Albertini, Barbujanni, Coronati, Turrini con…

il duo Di Clemente-Capocasa più due libri di Autori Vari

7 recensioni di Valerio Calzolaio

Marzia Coronati

«Spiriti liberi. Quattro fedeli dalla vita spericolata»

illustrazioni di Vittorio Giacopini, presentazione di Claudio Paravati, prefazione di Goffredo Fofi

Com Nuovi Tempi editrice

80 pagine, 12 euro

Italia. Tra il XIX e il XX secolo. La giornalista Marzia Coronati racconta quattro “Spiriti liberi”: un teologo marxista, un’avvocata valdese, un pastore pacifista e un chimico partigiano. Giovanni Franzoni (Varna, Bulgaria, 1928 – Canneto Sabino, 2017), Lidia Pöet (Perrero, 1855 – Diano Marina, 1949), Tullio Vinay (La Spezia, 1909 – Roma, 1996) e Mario Alberto Rollier (Milano, 1909 – Marsiglia, Francia, 1980) furono personalità eclettiche e diverse, accomunate da sincera fede, ostinata caparbietà e sicura consapevolezza di vivere con e per la comunità, al fianco dei deboli e delle minoranze. Il testo nasce da biografie audio (podcast) messe in onda a maggio 2021, trasferite in cartaceo e impreziosite da illustrazioni. Ognuno dei quattro esemplari “buoni” viene narrato a partire da una data illuminante: Franzoni al convegno di Nusco nell’agosto 1974, Pöet all’Università di Torino nel 1880, Vinay all’aeroporto di Saigon in Vietnam nel 1973, Rollier in Val D’Angrogna nell’autunno 1943.

 

Giuseppe Di Clemente e Marco Capocasa

«Elbrus»

Armando Curcio editore

314 pagine, 16 euro

Tallinin. A. D. 2155. Andrus Sokolov è sul cornicione di un tetto, confuso, in procinto di buttarsi. Viene colpito da un proiettile sedante, cade ma è salvato da un campo magnetico e ricoverato nel reparto neuropsichiatrico. Prima di perdere l’equilibrio mormora “La Dama l’ha detto al viaggiatore” e la frase ascoltata nel notiziario sconvolge l’affabile timido Lubomir Karu che lavora per Drama, software house che produce videogiochi in Realtà Virtuale. La Dama fa parte anche dei suoi sogni. Il mondo è diverso, la temperatura media è aumentata di sei gradi Celsius in 150 anni, si sopravvive a stento al nord, l’intelligenza artificiale controlla molto. “Elbrus” è il primo bel romanzo avventuroso di scientifica distopia di Giuseppe Di Clemente (Roma, 1976), scrittore economista astronomo, e Marco Capocasa (Roma, 1974), antropologo molecolare, narrato in terza, ottimamente incentrato sui nessi cambiamenti climatici – migrazioni, oltre che sui progressi della genetica e della genomica umana.

 

Autori Vari (a cura di Cristina Cenci e Daniela Bracco)

«Giuro di non dimenticare. Storie di medici ai tempi del Covid»

Cimo Lab (Roma)

146 pagine, 8 euro

Regioni italiane. 2020. CIMO è un sindacato che rappresenta una parte dei medici, veterinari e odontoiatri, in servizio e in quiescenza, qualunque sia la natura del rapporto e il datore di lavoro a vantaggio del quale svolgono attività professionale. LAB è il relativo laboratorio di idee e iniziative di supporto creativo, che ha avuto la recente bella idea di realizzare una raccolta di toccanti testimonianze un po’ da tutte le regioni italiane sul vissuto medico durante la prima e la seconda ondata della pandemia: “Giuro di non dimenticare”, appunto! Il punto comune di partenza è il Giuramento attribuito a Ippocrate circa 460 anni avanti Cristo; direttamente dagli ospedali seguono riflessioni di ventotto donne e uomini su singoli stati d’animo, emozioni, dialoghi, che mostrano alcuni casi e l’evoluzione della malattia e meritano di essere conosciuti e comparati: sapiens fragili e coraggiosi, talora eroici senza essere eroi, amanti del proprio lavoro a tutela della cura di cittadini e pazienti.

