Alberto Henriet Intervista Mauro Antonio Miglieruolo – 1

Riprendo l’attività interrotta all’inizio dell’estate con il testo dell’intervista che Alberto Henriet,

appassonato di Fantascienza e scrittore, mi ha fatto parecchi anni fa e che però nessuno aveva accettato di pubblicare.

Le domande sono in corsivo. In grassetto invece le risposte.

Quella che segue è solo la prima parte dell’intervista. Nelle settimane immediatamente seguenti verranno postate le altre.

1) Mauro Antonio Miglieruolo è una delle firme storiche della Fantascienza italiana. Attivo fin dagli anni Sessanta, ha pubblicato racconti e romanzi in Urania, Galassia, Nova SF*, Futuro Europa e altre testate ancora. E’ uno scrittore a sé che potrebbe essere visto come neo-sociologi­co, ma con un qualcosa in più. E’ come se Miglieruolo a livello stilistico, si trovi in quella zona di confine nella quale termina la fantascienza classico-sociologica e inizia la New Wave, ma senza il coraggio finale di andare oltre. Miglieruolo ha ultimato recentemente un nuovo romanzo, Assurdo Virtuale. Di che si tratta? E’ forse un ritorno al Miglieruolo sperimentale di Oniricon? Ha punti di contatto con la letteratura post-cyberpunk, o è un testo neo-sociologico?

Sono restio a parlare su ciò che scrivo. Se nel racconto qualcosa manca, o se occorre spiegarla, che vale aggiungerla o chiarirla in un commento? Meglio prendere atto e tenerne conto la volta successiva…. A meno che non si tratti di operare una riflessione critica sul racconto e sulla sua ispirazione. A meno che non mi si chieda di darne conto. O se ne parli per parlare d’altro. O, più di tutto, per instaurare un dialogo con il lettore…

Poiché mi sembra quest’ultimo il caso e per altro il lavoro non è ancora stato pubblicato (nota: il tempo trascorso dall’intervista ne ha modicato le premesse. “Assurdo Virtuale” non solo è stato pubblicato, ma ha vinto il Premio Italia per la Fantascienza), mi piego volentieri alla necessità di farlo.

“Assurdo Virtuale” è il risultato di spinte diverse (spinte ecologiche, sociologiche, speculative: speculazione sulle possibili alternative al presente) concretate nella favola di due Mainframe che si sfidano e confrontano avendo quale posta in gioco ognuno l’occupazione e lo sconvolgimento dell’universo personale dell’altro (metafora del presente?); ma soprattutto è un “divertimento”, o meglio lo sfruttamento ludico (spero in modo innovativo) di tematiche tradizionali nella Fantascienza. Può anche essere letto come critica della società dell’apparire, di questo particolare momento della storia umana in cui l’uomo è ridotto al nulla della sua esteriorità: gli abiti firmati, l’ossequio alle invenzioni degli stilisti, la trasformazione del cittadino in consumatore ecc. La realtà stessa e con lei la Fantascienza, ridotta al nulla delle sue forme, delle sue convenzioni…

2) La scuola letteraria di Futuro Europa tende a privilegiare gli autori italiani che scrivono fantascienza neo-classica, neo-sociologica: sono gli Autori Perseo sui quali Futuro Europa punta di più (il neo-positivista Fabio Calabrese, e il neo-sociologico Bruno Vitiello, per esempio). Gli scrittori non in linea vengono usati invece come autori di contorno, e per quanto bravi possano essere, hanno un ruolo marginale nella Perseo. Che cosa pensa di questo stato di cose?

3) La mia impressione sulla scuola letteraria neo-classica della Perseo Libri è che si voglia tornare ad uno stato di cose pre-New Wave, ignorando tutte le innovazioni che hanno fatto seguito a quel punto di rottura della fantascienza che fu l’esperienza di Ballard e Moorcock. La Perseo ignora, per esempio, del tutto la variegata cultura cyberpunk alla quale si devono autori come Michael Swanwick e Richard Kadrey, non solo i più celebri (e da Malaguti stigmatizzati) William Gibson e Bruce Sterling. Che cosa pensa di questo atteggiamento malagutiano di Retrofuturo a tutti i costi?

