestiere, in primo luogo che un buon regista deve padroneggiare appieno la sceneggiatura. Così Kurosawa iniziò e avrebbe poi scritto la sceneggiatura di quasi tutti i suoi film mentre forniva “copioni” anche ad altri cineasti.
Tanti i suoi film, molti considerati capolavori. Vorrei ricordarne qui cinque, i miei preferiti. Lungi dall’essere esaustivo, invito i lettori a segnalare nei commenti le loro scelte e, perchè no, anche i film “odiati” (ce ne sono?) del regista, un modo controcorrente per rendergli omaggio.
Inizio il mio breve excursus “del cuore” con «Rashomon» (1951), considerato una pietra miliare della storia del cinema. C’è davvero un prima e dopo «Rashomon» perchè il film era forte di un montaggio, di una fotografia, di un sonoro e di una sceneggiatura (per tacere della strepitosa interpretazione di Toshiro Mifune) che hanno fatto scuola fino ai giorni nostri. Scava nella ricerca della verità e del suo significato, raccontando con una struttura a scatole cinesi che si intersecano confondendo sempre più le acque e rendendo impossibile definire cosa sia vero e cosa falso. Qualcuno lo mette in riferimento a Luigi Pirandello – in testa «Così è (se vi pare)» – per l’inconoscibilità del reale: sì ma anche no. Guardate e giudicate.
Nel film «Vivere» (1952) troviamo il signor Watanabe, dipendente comunale, interpretato dal talentuoso Takashi Shimura, che scopre di avere pochi mesi di vita. Andando indietro con i ricordi e analizzando con piglio duro la sua vita passata, scopre di aver avuto un vuoto che lo ha portato a rinnegare la vita. Come in una vera e propria epifania, decide di fare tutto ciò che nella vita non ha mai avuto il coraggio di scegliere, per prima cosa approvando il progetto di un nuovo parco giochi. A tratti feroce satira con un filo di dramma che lascia brividi lungo la schiena, il film si dipana con calma e naturalezza, senza mai calcare la mano, con una struttura che ha fatto storia. Anche qui c’è chi rimanda a Pirandello – in questo caso per «L’uomo dal fiore in bocca» – ma io ripeto: sì e no, ci sono somiglianze ma anche grandi diversità. Il “Time” lo ha incluso nei 100 migliori film di sempre.
Continuo con una pietra miliare, forse il mio preferito di Kurosawa, «I sette samurai» (1954): un colpo di maestria in cui sceneggiatura, recitazione, messa in scena e regia risultano perfettamente bilanciate. La pellicola, ambientata nell’Era Sengoku, narra di un villaggio dove i contadini assumono Rōnin (samurai se preferite) per difendersi dai ciclici saccheggi di un gruppo di briganti. Dagli splendidi combattimenti fino alle scene più leggere, c’è sempre un’estrema attenzione nel tratteggiare i personaggi: dal reduce disincantato Kambei (interpretato da Takashi Shimura), all’algido spadaccino che ricerca nella perfezione il senso stesso della sua vita, al reietto Kikuchiyo (Toshiro Mifune). Sceneggiatura e montaggio tratteggiano con precisione storica e cipiglio epico la povera vita dei contadini del tempo. Proprio con il rigore di uno storico Kurosawa cercò documenti originali dell’era Sengoku, trovando la notizia di un povero villaggio contadino che assoldò i ronin. Qualcuno parlò di uno sguardo “comunista”.
Un altro gioiello è «I bassifondi» (1957) dove Kurosawa mostra tutto il suo amore per la drammaturgia russa e in particolare per Maksim Gor’kij. Film ultradrammatico, interpretato dal sempre più bravo Toshiro Mifune, ci porta nella periferia più malfamata, in una discarica dove vivono gli sbandati passando il tempo a bere e a giocare d’azzardo, sognando un giorno di fuggire da quella vita putrida. Grazie ad alcuni sapienti accorgimenti tecnici, l’ostello degli indigenti acquista forza e dinamicità narrativa, diventando il terzo protagonista della pellicola in cui si riflette sulla condizione umana, fra ambizioni, frustrazioni ed estrema povertà. Mentre in «Vivere» la luce in fondo al tunnel arriva, in quest’opera la salvezza rimane irraggiungibile.
Concludo con il film che viene comunemente considerato il testamento spirituale del Maestro, ovvero «Sogni» (1990). Strutturato a episodi, l’ormai anziano Kurosawa dipinge un lascito per le nuove generazioni, con la tematica ambientalista e quella spirituale a dominare. Attraverso vere e proprie “visioni” ecco il lento ma costante decadimento del mondo. Orge infernali e soldati perduti; eruzioni vulcaniche con sopra centrali nucleari; “cadute” ed escursioni nei quadri di Van Gogh; o matrimoni fra i demoni-volpi della tradizione nipponica… Kurosawa lancia un grido disperato all’uomo moderno, chiedendo a gran voce una ricerca di equilibrio.
E voi, quali sono i film preferiti di Kurosawa?
MA COSA SONO LE «SCOR-DATE»? NOTA PER CHI CAPITASSE QUI SOLTANTO ADESSO.
Per «scor-data» qui in “bottega” si intende il rimando a una persona o a un evento che il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna deformano, rammentano “a rovescio” o cancellano; a volte i temi possono essere più leggeri ché ogni tanto sorridere non fa male, anzi. Ovviamente assai diversi gli stili e le scelte per raccontare; a volte post brevi e magari solo un titolo, una citazione, una foto, un disegno. Comunque un gran lavoro. E si può fare meglio, specie se il nostro “collettivo di lavoro” si allargherà. Vi sentite chiamate/i “in causa”? Proprio così, questo è un bando di arruolamento nel nostro disarmato esercituccio. Grazie in anticipo a chi collaborerà, commenterà, linkerà, correggerà i nostri errori sempre possibili, segnalerà qualcun/qualcosa … o anche solo ci leggerà.
Solo 5? Mannaggia. Io li ho visti tutti (o quasi) i film di 黒澤 明 che per comodità chiamiamo Akira Kurosawa; non saprei come fare a ridurli su una sola mano. Però se mi costringete a giocare “una mano” (insomma a fare una lista) chiederei due dita supplementari, in modo da aggiungere a quelli di Fabrizio: «Dersu Uzala – Il piccolo uomo delle grandi pianure» e «Ran»… però solo se potete vederli su grande schermo (altrimenti le immagini si strozzano). Mumble-mumble. Se avessi 7 dita perchè non aggiungerne due? Così potrei raccomandarvi «Dodes’ka-den» (pochissimo conosciuto da noi) e «Kagemusha – L’ombra del guerriero». Ma scusate: perchè solo 9 dita e non 11? Va bene, mi fermo… Stretta la foglia e larga la via dite la vostra e sia maledetta la Cia.
Notifico con dispiacere la chiusura della sala cinematografica d’essai di Silvano Agosti – Cinema Azzurro, Come può essere che questo livello di cultura non riesca ad essere sostenuto dalle istituzioni?
Che brutto paese che siamo.