Alberto, Angelo, Antonietta e Lorenzo

a 40 anni dalla morte: due appuntamenti e una ricostruzione storica

Domenica 7 e giovedì 11 aprile due iniziative pubbliche a Schio e Thiene a 40 anni dall’aprile del 1979.

Sono passati 40 anni da quell’eccezionale periodo degli anni 70 carico di movimento e di organizzazione, capace di innalzare il sogno di liberazione di un’intera generazione.
Anni in cui il cuore e l’intelligenza delle persone si sono “buttati oltre l’ostacolo”, osando giorno dopo giorno un cammino su quella strada che aveva come meta la costruzione di una società libera ed equa.
Sulla stessa strada molti hanno praticato forme di organizzazione che davano il senso vero e reale ai comportamenti e alle scelte di quotidianità.

Scelte che implicavano una militanza quotidiana senza interruzione. Scelte che hanno riempito le piazze di giovani che rivendicavano un futuro libero dall’alienazione del lavoro salariato, di donne che reclamavano il loro ruolo e la loro autodeterminazione, di lavoratori che esigevano salute e diritti in fabbrica, come anche di cittadini che si battevano per il diritto alla casa e a una vita migliore. Scelte che a vari livelli hanno determinato pratiche oltre il confine della legalità giuridica, con l’uso della forza a livello collettivo sul piano della ricomposizione cosiddetta di massa e anche a livello di organizzazioni in autonomia del politico.

Nel nostro territorio, l’Altovicentino, quel periodo è stato segnato da molti episodi da parte di gruppi collettivi.
Le occupazioni delle case, le lotte per i trasporti, contro il carovita, per il salario e contro lo straordinario sono solo alcuni esempi dei tanti momenti di scontro dove anche la forza era la risposta all’esasperazione della qualità della vita che quella generazione stava vivendo.

Quegli anni sono stati anche gli anni tragici di Thiene dove i quattro compagni Alberto, Angelo, Antonietta e successivamente Lorenzo da detenuto, hanno perso la vita nel predisporre un’azione di forza contro la repressione di quel periodo che ha visto incarcerare centinaia di compagne e compagni che ogni giorno difendevano il diritto a una vita dignitosa.

Le loro figure e la loro intimità sono state più volte oggetto di scritti e denigrazione. La chiave di lettura è stata la forzata attribuzione della qualifica di terrorismo a tutto ciò che in quel periodo sapeva di organizzazione in antitesi con la concezione del modello di società imperante. Nessuna sottolineatura sul fatto che tutto quello che stava succedendo non era lo sfizio di una generazione, ma un forte grido di rivolta alle condizioni di povertà sociale, culturale e umana che lo stato proponeva. Alberto, Angelo, Antonietta, Lorenzo e molti altri nomi, in Italia hanno rappresentato proprio il non voler ascoltare la richiesta di una maggiore qualità della vita per tutti, l’esercizio da una logica di comando e controllo sulla vita delle persone.

40 anni dopo ci troviamo a fare i conti con un nuovo ciclo di richieste dal basso che sembrano inascoltate e che pongono l’interrogativo non sulla presa di potere, ma sulla salvaguardia del mondo, che ipotizzano e mirano a creare modelli e stili di vita che siano compatibili con la vita sul pianeta.
Lo slogan della giornata mondiale del 15 marzo “There is no planet B”, la rivolta dei Gilet Gialli in Francia, Ende Gelände in Germania, la lotta per la foresta di Hambach, le mobilitazioni contro l’ENI in Italia, rendono l’idea del cambiamento di diversi paradigmi che hanno accompagnato gli anni 70.
In quegli anni il concetto di organizzazione era legato a quello di strumento per la conquista del potere, oggi a quello di strumento per costruire una società altra.
In quegli anni il concetto di contropotere si traduceva in autonomia del politico, oggi in azione diretta moltitudinaria e condivisa.
Abbiamo bisogno di camminare assieme in tante e tanti, consapevoli che il desiderio di uscire da questa società malefica per tutt* comporta un cambiamento delle radici culturali ed economiche a cui siamo abituati e significa immaginare e costituire già da ora una società altra.