4) Condivide la posizione di Malaguti (come viene espressa nel Pagina Tre di Nova SF* 66) secondo la quale la vera fantascienza è quella classica, ed è alternativa, come letteratura, al Mainstream? Non le sembra un ritorno al ghetto fantascientifico, in un’ottica isolazionista?

Le tre domande, pur diverse, possono essere raggruppate alla luce della risposta unitaria che, più oltre, intendo dare. Con l’unica eccezione della quarta, che merita l’anticipo della precisazione che segue.

Concordo con Malaguti sulla sua valutazione della Fantascienza “Classica” (aggettivazione che immagino voglia definire quella prodotta tra gli anni ’40 e gli anni ’60, massimo ’70); e non in quanto “alternativa al Mainstream” (mi interessa poco essere alternativo a qualcosa di diverso che le ideologie correnti), ma in quanto di per sé particolarmente significativa e, assunta nel suo complesso, più stimolante e feconda. Con questa necessaria ulteriore precisazione. Che si è trattato di un fenomeno di massa, che ha coinvolto non i professionisti della penna, ma tantissimi soggetti, per lo più dilettanti, la cui sensibilità non è riuscita a restare inerte-indifferente di fronte alle vaste problematiche introdotte dalla tecnologizzazione della realtà quotidiana. Bisogna poi aggiungere che la standardizzazione delle vite, anche della vita letteraria (1) (prevalentemente ridotta alla crisi delle coppie e alle crisi esistenziali dei singoli, espellendo la speranza, il volo pindarico, la fantasia, il sogno dalle tematiche più insistentemente affrontate), ha prodotto un potente bisogno di ritorno alla letteratura epica, all’epopea dei Grandi Temi, alla visionarietà e all’avventura, che è invece costituiscono il tessuto connettivo principale della Fantascienza, che ha così potuto colmare un vuoto tremendo e assicurare le sue proprie fortune.

La circostanza che, a parte Dick, non sia possibile annoverare altri nomi all’altezza di quelli che hanno reso illustre il romanzo nel ‘900 (2) – secolo di sua massima espansione qualitativa e quantitativa2; secolo in cui è stata paradossalmente denunciata a più riprese la “crisi del romanzo”! – rappresenta il dato più significativo che si possa spendere a suo favore. Più significativo proprio in quanto sottolinea il bisogno che l’ha prodotta (non essendo stata colta dai grandi intellettuali, è stata attuata dalla “base”, si è manifestata attraverso la spinta irresistibile verso di essa che ha ispirato i tanti più sensibili a alcuni rilevanti aspetti del proprio tempo); più significativa in quanto essendo stata prodotta dai protagonisti della trasformazione che ha investito l’umanità per tutto il secolo (e che dura tutt’ora) ha messo in evidenza i dati reali del “chi siamo e dove stiamo andando” e posto sul merito (bene) le domande decisive a cui ha fornito direttamente risposta (fascinose risposte, ma forse non altrettanto buone soluzioni).