 

Andrea Albertini

«Una famiglia straordinaria»

Sellerio

462 pagine, 16 euro

Angoli e metropoli europee. Prima metà del Novecento. A fine ottobre 1905 Tatiana Lvovna Suchotin Tolstoj raggiunse i genitori nella tenuta di Jasnaja Poljana, aveva 41 anni ed era incinta di Tania (1905-1996), futura moglie del primogenito dell’anconetano direttore del CorSera Luigi Albertini (1871-1941), ostile al fascismo, marito della seconda delle tre figlie del drammaturgo piemontese Giuseppe Pin Giacosa (1847-1906), librettista di Tosca e Bohème (due fratelli Albertini sposarono due sorelle Giacosa). Andrea Albertini (Roma, 1960) è un discendente ed esordisce nella narrativa con tante affascinanti biografie parallele in “Una famiglia straordinaria”, spaccato di storia e cultura: le esistenze separate e incrociate degli avi, personalità significative dei secoli scorsi come Lev Tolstoj (1828-1910) all’interno di guerre rivoluzioni esili, e la vicenda italiana durante il regime. L’efficace narrazione è in terza sui vari protagonisti delle fasi esistenziali e dei contesti sociali.

 

AAVV – a cura di Francesco C. Billari e Cecilia Tomassini

«Rapporto sulla popolazione. L’Italia e le sfide della demografia»

Il Mulino

262 pagine, 18 euro

Italiani. 2000-2020. La demografia italiana degli ultimi decenni è estrema, eccezionale per tutte le varie dimensioni cruciali e strutturali nella dinamica della popolazione: l’allungata durata della vita, la composizione molto invecchiata, la fecondità bassa, l’estesa transizione dei giovani allo stato adulto, i forti legami familiari, la veloce crescita numerica degli stranieri, la forte diversità delle tendenze a livello locale. Come è noto, le variazioni della popolazione residente, nel suo ammontare complessivo, tra un capodanno e quello successivo, dipendono dal valore di quattro tipi di “flussi” entro l’anno: nati, morti, immigrati (“iscritti all’estero”), emigrati (“cancellati per l’estero”). I dati vanno poi correlati, in particolare attraverso due saldi: il “saldo naturale” è la differenza tra nascite e morti: il “saldo migratorio” è la differenza tra immigrati e emigrati. Le pochissime nascite sono la componente più “eccezionale” dell’ultimo ventennio a livello comparato, accompagnata da tre tendenze: l’età elevata delle madri, il Nord più fecondo del Sud, la quota ampia di bimbi con entrambi i genitori stranieri. Il numero delle morti cresce ovviamente perché aumenta sempre più il peso relativo della popolazione anziana. Nei vent’anni analizzati, comunque, il saldo naturale è rimasto costantemente negativo (fatto salvo il 2004 e il 2006) e ha raggiunto i livelli più elevati in valore assoluto nel 2019 (meno 214.000) e nel 2020 (meno 342.000). Fate voi. La crescita della popolazione fino al picco storico del 2015 (60.800.000 italiani) è stata sostenuta solo dall’incremento dell’immigrazione, per quanto istituzionalmente resa sempre più difficile negli ultimi anni, con una piccolissima quota in condizioni di irregolarità (meno del dieci per cento della popolazione straniera residente). All’1.1.2021 siamo 59.257.566.

Il Consiglio Scientifico dell’Associazione Italiana per gli Studi della Popolazione ha promosso un ottimo articolato rapporto per documentare le tendenze demografiche del nostro paese nei primi vent’anni del terzo millennio. Il volume è stato curato e introdotto da due ordinari della disciplina, Francesco C. Billari (alla Bocconi di Milano) e Cecilia Tomassini (all’Università del Molise). Gli otto capitoli sono opera di loro colleghi di varie altre università e dell’ISTAT, ricchi di dati grafici figure tabelle. Ecco i titoli dei quattro capitoli della prima parte sulle varie componenti sopra richiamate: la fecondità; le famiglie; migrazioni internazionali e popolazioni immigrate; sopravvivenza, mortalità, disuguaglianze e pandemia. Seguono i quattro della seconda parte, specifica sulle disuguaglianze: tra i territori; nell’istruzione secondaria e terziaria; nella transizione allo stato adulto; nella salute, soprattutto degli anziani, tra prospettive di resilienza e fragilità. Infine, i riferimenti bibliografici (purtroppo molto “chiusi”, ovvero incapaci di spaziare sulle altri discipline scientifiche che analizzano gli stessi fenomeni). Molto chiaro è che la demografia si muove lentamente, diacronicamente rispetto alla politica. L’invecchiamento della popolazione è un processo forse inarrestabile, certamente prevedibile a lungo, e l’Italia è a livelli da record. L’unico processo veloce che talora vi si associa (demograficamente) è il movimento migratorio. Nel capitolo dedicatovi viene sottolineato l’attuale lacunoso sistema di norme e politiche per cui lo Stato italiano: combina elevati livelli di severità dichiarata con una gestione inefficiente dei flussi in ingresso, lascia varie zone grigie nella tutela dei diritti fondamentali di ampie fette della popolazione di origine straniera, mette in secondo piano l’esigenza di politiche e di riforme volte a favorire l’inclusione della popolazione straniera che da anni vive stabilmente nel nostro paese tra cui, in primo luogo, la riforma della normativa per l’acquisizione della cittadinanza. Ci servono più immigrati regolari e ci servono italiani più uguali. Appunto.

