Alessandro Taddei: tentativi di volo?

Siamo nell’epoca del non sense.

L’epoca in cui tutto sembra andare alla rovescia anche se per qualcuno tutto sembra funzionare perfettamente, nonostante qualche malessesere in basso, a sinistra o a destra.

Tutto deve procedere, non importa come.

Il format in cui stanno incasellando il mondo viene dato sempre dai Paesi più forti e dai potenti che li guidano. Sono potenti per eredità storica e perché riescono ad auto-alimentarsi nella loro sostanziale ignoranza. La banalità del male in questo modo impedisce il rigenerarsi di nuove cellule per la società. E’ più facile rendere tutti uguali, annientare le differenze specifiche che ciascuna persona porta in sé, creare competizione fra un Paese e l’altro e tra una persona e l’altra, sostenendo un’economia basata sul concetto della crescita di valore per qualcuno e la sconfitta per gli altri. Nell’epoca del non sense i limiti individuali e collettivi si superano facendo finta che niente stia accadendo e, escludendo il potenziale umano delle persone, si ruba agli altri ciò che serve per il benessere di qualcuno, senza tenere conto che in questo modo tutti ci stiamo impoverendo, culturalmente ed economicamente. Si istituzionalizza la perdita della memoria, soprattutto a partire dalle scuole, si trasformano i significati delle parole e della storia, si costruiscono i terrorismi e la realtà, che da essa scaturisce, cambia in maniera radicale nella vita di ogni essere umano.

L’interesse personale che porta ogni singolo individuo a guardare solo sotto i propri piedi, sta distruggendo qualsiasi forma di aggregazione e di progettualità comune e qualsiasi tentativo di volo che cerca di estendere la felicità agli altri e quindi in sé stessi è oggi più che mai ostacolato da forme di potere che per loro natura sono esclusive. Ciò non toglie che questo tentativo di volo sia un’ottima strada secondaria su cui giocare la partita, depositando cultura a 360 gradi come terra fertile su cui far nascere i fiori della nuova società.

E’ cultura il desiderio di imparare ad ascoltare i ritmi che attraversano i luoghi dove oggi vivono altri mondi, è cultura il creare e il fare con rispetto e attenzione per sviluppare capacità e talenti così da poter comprendere e trasmettere gli strumenti utili alle persone e riuscire a superare le paure e le debolezze che spesso sono alla base di tanti razzismi quotidiani e dell’isolamento in cui ci stiamo chiudendo. I ritmi che attraversano i vari mondi sono differenti perché differenti sono i tempi di distruzione-costruzione dell’uomo forte nei confronti del debole, chi è occupato, mediaticamente, culturalmente e militarmente. Si impone così, oltre ad una logica di dominazione, anche una impossibilità di sviluppo autonomo per queste popolazioni. Il potere e i suoi affini ha costruito una strada principale che sta incrementando un sistema capace da una parte di ammagliare con il denaro e le luci delle grandi costruzione e dall’altra di erige muri reali e invisibili a difesa di questa “culla del benessere per qualcuno“.

Incominciare a immaginare prima ancora di creare è soltanto logico, lasciare che i figli immaginino una città diversa da quella in cui vivono, uscendo fuori senza dover scappare, lasciare che i giovani possano avere una loro autonomia di espressione, permettere alle generazioni più vecchie di poter trasmetter quegli strumenti che possano permettere un passaggio di testimone fra un passaggio e l’altro delle epoche. Senza dover vivere la crisi del non sapere cosa fare perché ormai tutto è troppo stretto, dalla lingua parlata alla scrittura, dalla scuola dell’obbligo di stampo medievale all’università, per arrivare ai posti di lavoro quasi tutti precari e senza prospettiva di futuro.

Ma oggi per come stanno andando le cose pare che il procedimento si svolga all’incontrario: si crea senza nessuna coinvolgimento delle persone, senza nessuna attenzione per i nostri bisogni e nessuno immagina più nessuna utopia. Solo ci togliamo ossigeno a vicenda.

Fa paura doversi confrontare e fa paura doversi aprire agli altri con un mostrarsi che è diverso dall’apparire perché spinto dal coraggio di denunciare il disagio che oggi vive tutta la società contemporanea e dal desiderio di trovare nei propri limiti il valore degli altri.