Un unico limite riconosco alla Fantascienza, un limite che è anche la precondizione della sua possibilità di vivere: non parla mai di produzione delle conoscenze e di produzione materiale. Finge di parlarne, vi accenna soltanto. Persino nei romanzi più accentuatamente tecnologici le cose sorgono quale effetto delle mera necessità che vi siano, mentre il medesimo sfondo problematico di forze produttive, uomini e relazioni tra uomini e tra uomini e mezzi materiali che presiede alla produzione delle macchine è ignorato, a volte persino implicitamente negato (3). Il problema è che le fatiche e i conflitti che nascono nel processo sociale di produzione del prodotto materiale sono tali, di una tale ampiezza e trascinante complessità, che solo a accennarne si finirebbe col non fare altro che parlare di essi. Ove si iniziasse a farlo seriamente, la Fantascienza – quale spontaneo prodotto di massa – finirebbe con lo scomparire. Ho il sospetto però che non solo la Fantascienza, ma l’intera letteratura, considerata l’attuale egemonia di punti di vista mistificanti verso la realtà economico-sociale, finirebbe con lo scomparire. O dissolversi nelle sue medesime difficoltà espressive. Non diversamente da quanto è successo per certa letteratura sperimentale, nata mutilata per aver voluto sovrapporre un’esigenza propria ad alcuni letterati, alle esigenze delle masse, impreparate e anzitutto indisponibili a seguirli su quel piano.

Una riflessione quest’ultima che mi ha permesso di non incagliarmi nei fondali bassi dell’autoreferenzialità. La sottopongo a tutti affinché ognuno possa ricavarvi quell’utile che io ne ho ricavato. Giocare le carte che consideriamo migliori – le nostre carte! – infatti è bene; giocarle senza tener conto del gioco degli altri, dei tanti altri, delle loro personali esigenze, equivale a sprecarle.

Quanto poi all’esplorare Nuovi Possibili, non posso che concordare pienamente con lei. Si tratta qui non solo di adesione dettata dalle inclinazioni personali, ma dell’unica via che ci può permettere l’uscita dalla crisi attuale. O si aprono nuovi spazi (editoriali, stilistici e tematici) o si muore e soffocati dentro le impraticabilissime (vedi Fantascienza USA) modalità attuali.

5) Passiamo ora ad un quadro più particolare, e cerchiamo di capire meglio il background culturale-fantascientifico di Miglieruolo. Quali sono i suoi autori preferiti in campo fantascientifico? E come li ha usati nella creazione letteraria vera e propria?

Van Vogt, Vannegut, Dick, Pohl, Sturgeon, Tenn, Shekley, Aldani, Scerbanenco, Sandrelli ecc. ecc. Li ho usati, specialmente Van Vogt, quale motivi di ispirazione esteriore, cioè quale punto di riferimento complessivo. Ma non solo loro, anche altri autori, soprattutto NON fantascientifici, tra i quali credo di poterne annoverare almeno tre: Borges, Bukowsky, Celine. Più di tutti però ha pesato Bukowsky, l’unico che abbia esercitato (forse) una influenza diretta. Diretta e complessiva. Non attiene infatti al solo stile, ma anche alla tipologia ambientale e ai personaggi. Una influenza ormai al tramonto, ma che per alcuni anni è stata grandissima.

Tuttavia sospetto (un sospetto denunciato dal “forse” messo qui sopra tra parentesi) non si sia trattato d’altro che di una spontanea convergenza stilistico-tematica, un incontro di sensibilità empaticamente vicine, anche se non del tutto sovrapponibili (la mia vita non è stata la sua; non il mio credo, il rispettivo ambito culturale in cui siamo cresciuti).

Per quanto attiene invece ai problemi estetici sui quali mi interroga (4), predetto che si tratta di temi troppo larghi per poter essere affrontati esaustivamente con uno strumento quale l’intervista, le fornisco il sommario (uno schema) delle mie opinioni. Eccolo:

– PREMESSA.

1) Valutare la politica editoriale di chicchessia comporta conoscere con esattezza almeno i seguenti quattro punti:

a) L’orientamento culturale-politico-filosofico-ideologico (alias, la visione del mondo) delle persone e delle strutture prese in esame; le loro costrizioni oggettive, i condizionamenti, gli spazi che possono e vogliono occupare.

b) Le loro opinioni sulle loro proprie opinioni.

c) Il materiale che arriva in redazione.

d) Le richieste da parte dei lettori; le pressioni da parte degli altri addetti ai lavori.