 

Guido Barbujani

«Europei senza se e senza ma. Storie di neandertaliani e di immigrati»

Bompiani Giunti

(prima edizione 2008)

318 pagine, 13 euro

Europa. Da milioni di anni. Le prime impronte di forme umane fuori dall’Africa risalgono a quasi due milioni di anni fa, da almeno un milione Homo heidelbergensis cammina anche in Asia e in Europa, da oltre 300 mila anni in Europa sopravvivono e si riproducono anche i Neandertal, i Sapiens da quasi 50 mila anni. Nessuno può dire con sicurezza cosa sia successo nel periodo in cui si dividevano lo stesso continente quelle due specie umane (accanto ad altre), i Neandertal e i nostri antenati (di entrambe vi è da allora traccia nel genoma dei residenti europei), a volte così vicini da potersi guardare da versanti opposti di una valle. Circa 40 mila anni fa siamo rimasti soli. Nella migliore delle ipotesi gli “altri” si sono estinti non per volontaria causa nostra, nella peggiore li abbiamo spinti noi a estinguersi (più o meno direttamente). A quel tempo gli immigrati eravamo tutti noi, gli europei di una volta oggi non ci sono più. Prima e dopo di noi il clima è cambiato più e più volte nel continente a nord del Mediterraneo. I Neandertal, per esempio, hanno attraversato due grandi ere glaciali, Riss e Würm: seppero abituarsi a stare al ghiacciato, all’arso e in cangianti situazioni differenti. Vale davvero la pena di conoscerli più da vicino, non così diversi da noi, all’aperto e a tavola, con le loro tecnologie musiche parole bigiotterie cosmesi. Un certo strabismo è opportuno, si può e si deve apprezzare la loro unicità, tanto più che nelle nostre cellule sapiens abbiamo scoperto tracce leggibili delle migrazioni e delle genealogie delle specie precedenti e, soprattutto, noi europei (tutti neri fino a circa 10 mila anni fa) di quelle neandertal. Da qualunque fattore dipenda la nostra facoltà del linguaggio, questo fattore si è evoluto in qualche antenato comune. Se l’uomo è animale parlante, i neandertaliani non erano meno uomini di noi.

Il grande scienziato genetista Guido Barbujani (Adria, Rovigo, 1955) ha insegnato a New York e Londra, a Padova e Bologna, ora a Ferrara; da 45 anni studia e lavora pure sperimentalmente sul DNA; con chiarezza e completezza prova a tradurre la genetica delle popolazioni europee per noi principianti concittadini. Il volume uscì con successo 13 anni fa e viene ripubblicato ora in edizione economica; il fatto è che non è bastato dargli una sistemata; sono cambiati sia i dati scientifici che il contesto europeo (da ultimo con la Brexit); l’autore ha finito per aggiornarlo in larga parte e proprio per riscriverne tre quarti. La struttura è restata la stessa, ma datazioni teorie ipotesi citazioni esempi approfondimenti hanno dovuto tener conto dell’accelerata evoluzione degli studi. La sostanza viene ampiamente confermata: da milioni di anni siamo in continuo spostamento di qua e di là; è essenziale continuare a ricostruire queste migrazioni e i fenomeni per cui certe popolazioni si sono fuse con altre; nessun popolo ha mai avuto radici pure e univoche; i “veri” europei ci sono forse stati ed erano i neandertaliani, estintisi in seguito a un fenomeno migratorio (sapiens) dall’Africa; non c’è più, da nessuna parte da millenni (e anche qui ora), qualcuno che si possa chiamare veramente europeo, senza se e senza ma. Mancano purtroppo ancora una riflessione collettiva e una discussione teorica multidisciplinare sul significato antico e moderno del migrare (assente anche nel piccolo glossario finale), sui differenti concetti storici e geografici di emigrazione e immigrazione (più usato il secondo per motivi contingenti, per quanto condivisibili), sui gradi animali e specificamente umani di necessità e libertà nel cambiare stabilmente (o stagionalmente) residenza in relazione alle altre specie e agli ecosistemi (mutevoli climaticamente).