I compagni e le compagne della provincia di Vicenza

Programma

Domenica 7 Aprile, ore 17
csa Arcadia
Dai movimenti del 1979 a oggi – Dibattito pubblico
Interverranno:
Alessandro Stella, attivista militante dei Gruppi Sociali anni 70
Tiziana Dal Pra, attivista movimento femminista anni 70
►Giovedì 11 Aprile, ore 18.30
Thiene, via Vittorio Veneto
Momento pubblico di ricordo 

 

PREGHIERA PER QUATTRO SPADE SPEZZATE

di Gianni Sartori (*)

Ez dute uzten maitatzen gauean

ez agurrik ez negarrik gauean

ez zergatik ez norarik gabe

sirenotsa garraixi bakarra gauean”

Anche quando per tutti e per sempre “rende” tornerà ad essere soltanto la terza persona dell’indicativo presente del verbo rendere, quando il nome di sfruttatori e aguzzini sarà definitivamente disperso nelle nebbie del nord-est….

il battito dei loro nomi – Antonietta, Lorenzo, Angelo, Alberto – risuonerà intenso nelle mente e nel cuore di chi avrà fame e sete di giustizia.

Hanno lottato, hanno combattuto. Hanno perso? Forse. O forse no. Riposino in Pace. Come è giusto e così sia. Compagni per sempre.

NON VOGLIAMO DISCUTERE DI FRONTE AL NEMICO LA LORO MORTE…

A 40 ANNI DALLA MORTE DI ANTONIETTA, ANGELO, ALBERTO, LORENZO

Negli anni settanta del secolo scorso il protagonismo politico e sociale delle classi subalterne conobbe una forte radicalizzazione.

Anche nel Veneto, considerato, forse a torto, una sorta di “Vandea” bianca e bigotta. Ma che era stato periodicamente percorso da stagioni di lotte significative: dal “furto campestre di massa” a La Boje, dalle “Leghe bianche” (che in genere operavano come quelle “rosse”) alla Resistenza (v. i durissimi rastrellamenti del 1944: Malga Zonta, Asiago, il Grappa, il Cansiglio…).

Senza dimenticare la rivolta operaia di Valdagno del 19 aprile 1968. E non mancarono, dalla Bassa padovana all’Alto Vicentino, componenti libertarie. All’inaugurazione di una delle prime sedi sindacali a Schio partecipò Pietro Gori (l’autore di Addio Lugano bella). Una tradizione testimoniata da personaggi come il compagno anarchico “Borela”, un Ardito del Popolo che accolse i fascisti in marcia verso Schio a pistolettate. Per non parlare di uno dei fondatori del Pcd’I, Pietro Tresso (“Blasco”, comunista dissidente, ucciso in Francia da agenti della Ghepeù stalinista) e di Ferruccio Manea (il “Tar”), eroico comandante partigiano ricordato da Meneghello in “Piccoli maestri”. Tra la fine degli anni sessanta e i primi settanta a Vicenza era presente un gruppo anarchico, il MAV, molto attivo nella denuncia delle istituzioni totali. Altri gruppi a Schio, Valdagno e Marano vicentino (Circolo operaio anarchico).

Di questa tradizione si alimentarono le lotte di autodifesa proletaria contro i devastanti progetti capitalisti degli anni settanta. Progetti che trasformarono gran parte della terra veneta in un’alienante territorio urbanizzato, il modello nordest della “fabbrica diffusa”. Contro la drastica ristrutturazione produttiva (licenziamenti, lavoro nero e precario, intensificazione dello sfruttamento, inquinamento ambientale…) sorsero alcune inedite forme di autorganizzazione come i Gruppi Sociali, i Coordinamenti Operai, l’Opposizione Operaia. I metodi non furono sempre eleganti, ma sappiamo che “non è un pranzo di gala”.