Servono spazi vitali dove crescere e far crescere le generazioni attuali e future usando le esperienze del passato e la creatività sul domani per dare dignità alle persone e restituirle questo coraggio e questa fiducia. Vetrauen dicono i tedeschi: coraggio nell’avere fiducia. Se questo vale per le persone vale anche per il carattere globale che esse rappresentano, i Paesi. Oggi una ramificazione di potere appare invincibile e si auto-alimenta portandoci a spegnere i propri sogni e a vedere in un’unica direzione la vita, dentro a un format senza alcun senso. Come all’interno di alcune tribù dove a poco a poco si uccide la particolarità individuale per lasciare spazio all’agglomerato dell’insieme, anche nel mondo della globalizzazione a forma di tribù vince un pensiero, perdono gli altri e non si tiene conto che l’unione dei saperi apre gli occhi di tutti con tempi differenti ma in maniera esponenziale. Naturalmente il potere sa di non auto-alimentarsi più dal momento in cui le persone cominciano a vedere e a collaborare tra loro, probabilmente è per queste ragioni che questi uomini prima di tutto sostengono il loro ruolo e per la difesa di questo sono in grado di elevarsi al massimo potere, nella politica come nella scuola, nel campo dell’arte come in qualunque altro settore della società, e scelgono intorno a sé persone che non solo non sono in grado di poter muovere critiche al loro pensiero e al loro operato ma soprattutto sostengono e incrementano questo vuoto con poche capacità e grande inadeguatezza.

Gli altri vadano fuori dalla porta! Non importa che siano ottimi ricercatori o persone che studiano forme diverse di linguaggio per la comunicazione trasversale, che siano portatori sani di idee piuttosto che giornalisti illuminati, l’importante è incasellare perfettamente le progettualità che appaiono pericolosamente nuove, avere un controllo generale delle emozioni della gente, relegare gli incontri fisici a sottospecie di bidoni virtuali pieni di anonime facce. Prima o poi se esistono schegge umane non controllabili è più facile riportarle al loro stato di tranquillità mentale, perché o sei dentro il format oppure rischi di essere preso per pazzo. La storia non cambia, anche Dino Campana era preso per pazzo nell’epoca del fascismo. Oggi non possiamo chiamare la nostra società fascista perché dicono che non sia vero, allora la chiamiamo del non sense per essere creativi, ma, sottinteso, parlare senza logica di sicurezza e crisi creando sempre più proibizioni, paure e respingimenti, logorando le basi sociali e culturali, creare ghetti che trasformano i diritti basilari di tutte le persone in leggi speciali contro qualcuno, cosa significa?

Così nonostante una spia interna chiamata coscienza bussi ancora alla porta e in quest’epoca del non sense stiano togliendo a tutte le teste pensanti la possibilità di fare e respirare, sempre di più la paura sta prendendo il sopravvento sopra ogni singolo essere umano e come esiste una paura buona dettata dal buon senso che ci porta ad avere rispetto delle persone e dell’ambiente che ci circonda esiste una paura indotta che porta ad isolarci e a non veder più le cose per quello che sono realmente. Guardiamo solo dentro alla nostra piccola tribù di unicopensiero che ci siamo costruiti fotocopiando in miniatura quella dei potenti, abbiamo trasformato i luoghi di lavoro in luoghi di arrivismo e competizione, abbiamo rinunciato ai diritti, pochi per la verità, conquistati con le lotte del passato, preferendo le questioni private agli interessi di tutti e stiamo sostenendo la logica del conflitto sociale tra poveri perché non riusciamo a vedere i problemi al di là dei nostri vicini di casa.

Uno stato attuale delle cose che sembra impossibile da cambiare, dove la cultura viene scambiata per entertainment, i rientri pomeridiani nelle scuole non sono più un diritto ma una nuova retta da far pagare alle famiglie, le piccole aziende falliscono e nel crollo si portano dietro tutto ciò che di più umano si può trovare nel fallimento, la rabbia, la sfiducia, l’impossibilità del credere che si possa fare qualcosa ma anche per qualcuno il coraggio di rialzarsi nuovamente e rinascere ancora.

Senza dubbio anni di bombe, di morti ammazzati e televisione a impatto cerebrale 0 hanno fatto il loro dovere in Italia, così che il format della comunicazione di massa e delle nuove strategie della tensione hanno portato le voci critiche a spegnersi una ad una, non più con le bombe ma con il silenzio e l’apatia. Oggi le strategie della tensione hanno solo cambiato aspetto ma non hanno cambiato le intenzioni, infondere paura per creare nelle persone un appartenenza al mondo dell’individualismo sfrenato che va contro l’individuo e lascia all’individuo solo un’impotenza angosciante che spesso sconfina e apre la porta alla depressione. Si stanno recidendo alla radice gli istinti che fanno nascere i desideri e immersi nel liquido verde acido e corrosivo della pubblicità, stiamo trasformando tutto ciò che un tempo appartenevano alla gente, in luoghi di puro merchandising, simboli e non più spazi dove vivere realmente. Città che stanno scomparendo dentro sé stesse , città immerse le chiamo io e luoghi di cultura che oggi sono luoghi di culto. Un-iformare è la password per entrare dentro al format, un-iformiamoci il modo per illudersi che così si vive felici. Probabilmente anche questo è un progetto dell’Un (Nazioni Unite) o della Comunità Europea. Bravi a creare format su cui scrivere, meno ad immaginare ciò di cui abbiamo veramente bisogno, perché questo ormai è lo stato attuale dei progetti dati alla comunità europea, quasi mai applicati e realmente non di grande interesse per le persone. Come in una dimenticanza di creatività non si gioca più, non si scherza più con quello che abbiamo, non si desidera più creare con l’esistente. Il diktat generale è che nulla si può più creare perché tutto è già stato fatto. Opinione personale, a qualcuno sembra che il genere umano abbia fatto grandi passi avanti? Perché ci possiamo connettere più velocemente al mondo con un semplice clic sul mouse, o perché possiamo usare chat virtuali dove parlare con gente più o meno conosciuta così da rendere il contatto dei corpi una pura formalità?

