Alessi, Lena, Pennacchi, Tranquillo, Wilson e…

e il duo Calore-Mazzetti

6 recensioni di Valerio Calzolaio

UNO

«I confini mobili della cittadinanza»

a cura di Antonello Calore e Francesco Mazzetti

Giappichelli

238 pagine, 23 euro 23

Confini umani. Per millenni. Giuristi, storici, filosofi del diritto, economisti, sociologi, architetti, medici si sono associati nel Laboratorio su Cittadinanze e Inclusione Sociale presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’ateneo di Brescia. La riflessione collettiva ha approfondito aspetti storico-teorici dei requisiti che legano l’individuo a una comunità, soprattutto dal momento in cui diventa partecipe di gruppi prevalentemente stanziali e confinati. Modernamente la cittadinanza ha via via perso la funzione di mezzo per il raggiungimento dei diritti sociali, quasi riducendosi a criterio formale di contrapposizione. Nell’interessante ricco testo “I confini mobili della cittadinanza”, curato dal noto romanista Antonello Calore (Sulmona, 1952) e da un giovane architetto (Brescia, 1982) si esaminano la situazione nell’Antica Roma e nell’Italia post-unitaria, gli effetti della rivoluzione neoliberale, differenze di genere e di origine, questioni amministrative e previdenziali.

 

Andrea Pennacchi

«La guerra dei Bepi»

prefazione di Fabio Mini

People editore

116 pagine, 15 euro

Guerre. Stagioni 1915-1918, Monte Ortigara (Vicenza). Lager di Ebensee (Austria), 1944 – 1945. Mogadiscio (Somalia), 2 luglio 1993. Tre splendidi rumorosi visionari verosimili monologhi. Bepi Pennacchi si era arruolato nei bersaglieri, per non emigrare, come altri giovani. Vide tanti commilitoni morire nella guerra fra italiani e austriaci, soprattutto nell’inferno delle battaglie sulle Alpi venete dalla primavera 1915, lungo il confine con il Trentino-Alto Adige, fra la combattuta Asiago, le cime di duemila metri e il bordo dell’Altipiano da dove si vede Venezia: attacchi e ritirate, disfatte e trincee, golene e paludi, sangue e fango, bestemmie e preghiere, fino alla fine. Ad autunno 1918 i soldati di entrambi gli schieramenti scendono dai monti a sud passando per le colline, sono ormai mescolati insieme, pallidi e silenziosi, senza più armi. Il figlio Valerio Pennacchi faceva il tipografo a Padova e a 17 anni diventò partigiano, il primo aprile 1944 scelse Bepi come nome di battaglia; quelli della sua squadra furono presto arrestati e spediti in un campo di concentramento ai lavori forzati per la costruzione di un centro ricerche missilistiche; inenarrabile; morirono prigionieri tantissimi di loro. A maggio 1945 vengono infine liberati 16mila cadaveri ambulanti, arlecchini pulciosi; Valerio torna a casa il primo luglio. I Bepi sono gli innumerevoli soldati semplici di ogni guerra, soldati eterni e universali, talora giusto appena ragazzi di leva, militi noti che in qualche caso sono riusciti a raccontarsi, disillusi delusi arrabbiati feriti, come nel caso dei reduci dalla Somalia dopo l’operazione Restore Hope, in particolare quelli dopo la prima battaglia dalla fine della seconda guerra mondiale, uno scontro a fuoco con armi pesanti che vide impiegati militari dell’Esercito italiano (tre morti e più di venti feriti) nei carri e autoblindo attaccati da milizie locali, ora nota come battaglia del pastificio o del checkpoint Pasta.