La nuova Resistenza fu particolarmente attiva lungo la fascia pedemontana dell’Alto Vicentino in località come Schio, Piovene, Thiene, Lugo, Chiuppano, Sarcedo, Calvene, Bassano…

Il 7 Aprile 1979 è passato alla Storia come la data dell’arresto di alcuni esponenti dell’area dell’Autonomia Operaia organizzata (Negri, Vesce, Ferrari Bravo…). Nel vicentino la mobilitazione è immediata. Per l’11 aprile è prevista una manifestazione nazionale a Padova e la sera precedente a Schio si organizza un’affollata assemblea del movimento. In seguito i partecipanti rischieranno di essere incriminati perché l’assemblea pubblica verrà classificata come “riunione del servizio d’ordine” in cui sarebbero stati pianificati futuri attentati. L’11 aprile la manifestazione nazionale si svolse al Palasport dell’Arcella (Padova) con la partecipazione di circa seimila persone. Ma contemporaneamente a Thiene esplodeva una bomba rudimentale uccidendo i tre giovani che la stavano confezionando. Si trattava di Antonietta Berna (22 anni), Angelo Dal Santo (24 anni) e Alberto Graziani (25 anni), tre noti e attivi militanti dell’Alto Vicentino.

Resasi indipendente dalla famiglia, Antonietta viveva di lavoro nero svolto a domicilio. Angelo Dal Santo, operaio, nel 1978 era entrato nel consiglio di fabbrica della LIMA di Lugo.

Grazie al suo impegno i lavoratori di questa fabbrica metalmeccanica avevano ottenuto migliori condizioni normative e salariali. Aveva poi organizzato picchetti e ronde contro gli straordinari. Partecipò all’occupazione di case sfitte e della “Spinnaker”. Ai suoi funerali, oltre a centinaia di compagni, erano presenti tutte le operaie di tale fabbrica.

Alberto Graziani, studente universitario, aveva preso parte a tutte le iniziative del movimento: lotte per la casa e contro gli straordinari, organizzazione di precari e disoccupati…

In un comunicato del 1° maggio 1979 i tre militanti vennero ricordati dal “Comitato per la liberazione dei compagni in carcere”:

Come movimento comunista, al di là delle attuali differenze interne, rivendichiamo la figura politica di questi compagni. Maria Antonietta Berna, Angelo Dal Santo, Alberto Graziani sono stati parte integrante nella loro militanza di tutte le lotte dei proletari della zona. Sono morti esprimendo la rabbia, l’odio, l’antagonismo di classe contro questo Stato, contro questa società fondata e organizzata sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Nessuna disputa di linea politica e le differenziazioni di impostazione e di analisi e di pratica dentro il movimento possono offuscare e negare l’appartenenza di questi compagni all’intero movimento rivoluzionario, a tutti i comunisti. Di fronte all’iniziativa del nemico di classe, alle iniziative repressive, al terrore fisico e psicologico, al terrorismo propagandistico, allo stravolgimento e strumentalizzazione dei fatti, l’intero movimento di classe deve rivendicare a sé questi compagni caduti, per non dimenticare, per ricordare. Non vogliamo discutere di fronte al nemico la loro morte, essa vive oggettivamente e soggettivamente dentro il movimento di classe in Italia, alla sua altezza e nelle sue difficoltà, nel suo sviluppo fatto con la vita e con la morte di migliaia di compagni lungo una strada che porti fuori dalla barbarie capitalistica e dalla miseria del socialismo reale, per il comunismo. A questa strada difficile questi tre compagni hanno dato comunque il loro contributo, la loro vita. Per questo, oggi più che mai, sono con tutti noi”.

La sera stessa arrivano i primi arresti. Vengono incarcerati Chiara, moglie di Angelo; Lucia, compagna di Alberto; Lorenzo, compagno di Antonietta. Nel giro di poche ore anche Corrado e Tiziana che abitavano con Chiara e Angelo. Un altro ordine di cattura viene spiccato contro Donato, al momento irreperibile. Nel frattempo vengono eseguite decine di perquisizioni e si effettuano numerosi fermi. Un gran numero di posti di blocco trasforma i dintorni di Thiene in un quartiere cattolico di Belfast. Tutti coloro che in qualche modo avevano a che fare con il Gruppo Sociale di Thiene rischiano ora l’incriminazione per banda armata. Agli arrestati vengono contestati: l’appartenenza ad una associazione sovversiva costituita in banda armata; il concorso nella fabbricazione dell’ordigno esplosivo e nella detenzione di armi; il concorso in tutti gli episodi avvenuti nel Veneto negli anni precedenti. Fino al concorso morale nella morte dei tre giovani di Thiene. In un documento presentato da un imputato alla Corte d’Assise (“Quegli anni, quei giorni, autonomia operaia e lotte sociali nel Vicentino: 1976-1979”) viene riportato che “la sera dell’11 aprile Chiara, Lucia e Lorenzo vengono condotti all’obitorio dell’ospedale di Thiene e lì costretti al riconoscimento dei corpi straziati e devastati”. E aggiunge “…il riconoscimento venne effettuato con criteri infami usandolo come deterrente per tutti i compagni”.