Non esiste Paese che non abbia internet, in Palestina come in Marocco; come in Europa tutti hanno internet. Ognuno lo usa con i propri strumenti culturali ma soprattutto lo si usa spesso e volentieri come diversivo, per uscire dalla propria realtà quotidiana.

Nei Paesi dove esiste un muro reale che separa un Paese dall’altro oppure separa sé stesso da sé stesso come succede in Palestina, la fuga verso l’esterno e il soddisfacimento di ciò che è proibito dalla società diventa naturalmente una necessità, mentre nei Paesi dei “muri già abbattuti” le barriere invisibili si stanno moltiplicando e portano nelle persone una solitudine accecante.

Nelle grandi metropoli come nei piccoli centri abitati, da est a ovest ognuno è chiuso nella stanza, nel proprio mondo, desiderando di essere ciò che non si è. Fuori dal mondo del net nell’epoca del non sense camminiamo su e giù per le strade, andiamo al lavoro, torniamo a casa ma non vediamo e non ci vediamo più. Cecità la chiamava Saramago. Sì, ci stiamo immergendo nella più totale cecità.

 

Siamo nell’epoca del non sense, dove i migliori giornalisti si devono specializzare in formazione perché nessun giornale desidera più scrivere veramente, dove i ricercatori provano a saltare da un Paese all’altro nella speranza che qualche ente sostenga i loro sforzi, dove molte persone, quelli che ancora danno peso alle parole della gente e non si barricano nei loro balconi, sono costretti a camminare con le ginocchia sempre più sbucciate per portare avanti i loro progetti e le loro responsabilità.

Domani mattina qualcuno si sveglierà convinto di essere andato avanti un passo di più. Probabilmente è vero. Siamo andati sulla Luna, abbiamo reso reali gli effetti speciali che vedevamo nel film americani degli anni 80, il muro di Berlino è caduto sul serio, puoi viaggiare da Milano a Londra per pochi euro.

Tutto questo è vero, ma domani mattina come migliaia di anni fa saremo ancora lì a pensare che la nostra felicità dipende dalla sconfitta di qualcuno.

E questo non ci sta portando avanti ma contro un altro muro, che sembra invisibile ma che guardando bene non lo è poi così tanto. Ma fa parte dell’animo umano rendere invisibile ciò che non ci accade in questo preciso istante.

 

UNA (TROPPO BREVE) NOTA

Era ora che Alessandro Taddei irrompesse nel blog ed è una vergogna (con 4 b e tre s) che sinora db (che-poi-sarei-io) non vi abbia raccontato di lui su codesto blog (altrove sì). A me questo editoriale e/o provocazione di Alessandro mi pare un bellissimo tentativo di volo e su questa suggestione l’ho voluto titolare. Se codesto blog passerà “a nuttata” (Eduardo De Filippo, ricordate?) spero che Alessandro si faccia sentire più spesso con le frasi pensate e con quelle suonate. Raccolgo le mie oggi ben scarse energie – la pioggerellina mi affloscia quanto l’allegria infastidisce Giovanardi – per segnalare a chi sabato sera si trovasse nei dintorni di Imola che alle 20,30 (per l’esattezza all’Altrocaffè dentro l’ex manicomio) l’associazione Trama di terre propone “Hotel Europa” di Alessandro Taddei,  un concerto teatrale – gratuito come gli altri evenri della rassegna “Le voci degli altri” (www.bim.comune.imola.bo.it) a cura dell’Ensemble Ponte Radio. Ove possibile – treni, auto, mongolfiere e deltaplani a cosa servono? – non perdetevelo. (db)

Redazione
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Un commento

  • E io non solo ti ringrazio, Daniele, ma ti rimprovero di non avermi fatto conoscere prima Alessandro Taddei.
    Sottoscrivo ogni parola, sillaba, pausa e anche il punto finale.
    Spero di non restare solo io a leggerlo qui da te.
    Svegliamoci da questo sonno indotto.

    Grazie ad Alessando e grazie a te Daniele.
    clelia

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