Andrea Pennacchi (Padova, 11 ottobre 1969) è un bravissimo uomo di teatro, teatrista dal 1993, attore, regista, drammaturgo e scrittore, famoso da un paio d’anni per i monologhi come personaggio televisivo del programma Propaganda Live (in parte rintracciabili nel precedente volume People “Pojana e i suoi fratelli”) e nel 2020 soprattutto come coprotagonista della serie noir Petra (interpreta la “spalla” Monte della commissaria Delicato). Il bel volume raccoglie un trittico di vere storie di guerra, gli sono state raccontate, le ha arricchite di studi e documenti, le ha vissute emotivamente in modo indiretto e intenso, grazie al nonno paterno Bepi, al padre Valerio e a un episodio di La storia siamo noi. La narrazione è in prima ovviamente, un attore in teatro interpreta i due Bepi e, nell’ultimo più lungo caso dell’imboscata, il caporale di leva originario di Campolongo, pilota 20enne dell’autoblindo, in dialogo con altri tre colleghi presenti e in contatto con il comando e gli altri carri, unico che potrà ripercorrere la vicenda da vecchio veterano, venti anni dopo. Lo scrittore nell’introduzione spiega che a casa sua nessuno parlava mai della guerra, nemmeno la madre alla quale i nazisti in ritirata avevano ucciso il proprio padre, che da bambino leggeva fumetti di battaglie epiche, che aveva fatto la leva proprio nel periodo dell’operazione in Somalia con abbastanza entusiasmo e il bisogno di uscire dal quartiere patavino di periferia. Il lettore riesce a immaginarsi la scena scarna ed essenziale, il teatro civile e il conflitto armato, parole colorite che rappresentano insieme tragedia e commedia, umanamente immaginabili a qualsiasi latitudine in ogni tempo, narrazione esterna del contesto e toccanti travolgenti dialoghi in diretta, tutto rielaborato attraverso la lente della drammaturgia e della scrittura. Il testo è godibilissimo, inframezzato dalla citazione delle musiche in sottofondo, canzoni celebri accanto alla colonna sonora originale di Giorgio Gobbo, recuperabili attraverso una playlist Spotify al link tinyurl.com/playlist-bepi.

 

Colin Wilson

«L’Outsider»

traduzione di Thomas Fazi (prima edizione 2016; l’originale è del 1956)

Atlantide editore

394 pagine, 20 euro

Londra. Musei, biblioteche, librerie. Anni cinquanta. Il grande saggista e romanziere inglese Colin Wilson (Leicester 1931 – St. Austell, Cornovaglia,  2013) fu personalità poliedrica. Divenne molto noto fra gli intellettuali europei nel 1956, a nemmeno 25 anni, con un audace saggio d’esordio, The Outsider. Poi scrisse di tutto e di più, fiction e no fiction, all’inizio molti mystery di vario “genere”. Dopo la prima uscita in Inghilterra, L’Outsider fu presto tradotto in trenta lingue (in italiano da Aldo Rosselli ed Enzo Siciliano per Lerici). A quel tempo il giovane inquieto precario Wilson dormiva nel sacco a pelo in un parco, lo scrisse in una sala del British Museum, sviscerando l’opera e la vita di alcuni grandi “particolari” visionari artisti della letteratura e della pittura (pochi inglesi), da Kafka a Camus, da Van Gogh a Ramakrishna. Era sconosciuto, divenne famoso, nella citata introduzione del 1976 racconta come oltretutto il volume gli fruttò circa 20.000 sterline.

 

Danilo Alessi

«L’altra riva del mare»

Persephone editore

312 pagine, 16 euro

Isola d’Elba. Ora e prima. Il poliedrico militante Danilo Alessi (Piombino, 11 ottobre 1938), dipendente della Provincia di Livorno con un susseguirsi di incarichi politici e istituzionali a livello elbano, toscano e italiano, già presidente della comunità montana dell’isola e sindaco di Rio nell’Elba, con esperienze nazionali nel campo di giornalismo e sport, dopo varie narrazioni anche poetiche, è giunto al terzo romanzo autobiografico, una vera e propria appassionata guida alla sua isola d’elezione. La narrazione è in terza sull’Autore, sul suo alter ego Nilo (in dubbio per i ricordi di avvenimenti vissuti) e sulla più giovane compagna Mimosa, fotoreporter freelance, inviata in mezzo mondo, sempre a loro legata. Con Nilo si conobbero nel 2002 davanti a Cofferati al Circo Massimo e reincontrarono nel 2008, poi qui ancora nel 2013, di fronte a “L’altra riva del mare”, per discutere di sinistra e passioni, alla scoperta di paesaggi, cucine, vini, storie e tradizioni elbane (in indice).

 

Roberta Lena

«Dove sei?»

postfazione di Alberto Dentice

People editore

188 pagine, 16 euro

Torino e Siria. Nel settembre 2017 la laureanda Maria Edgarda Eddi Marcucci (Roma, 1991), militante antifascista e contro le nocività ambientali, redattrice in una radio piemontese, parte con una delegazione di compagni per il Rojava, vogliono informarsi e informare su quell’esperienza pluralista laica femminista, dove i curdi hanno realizzato «l’unica rivoluzione riuscita di questo secolo e dove c’è la pace». Avvisa “mamacita” Roberta con amore e fermezza, va, incontra e documenta, con alcuni si ferma per combattere lo Stato Islamico, si unisce al corpo combattente femminile, torna in Italia a giugno 2018. Nel 2020 il tribunale di Torino ha poi riconosciuto solo Eddi come “soggetto socialmente pericoloso” da sottoporre a «sorveglianza speciale» per almeno 2 anni (sequestro di patente e passaporto, divieto di uscire di casa). In “Dove sei?” l’attrice e regista Roberta Lena (Bologna, 1963) racconta ora benissimo la figlia lontana in Siria, con un proprio materno diario, notizie, foto.