Lorenzo Bortoli (operaio decoratore alla Blue Bell di Bassano, 25 anni) subisce l’isolamento totale per quasi un mese. Dopo l’isolamento viene messo in cella con un altro imputato che starebbe già collaborando con i giudici, all’insaputa di tutti. Ricorda un suo amico che “gli si è voluto spezzare violentemente ogni possibilità di socializzazione, di vivibilità, di solidarietà all’interno del carcere, costruendogli addosso e attorno una realtà che solo attraverso la decisione di darsi la morte poteva negare”. Il primo tentativo di suicidio è del giorno 11 maggio con una ingestione di Roipnol. La direzione del carcere cercherà, invano, di farlo passare come un episodio di uso di sostanze stupefacenti. Numerose mozioni del Comitato Familiari che esprimono preoccupazione per la vita di Lorenzo, saranno sottoscritte da consigli di fabbrica e di quartiere. Anche sindacati e partiti intervengono affinché si ponga fine alla detenzione del giovane garantendogli la possibilità di ricostruirsi un equilibrio psico-fisico. Ma tra il primo e il secondo tentativo di suicidio (22 maggio) i magistrati spiccano un nuovo mandato di cattura accusandolo di aver preso parte ad alcune rapine. In realtà in quei giorni Lorenzo si trovava al lavoro. Il 29 maggio l’avvocato Carnelutti, suo difensore, presenta un’istanza con cui chiede la libertà per Lorenzo Bortoli e per Chiara Dal Santo che tra l’altro aspetta un figlio. La richiesta è motivata da “gravi e preoccupanti motivi di salute”. E ancora, quasi una premonizione: “Un possibile irreparabile danno all’integrità psico-fisica dei due giovani peserebbe sul processo”.

Ma il 31 maggio l’istanza viene respinta e le accuse ribadite, anche l’omicidio colposo nei confronti di Antonietta Berna. Il 18 giugno Lorenzo Bortoli viene trasferito con destinazione Trento. Sosta nel carcere di Verona e viene sistemato in una cella da solo. L’avvocato Carnelluti deposita a Vicenza un’istanza (che fa arrivare direttamente al G.I.) in cui segnala “il delicato stato di salute di Lorenzo Bortoli (fra l’altro reduce da due autentici tentativi di suicidio e da provocazioni di un coimputato assai sospetto) e mi preoccupo per l’atmosfera squallida di un carcere che non è certamente tra i migliori. Perché questa scelta? Da chi viene?”. Raccomanda inoltre di “valutare attentamente l’intenzione del mio difeso di restare solo in cella dal momento che le esperienze negative del passato legittimano il sospetto che ogni compagno di cella possa essere un provocatore”. Ma ormai il destino di Lorenzo sta per compiersi. Si toglie la vita impiccandosi nella notte fra il 19 e il 20 giugno (**). Il suo ultimo desiderio, quello di poter essere sepolto con Antonietta si realizzerà solo in parte: le due tombe sono distinte ma comunque vicinissime.

