Alex Cecchetti: Louvre III – Dipartimento delle antichità orientali

 Ovvero, una dedica a chi non sopporta le visite guidate
di Susanna Sinigaglia

“Una visita guidata ai capolavori conservati al museo del Louvre senza spostarsi da Milano. Questa insolita esperienza ci viene offerta da Alex Cecchetti”.
Così si legge nel sottotitolo della proposta performativa presentata alla Triennale il 5 e il 6 dicembre, e poi nel testo: “Dalle prime tavolette accadiche fino ai più noti bassorilievi mesopotamici, Cecchetti coinvolge gli spettatori in un viaggio alla ricerca delle origini del cinema fino alla rivelazione del movimento nell’attraversamento dei Lamassu, guardiani del tempio di Ishtar”.
“Origini del cinema” che risalgono alle tavolette accadiche e ai bassorilievi mesopotamici? “Rivelazione del movimento… Lamassu… tempio di Ishtar”? Le frasi mi risuonavano quanto meno strane e anche se io appartengo alla categoria di chi considera le visite guidate alle mostre o ai musei alla stregua di
un’invasione di cavallette, mi sono lasciata attrarre dalle promesse meraviglie di questa visita guidata al Louvre “senza spostarsi da Milano”. Già immaginavo di penetrare nei meandri del famoso museo attraverso video supersofisticati proiettati sulle pareti del teatro o, addirittura, del palazzo della Triennale. Invece no e, malgrado le mie aspettative iniziali siano andate deluse, non mi sono pentita di
aver partecipato a questa divertente e originale performance.
Alla biglietteria mi dicono che gli spettatori sono pregati di trovarsi alle 20,00 a metà corridoio nell’atrio della Triennale, e io seguo l’indicazione come gli altri.
Mentre aspetto, leggo le note biografiche dell’artista e vedo che il suo anno di nascita è il 1939. Penso un po’ sorpresa “be’, vecchiotto”, ma non mi stupisco più di tanto: ormai la vita degli esseri umani si è molto allungata, gli artisti spesso hanno tempre eccezionali ecc. Con qualche minuto di ritardo, compare uno spilungone sul limitare della scalinata che conduce all’ingresso del teatro e apostrofa il pubblico che ha iniziato a scendere i gradini con domande tipo “dove vai?” “che cosa fai?”. Un po’ sconcertati, ci raduniamo davanti alla tenda che delimita gli spazi prospicienti da quelli attigui al teatro e del teatro stesso. Dalla tenda esce Alex Cecchetti e si vede subito che se ha 78 anni, se li porta davvero
bene; infatti, non ne dimostra più di una quarantina. Comincia la sua esibizione rivolgendo al pubblico battute scherzose e paradossali, ci fa sedere sui gradini, ci fa alzare. Chiede “chi sono?” rivolto a me. E io rispondo “Alex Cecchetti, ma più piccolo (intendo più giovane)”. Soddisfatto della risposta, ci scorta verso la prima stanza da cui si dipana la “visita guidata”. Bisogna sapere che il Teatro dell’arte non
consta solo della sala col palco e i posti in platea e galleria dove si svolgono gli spettacoli ma anche di una serie di ambienti diversi, intorno a questo nucleo centrale, che si prestano sia ad accogliere performance “alternative” sia allo svolgimento di laboratori o proiezioni.
La stanza in cui entriamo è adibita in genere a laboratorio di teatro, danza o forse anche altro, e si adatta bene alla sua funzione, in questo caso, di sala da museo.
Entrando sulla destra vediamo una pedana nera, nient’altro oltre agli arredi abituali (poltrone) che sono però stati addossati alle pareti. Il nostro performer ci invita a fermarci davanti alla pedana e ci racconta che qui sono custoditi in bacheche piccolissimi – pochi millimetri – cilindri mesopotamici di terracotta. Così dicendo ne prende uno fra pollice e indice mostrandocene in questo modo le dimensioni. Ma,
accidenti, sembra alto un paio di centimetri, non di millimetri (si vede che nel frattempo è un po’ cresciuto)! Cecchetti continua a indicarci meraviglie accadiche e mesopotamiche inesistenti rivolgendo domande spiazzanti al pubblico, che comincia a mollare le difese, a divertirsi e a entrare nel gioco. A un certo punto chiede a due giovani (due spalle?) d’imparare le battute di un testo annotato su un
​foglio che consegna, raccomandando di impararle bene; i due spariscono dietro una tenda e poco dopo, a un comando del performer, recitano il testo – un dialogo – con i toni giusti. Comunque sia, bravi! Passiamo a un altro spazio. Da questo momento in poi assistiamo a un crescendo di richieste (ci fa sedere a terra, ci fa alzare, chiama alcuni spettatori perché si prestino ad atteggiarsi a personaggi
mitologici come i “famosi” Lamassu che scalpitano all’unisono, e non è stato facile) al montare di un discorso iperbolico – un po’ mi ricorda il delirio onirico di Antonio Rezza – che disegna su piedestalli e pareti inesistenti immagini di non senso, facendole volteggiare nell’aria e scomparire subito dopo senza darci il tempo d’intravederne poco più d’un guizzo.
Attraverso un’altra tenda, passiamo in un nuovo spazio: è il palco. Ne scendiamo i gradini sempre seguendo l’irrefrenabile monologo della nostra guida, attraversiamo la platea e saliamo le scale per ritrovarci in galleria. Al solito, Cecchetti ci dispone nello spazio a ridosso della ringhiera come se le sue indicazioni avessero una qualche logica. E proprio questo aspetto che ne accentua al contrario l’illogicità è, per me, esilarante.
All’improvviso, l’artista sparisce e compare sul palco a prendersi i meritati applausi.
All’uscita, uno spettatore ha chiesto alla ragazza che scortava il nostro piccolo corteo da uno spazio all’altro come mai la nota biografica di Cecchetti riportasse il 1939 come data di nascita. Poiché la ragazza non sapeva rispondere, è stato chiamato l’artista il quale ci ha dato la seguente spiegazione: il 1939 corrisponde all’anno in cui il Louvre fu svuotato per salvarne le opere in previsione dell’arrivo
dei nazisti. Ah, ecco. Ok, ma perché indicarlo come data di nascita? “Così” è stata
la risposta dell’artista mentre lasciava definitivamente il suo pubblico.
Susanna Sinigaglia
Non mi piace molto parlare in prima persona; dire “io sono”, “io faccio” questo e quello ecc. ma per accontentare gli amici-compagni della Bottega, mi piego.
Quindi , sono nata ad Ancona e amo il mare ma sto a Milano da tutta una vita e non so se abiterei da qualsiasi altra parte. M’impegno su vari fronti (la questione Israele-Palestina con tutte le sue ricadute, ma anche per la difesa dell’ambiente); lavoro da anni a un progetto di scrittura e a uno artistico con successi alterni. È la passione per la ricerca che ha nutrito i miei progetti.

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