 

Flavio Tranquillo

«Lo sport di domani. Costruire una nuova cultura»

Add editore

138 pagine, 14 euro

Italia. Ora. Le 174 pagine del Piano per il rilancio “Italia 2020-2022” elaborato dal Comitato di esperti in materia economica e sociale coordinato da Vittorio Colao contengono oltre 75.000 parole, non contemplano la parola “sport”, che pure riempie in vario modo una parte significativa della vita di milioni di concittadini e vale l’1,7% del PIL (30 miliardi) che è discutibile pietra di paragone di tutto quel Piano. Lo sport è ormai più aggregatore delle ideologie e più identitario delle religioni, può abbattere ostacoli e costruire cultura, può essere rischioso e discriminatore, poderoso fattore di ulteriori diseguaglianze sociali. Non basta nemmeno chiedere una rigorosa discontinuità politico-istituzionale, ci vuole una rigenerazione complessiva di tutti i settori connessi, con l’obiettivo di formare persone con una migliore cultura sportiva, fondata su apprendimento ed esperienze. La questione essenziale è aggredire con strumenti distinti sia la componente dilettantistica che quella professionistica, ingiustizie e corruzione non sono esclusive di una delle due. Lo sport di base con finalità sociali e ludico-atletiche (educazione fisica insegnata molto e bene come diritto e obbligo scolastico primario, poi praticata a volontà) e lo sport commerciale con criteri economico-finanziari meritocratici (praticato da chi ci vive e guadagna, talora poco, talora molto, talora forse troppo), facendo ognuno bene il proprio lavoro, possono dar vita a un sistema valido e coerente, in cui i vitali agonismo e competizione hanno tempi e modi circoscritti ed educabili, formano alla socialità e ai beni comuni. Ci si può provare proprio ai tempi della pandemia da Covid-19, che impone prudenza e misura (anche nel tifo) per un insieme di pratiche che devono prioritariamente garantire sicurezza delle persone, regolarità delle gare, impatto economico.

Il competente travolgente commentatore radiotelevisivo delle competizioni di pallacanestro (innanzitutto Nba) Flavio Tranquillo (Milano, 1962) ha scritto un ottimo aggiornato condivisibile testo di indirizzo politico-culturale sullo sport. Andrebbe letto, confrontato, adattato per urgenti scelte pubbliche e private. L’autore insiste su un punto: l’effettiva fruizione del diritto allo sport è costituzionalmente prevista, leggi e decreti dovrebbero garantirne l’accessibilità pubblica a tutti i minori prima e a tutti cittadini poi, senza distinzioni geografiche, socioeconomiche e di genere. Tutt’altra cosa è l’equilibrio finanziario del sistema professionistico, dove vigono criteri e regole dell’economia privata; i soldi ci sono, e molti di più se ne potrebbero trovare; accumularli e spenderli è un mezzo non il fine. Tranquillo ricorda di aver fatto precocemente non il giocatore ma l’arbitro; di essere stato molto tifoso (di Milan e Olimpia), anche da radiocronista; di gestire con pudore la (pur meritata) fama di “cantore” del basket; insomma di «aver fatto e detto abbastanza cazzate per capire che non tutto è chiaro dall’inizio», tanto che ci ha messo 39 anni per completare gli studi universitari. Nel 2019 si è infine laureato in Economia e Commercio e utilizza nel testo termini e concetti per arricchire di nuova precisa competenza i suoi decenni di esperienze sul campo, dense pure di interviste, letture, ricerche, dialoghi concreti sul ricco mondo americano ed europeo (dove il professionismo ha radici più antiche). Appare sbagliato parlare con disprezzo di sport-spettacolo, si dovrebbe ricondurre il fenomeno ai limiti di un’attività imprenditoriale ad alto valore aggiunto con significativo spessore socioculturale. Imporsi senza arroganza e con stile conta altrettanto o poco più che soccombere senza arrendevolezza e con dignità. L’autore non si dilunga in teorie, fa proposte pratiche sia rispetto a leggi e decreti in discussione nel 2020 sia rispetto alla gestione consapevole della pandemia. Acuta e pungente la parte relativa alle criminogene distinzioni basate sulla nazionalità.

 

 

Redazione
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