(*) Per una serie di vicende personali chi scrive non ha partecipato di persona alle lotte della seconda metà degli anni settanta di cui si parla nell’articolo. Credevo anzi di aver concluso la mia militanza, iniziata davanti alla Ederle nell’ottobre 1967, con le manifestazioni del settembre 1975 al consolato spagnolo di Venezia per protestare contro la fucilazione di due etarras e di tre militanti del FRAP. A farmi ricredere, nel 1981, la morte per sciopero della fame di Bobby Sands e di altri nove repubblicani dell’IRA e dell’INLA (contemporaneamente a quella di un prigioniero politico basco dei GRAPO). Quindi soltanto negli anni ottanta ho conosciuto alcuni di quei compagni dell’Alto Vicentino che avevano subìto la repressione del 7 aprile. La mia prima impressione fu che in questa area pedemontana la “breve estate dell’Autonomia” avesse avuto caratteristiche simili a quelle dell’Irlanda del Nord e di Euskal Herria, sviluppando un’idea di “società molto orizzontale” (così Eva Forest mi spiegava la lotta dei baschi).

(**) La tragica fine di Lorenzo suscita l’indignazione – a livello locale – addirittura del PCI, il partito ritenuto mandante dell’operazione “7 Aprile” di Calogero. Ecco un comunicato del Comitato di zona Partito Comunista Italiano, “Un suicidio che riempie di sdegno, Thiene 21-6-79: “Apprendiamo con profondo sgomento e indignazione la notizia della morte, nel carcere di Verona, di Lorenzo Bortoli. E’ accaduto ciò che si temeva e ciò che le forze dell’amministrazione della giustizia erano tenute ad evitare. Era infatti evidente che dopo 2 tentativi di suicidio Lorenzo Bortoli si trovava in uno stato psicofisico di estrema prostrazione e che, in mancanza di cure adeguate, di un’attenta assistenza e sorveglianza, di un trattamento più umano e non assolutamente segregante, non avrebbe desistito nel suo intento di togliersi la vita. Proprio queste cure, questa assistenza, avevamo sollecitato aderendo all’appello del 30 Maggio lanciato da alcune personalità e cittadini democratici sul Giornale di Vicenza. Anche alla luce di ciò, il comportamento delle autorità giudiziarie e dell’amministrazione carceraria è tale da suscitare sdegno e riprovazione, in quanto si è dimostrato insensibile e incurante verso il diritto fondamentale di ogni essere umano: il diritto alla vita, e verso i diritti costituzionali di un imputato di potersi difendere, nella pienezza delle proprie facoltà intellettuali e fisiche, dalle accuse mossegli. Il suicidio di Lorenzo Bortoli è quindi un fatto di eccezionale gravità. Le responsabilità nel comportamento delle autorità carcerarie e giudiziarie vanno perciò indagate e punite, per salvaguardare i valori dello stato di diritto e le garanzie che la Costituzione da ad ogni cittadino.”