2) Bisognerebbe, inoltre, conoscere come esattamente si collocano dal punto di vista dei compiti specifici, tipici di una impresa culturale. E cioè:

e) Se intendono intervenire nella realtà per trasformarla o anche solo influenzarla.

f) Se preferiscono gestirla.

g) Se il loro punto di vista e la linea editoriale sono empiricamente praticate o se invece siano frutto di un dibattito e un certo grado di riflessione

Senza la conoscenza contemporanea di tutti questi punti (o almeno gran parte di essi) ogni valutazione di merito è pertanto azzardata, se non arbitraria. Sarebbe la manifestazione verbale di opinioni puramente personali e non certo l’analisi oggettiva e circostanziata della realtà.

Ora, poiché conosco ben poco intorno ai punti decisivi esposti, rifiuto di inoltrarmi in valutazioni che rappresenterebbero mere acrobazie speculative che non porterebbero a altro eventuale risultato concreto che quello di un bel capitombolo, a rischio di rompermi l’osso del collo.

– PUNTO DI MERITO

Esiste un seconda più grave difficoltà nell’esercizio di una qualsiasi forma di critica e perciò stesso nel fornire risposte appropriate alle domande che il vivere della Fantascienza comporta: il ritardo con cui procede la riflessione intorno a questo straordinario oggetto, un oggetto capacissimo di sondare e rappresentare brillantemente (in un certo suo bizzarro modo) la realtà da cui è scaturita, ma non se stessa; un oggetto che a distanza di ottanta anni dai primi balbettii non ha ancora registrato un tentativo di studio organico dei suoi fondamenti. Non siamo in possesso oggi, anno 2006, per quanto a mia conoscenza, di nessun punto di riferimento teorico sul perché e sul come la Fantascienza sia nata, quali funzioni abbia svolto, il perché, intorno agli anni ‘70, sia entrata in crisi (sottolineo una circostanza, che potrebbe non essere del tutto casuale: la contemporanea crisi del marxismo); nonché sul suo rapporto con la scienza, rapporto sempre rivendicato e mai dimostrato (forse perché attraverso la scienza dovremmo entrare nel nulla del regno della filosofia? E attraverso la filosofia nel pieno delle temutissime ideologie? È molto probabile.) Il che equivale anche a dire che non esiste una Storia della Fantascienza e che tale Storia non è neppure scrivibile: non almeno una intesa come analisi e non mera descrizione dell’accaduto. Dell’accaduto nella storia della Fantascienza, e dell’accadente delle e nelle singole opere, nelle scuole, nelle tendenze…

Opinioni, molte, spesso interessanti. Analisi dettagliate, ben poche. Sintesi teoriche, nessuna.

Gli addetti alla Fantascienza fin’ora si sono baloccati con l’interrogativo “che cosa è la Fantascienza”; e certo saperlo costituisce una cornice opportuna per una primissima operazione di orientamento. Ritengo, però, sia arrivato il tempo di andare oltre; di entrare nella superficie del quadro e dire finalmente qualcosa su queste funzioni; di dare luogo a una riflessione vera sulla pratica fantascientifica; di stabilire quale stato delle cose ne abbia determinato l’aspetto ed in ragione di quali nodi teorici possiamo rivendicare la differenza: la differenza tra noi e la letteratura accademica; tra noi e le altre forme di lettura popolare (giallo e pornografia); tra noi in quanto attori di lingua italiana e gli attori di altre lingue… e sapere se tutte queste differenze si mantengono o stiano scomparendo, se abbiamo mai avuto senso (in quanto a importanza) o si sia trattato di differenze marginali e quanto marginali…

Rispondere a tutte queste domande non solo è necessario, ma propedeutico a un aspetto che, in quanto scrittore, mi sta particolarmente a cuore: il rilancio della Fantascienza. Se avremo un futuro – appassionati e operatori – lo potremo sapere appunto attraverso questo tipo di analisi; le uniche capaci di fornire anche la direzione di marcia per attuare tale rilancio.