 

Leo Turrini

«Panini. Storia di una famiglia e di tante figurine»

prefazione di Walter Veltroni, postfazione di Giovanni Malagò

Minerva edizioni

320 pagine, 18 euro

Pozza (Maranello) e Modena (capoluogo). 1897-2018, dalla nascita del futuro padre alla scomparsa dell’ultima dei figli e delle figlie. Il capostipite Antonio Tonino Panini conobbe solo una delle decine dei nipoti e non seppe mai delle figurine create dai figli. Morì di cancro a soli 44 anni. Era stato una personalità vitale. Apparteneva a una famiglia di contadini meccanici della piccola frazione Pozza, un popolano con il guizzo della creatività, non certo lettore ma attivo affabulatore. S’innamorò di Olga Cuoghi, tre anni più piccola, figlia di un casaro, gentile e ben educata, intellettualmente molto curiosa. Si sposarono e, fra il 1921 e il 1931, nacquero quattro bambine e quattro bambini (persero due delle dieci gravidanze), nella radicata convinzione che ogni erede è certo una bocca in più da sfamare ma anche due braccia in più per lavorare: la maggiore Veronica (1921), poi Maria Luisa, Giuseppe, Edda, Norma, Benito, Umberto, il minore Franco Cosimo (1931), dopo il quale (nel 1932) decisero di trasferirsi in città a Modena. Antonio era stato assunto alla rinomata potente Accademia Militare, aveva il brevetto per conduttore di caldaie a vapore, lavorava con soddisfazione e apprezzamento come addetto al riscaldamento. Olga si occupava della casa e della prole, attenta a che studiassero, capace lei di declamare poesie e scrivere niente male. I primi anni di guerra coincisero con l’arrivo della malattia di Antonio: morì il 9 novembre 1941. Proprio quel giorno Giuseppe, il maschio più grande, aveva preso il primo stipendio in un’officina, i soldi servirono al funerale. La famiglia cercò di reagire al dolore e alla miseria. L’Accademia offrì alla vedova un lavoro da sarta, figli e figlie s’industriarono: nel 1944 Olga propose di provare a gestire l’edicola sulla piazza principale in Corso Duomo, il 6 gennaio 1945 iniziarono, poi ebbero l’idea delle buste, dei francobolli e delle figurine. Geniali.

Il giornalista e scrittore Leo Turrini (Sassuolo, 1960) scrive da sempre con competenza e passione di tanti sport; qui narra uomini e donne che furono decisivi nell’evoluzione del tifo calcistico per le squadre e per i calciatori. Spiega che a suggerirgli l’idea del libro fu il primus inter pares della F.lli Panini, Giuseppe (1925-1996), già nel 1993, impegnandosi a guidarlo nel labirinto dei ricordi e delle immagini. Morì pochi anni dopo e il progetto rimase nel cassetto per un quarto di secolo, finché non fu ripreso su spinta dell’amico e coetaneo Antonio Tonino junior, secondo dei quattro figli di Giuseppe. Il bel testo travalica i generi, ha documentate tracce biografiche, molto basate su conversazioni e testimonianze personali; spiega aspetti dell’imprenditoria privata tanto quanto del mondo sportivo; mostra lo storico profondo legame familiare, anche e soprattutto attraverso i tragitti autonomi e i legami acquisiti di ciascuno; garantisce uno splendido meditato ricco apparato fotografico, legato sia a quello specifico secolare ecosistema umano del modenese che all’immaginario pubblico e sociale contemporaneo costruito dal successo degli album e delle figurine. Si legge con gusto e curiosità. Sono complessivamente oltre 25 capitoli che nella prima parte trattano padre, moglie e poi vedova, ciascuno degli otto figli e figlie nati a Pozza, vedendone gli intrecci ma anche le autonomie (Umberto che se ne andò in Venezuela, Edda che seguì Loreno a Maddaloni, i parenti via via acquisiti); nella seconda parte seguono la nascita del mito a Modena e in Italia, con il primo album in occasione del campionato di calcio 1961-62 e la progressiva riunificazione di tutti i fratelli e le sorelle nell’impresa, intorno a Giuseppe e, ovviamente, alla madre Olga (scomparsa nel 1987). Fatti, aneddoti, specialità, come la pallavolo o le fisarmoniche di Giuseppe (quelle ora a Castelfidardo). L’epopea familiare arriva al 1998 quando fu firmato l’accordo per la cessione della Panini a Robert Maxwell, brevi gli aggiornamenti successivi, Modena mantiene il cuore della memoria, il brand resta consegnato a un’ubiqua immortalità.

 

Redazione
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