Riporto integralmente il comunicato del CSA Arcadia contro i fascistelli locali che nei giorni scorsi avevano minacciato una mobilitazione contro la prevista mostra dei dipinti di Lorenzo Bortoli. “Sono trascorsi 40 anni, ma ancora non è permesso ricordare collettivamente quattro vite, quattro persone, quattro compagni e compagne. Tuttavia, nonostante in troppi abbiano cercato di nasconderlo come se niente fosse, dopo 40 anni quel ricordo è ancora vivo e fervido in una moltitudine di persone: di fronte ad un evento tanto tragico quanto importante, non può esistere silenzio. A dimostrarlo sono tutte quelle figure che, continuamente osteggiate, ricordano e vogliono continuare a ricordare Alberto, Angelo, Maria Antonietta e Lorenzo. In questi giorni, come purtroppo ciclicamente accade, la questione è tornata alla ribalta nelle pagine dei giornali locali perché qualcuno ha avuto la “sfacciataggine” di presentare all’amministrazione comunale di Thiene la richiesta di collaborazione nell’organizzazione di una mostra dei dipinti di uno dei quattro ragazz* che persero la vita quel giorno. Ed ecco subito levarsi gli scudi difensivi: dai peggiori fascisti (capeggiati da un vero criminale, Roberto Fiore) agli animi più “democratici” e appartenenti all’amministrazione locale, hanno sentito il bisogno di esprimere le loro rimostranze. A loro avviso non si dovrebbe tenere nessuna mostra, nessun ricordo e nessuna testimonianza dovrebbero avere voce! Nessuno dovrebbe permettersi di parlare di quegli anni tanto tragici quanto importanti, non una parola dovrebbe essere spesa sulle esperienze e sulle persone che hanno reso più vivo questo territorio: in sostanza, nessuna legittimazione a chi era parte dei processi politici e di cambiamento, a chi viveva in un corpo sociale ampio e variopinto, che parlava a tante e tanti e si batteva a fianco degli emarginati, degli oppressi, dei subalterni. Chiaro come un mantra arriva quel concetto che vuole imporre una logica unica ed esclusiva: “la lettura di quegli eventi e dei loro protagonisti è negata a coloro che li hanno attraversati ed è, al contrario, prerogativa assoluta di chi li ha combattuti e denigrati”. Ed è su questi princìpi che oggi vogliamo essere chiari ed espliciti. Non siamo più disposti a rimanere in silenzio, a fingere che in questa provincia tanto ricca e produttiva quanto divoratrice di dignità e libertà, non ci sia mai stato nulla in grado di costruire legami veri e forti nelle pratiche di lotta e di rivendicazione di diritti. Non ci stiamo a tacere di fronte a quella che è anche la nostra storia, la storia dalla quale proveniamo, dalla quale sono nate le esperienze di movimento, le conquiste di diritti, il contrasto dei privilegi e le battaglie che negli anni hanno attraversato questo territorio. Auspichiamo che la mostra da cui è nata quest’ultima farsa polemica abbia la possibilità di tenersi e di essere attraversata da più persone possibili, indipendentemente dalle critiche e dalle vere e proprie minacce che si sono levate. Ci teniamo inoltre a chiarire che se qualcuno crede di poter ostacolare il ricordo di quelle quattro persone con la prevaricazione, la censura o le azioni squadriste ci troverà pronti a contrastarlo. Vogliamo quindi invitare tutti e tutte ad un doppio appuntamento di avvicinamento alla data dell’11 Aprile 2019: un’occasione di approfondimenti di quella che fu un’esperienza politica che segnò in modo indelebile il nostro territorio e un momento di ricordo condiviso di Alberto, Angelo, Maria Antonietta e Lorenzo. Come recitava un volantino di tanti anni fa “ci sono vite che pesano come piume e vite che pesano come montagne”.

BIBLIOGRAFIA MINIMA

1) “Quegli anni, quei giorni – autonomia operaia e lotte sociali nel Vicentino: 1976-1979” . E’ un testo ricco di informazioni di carattere storico, indispensabili per comprendere il contesto dei tragici avvenimenti del 1979. Realizzato da un imputato vicentino del processo “7 Aprile-Veneto”, fotocopiato in proprio – pro manuscripto – forse reperibile in qualche Centro di documentazione

2) “E’ primavera. Intervista a Antonio Negri” di Claudio Calia, BeccoGiallo edizioni, 2008 (a fumetti)

3) “Gli autonomi. Le storie, le lotte, le teorie” (2 volumi) a cura di S. Bianchi e L. Caminiti, DeriveApprodi, 2007

4) “Anni di sogno e di piombo” di Alessandro Stella, Ed. Arcadia 2015

5) “Gli autonomi – vol. 5. L’autonomia operaia vicentina. Dalla rivolta di Valdagno alla repressione (1968-1979)” di Donato Tagliapietra, DeriveApprodi 2019

6) Ed eventualmente, per conoscere anche l’altra campana: “Terrore Rosso – dall’autonomia al partito armato” di Pietro Calogero, Carlo Fumian, Michele Sartori, editori Laterza, 2010.

MA COSA SONO LE «SCOR-DATE»? NOTA PER CHI CAPITASSE QUI SOLTANTO ADESSO.

Per «scor-data» qui in “bottega” si intende il rimando a una persona o a un evento che il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna deformano, rammentano “a rovescio” o cancellano; a volte i temi possono essere più leggeri ché ogni tanto sorridere non fa male, anzi. Ovviamente assai diversi gli stili e le scelte per raccontare; a volte post brevi e magari solo un titolo, una citazione, una foto, un disegno. Comunque un gran lavoro. E si può fare meglio, specie se il nostro “collettivo di lavoro” si allargherà. Vi sentite chiamate/i “in causa”? Proprio così, questo è un bando di arruolamento nel nostro disarmato esercituccio. Grazie in anticipo a chi collaborerà, commenterà, linkerà, correggerà i nostri errori sempre possibili, segnalerà qualcun/qualcosa … o anche solo ci leggerà.