Non mi sento, non qui e ora, di azzardare ipotesi intorno al lavoro da svolgere (e tanto meno di azzardare giudizi su questa o quella impresa editoriale: non farei che esporre pre-giudizi). Mi limito a sottolineare (e ribadire) il paradosso che la Fantascienza, forma letteraria che ha fatto le bucce a quasi ogni aspetto del vivere contemporaneo, non ha saputo pronunciare alcunché di decisivo sul come la scienza sia entrata nelle fantasticherie e le abbia fecondate. Né ha osato verificare se nell’accoppiamento abbia avuto parte la scienza degli scienziati o solo il Mito Scientifico (alias Mito Tecnologico, Mito dei Tecnocrati), spalleggiato da forti elementi di ideologia scientista. Non potrei quindi rispondere ai suoi quesiti se non in modo interlocutorio, evasivo, cioè inutile. Me ne astengo, dunque. E tuttavia, per non deluderla, ma anche perché ho piacere nel parlarne, le fornirò le parole necessarie ad andare incontro, sia pure parzialmente, alle esigenze del quesito posto (le domande diverse, il contenuto in realtà uno solo). Lei mi perdonerà se lo faccio limitandomi a fornire mere opinioni (se ha letto con attenzione quel che fin qui le ho scritto, non credo avrà difficoltà a farlo), ma è tutto quello che ho al momento.

Per quanto attiene a Aldani, a parte il ribadire la stima personale per l’uomo, il curatore e lo scrittore, ritengo, per esigenza di brevità, di potermi richiamare al contenuto dell’opuscolo distribuito il primo aprile del corrente anno nel corso dei festeggiamenti per il suo ottantesimo anniversario. Se le verrà curiosità di leggerlo, potrà scaricarne il contenuto (privo di quasi tutte le illustrazioni) presso il blog http:\spaces.msn.commilland4

Quanto a Malaguti sono pronto a addebitargli ogni possibile colpa, ogni responsabilità; pronto a spettegolare sui suoi difetti umani e sui limiti di conduzione della Libra prima e della Perseo poi (critiche a Malaguti per altro gliene ho sempre rivolte). A una condizione, però. Che si abbia il buon senso (nonché coraggio) di rispondere a una domanda che a mia volta rivolgo a tutti attraverso lei; una domanda vagamente intimidatoria, lo ammetto; ma anche una domanda inevitabile, cresciuto come sono a una scuola che considera quale suo primo obiettivo dar pane al pane e vino al vino: dove e come starebbe la Fantascienza italiana, oggi, senza gli spazi, le aperture, le proposte che instancabilmente Ugo Malaguti in quanto Editore ha avanzato saranno buoni 35 anni? Quale sarebbe la condizione generale di noi tutti, rispetto all’oggetto del nostro interesse, senza Futuro Europa e le collane di libri in lussuose edizioni che non si stanca di presentare?

Non credo occorra aggiungere altro.

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1 Fenomeno tipico delle società industriali avanzate.

2 Ne cito alcuni: Celine, Bukowsky, Guimaraes Rosa, Grass, Borges…

3 In tali “volte” sembra che basti la volontà degli uomini a determinarle, quasi una magia.

4 E la cui esposizione costituisce la seconda parte (solo annunciata) della risposta dovuta ai 3 precedenti punti.

Miglieruolo
Mauro Antonio Miglieruolo (o anche Migliaruolo), nato a Grotteria (Reggio Calabria) il 10 aprile 1942 (in verità il 6), in un paese morente del tutto simile a un reperto abitativo extraterrestre abbandonato dai suoi abitanti. Scrivo fantascienza anche per ritornarvi. Nostalgia di un mondo che non è più? Forse. Forse tutta la fantascienza nasce dalla sofferenza per tale nostalgia. A meno che non si tratti di timore. Timore di perdere aderenza con un mondo che sembra svanire e che a breve potrebbe non essere più.

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