La redazione – abbastanza ballerina – della bottega

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

Un commento

  • Ettore Fasciano

    a 40 anni dalla morte
    qualcuno vorrebbe che si morisse per niente .

    Una società, questa, molto lontana da “quegli anni” , ma non solo e non tanto per la lontananza cronologica, quanto dalla distanza culturale della società, che attualmente non pare interessarsi a nulla.
    Una società che finge di esser presa da infiniti interessi, ma in verità rotea su se stessa e attorno a fantasmi inventati, dentro una cappa di nebbia che è più fitta della notte nichilista che caratterizza la nostra epoca attuale.
    Chi pensa e parla più di valori, qualsiasi essi possano essere?
    Chi si interessa della natura profonda e vera degli avvenimenti, che ben rappresentano la vacuità del momento, mostrando di essere unicamente occupato a seguire i mercati finanziari (non capendoci nulla), a urlare contro non sa nemmeno chi per la mancanza di lavoro (senza sapere a cosa ciò e dovuto), a scagliarsi contro l’ immigrazione (senza conoscerne l’origine) …??
    Siamo in un mondo di tutti contro tutti. E i pochi che pensano e tentano di esprimere delle analisi profonde e di indicare soluzioni valide al cambiamento, non sono ascoltati e, per di più, vengono boicottati e osteggiati.
    Tutti soddisfatti perchè, dopo Falcone e Borsellino, la mafia non segue più la tattica delle stragi.?
    Tutti soddisfatti perchè non sono più attive le Brigate Rosse, giudicandole uniche responsabili dell’assassinio di Aldo Moro e illudendosi che il sopirsi dell’attività terroristica sia unicamente merito dello Stato.?
    Tutti soddisfatti perchè “Qualcuno”d’oltralpe si è preso la briga dell’uccisione di Gheddafi, da lungo perseguita, compreso l’esito collaterale dei tanti morti innocenti di Ustica, pensando che così l’Africa fosse messa a tacere.?
    E le domande potrebbero continuare molto a lungo.
    Intanto tutti fermi ad aspettare l’esito delle elezioni Europee.
    Sembra che il mondo vada per conto suo e tutti si stia in attesa a vedere cosa succede.
    Ma questo è ciò che pensa che è meglio stare alla finestra, o meglio davanti al televisore assistendo monotoni alle soporifere trasmissioni che imboniscono la gente che, nel dormiveglia, aspetta la “fine delle trasmissioni”.
    E aspetta invano.!!
    Altro che ri-pensare (dopo 40 anni) al perchè della morte di Alberto, Angelo, Antonietta. Lorenzo.!!…
    Coloro che in anni passati hanno costruito una società con diritti e valori da mantenere e perseguire, dove sono? Qualcuno è morto (davvero). E sono “giustificati”.
    Altri, però, si sono assopiti. E dunque? Sono “diversamente”morti ! E’ per caso stato ripristinato il “limbo”.?! Sono forse da reputarsi poveri e vecchietti innocenti?
    Altri ancora si sono “pentiti”. E questi, non so in quale girone, l’Alighieri, li avrebbe scaraventati.
    Hanno abiurato a valori, principi, fedi, impegni sociali e politici…
    Tutti a casa ! (con Alberto Sordi?… ma non è l’otto settembre!!) in poltrona a fumare la pipa o a fare la maglia??
    Cosa è servita la Storia?
    Cosa son servite le conquiste sindacali nel mondo del lavoro; le conquiste sociali nelle città, nelle scuole, negli ospedali, in tutte le stutture civili che sono state costruite con la forza e la volontà, la fede, il sacrificio di tanti che riempivano le piazze e le vie, espressi nei luoghi di lavoro e nei giorni di manifestazioni, ove si è costruito un sentimento di dignità per l’uomo del nostro tempo?

    Ettore Fasciano

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