Alfred Kubin, da riscoprire
Non solo un grande pittore, il suo «L’altra parte. Un romanzo fantastico» anticipa le tragedie d’Europa
di Luca Cumbo
Alfred Kubin nasce nel 1877 in Boemia a Litoměřice, città con una storia travagliata fra ‘800 e ‘900. A maggioranza germanofona è prima nell’impero austro-ungarico, allo smembramento di questo fece parte della neonata repubblica di Cecoslovacchia, poi annessa alla Germania nazista dopo l’invasione del 1938, quindi di nuovo nella Cecoslovacchia divenuta socialista alla fine della seconda guerra mondiale e infine, dal 1993, nella Repubblica Ceca.
Animo inquieto, come i tempi in cui ha vissuto, nel 1896 per la morte prematura della madre il giovane Kubin tenta il suicidio. Nel 1898 si iscrive alla Scuola d’Arte Schmitt Reutte, poi alla Munich Academy e, dopo gli studi, prova a lavorare come fotografo apprendista a Klagenfurt.
Insoddisfatto, gioca la carta della carriera militare, ma ben presto nuove crisi depressive gli fecero comprendere di aver imboccato una strada sbagliata. Influenzato dal pessimismo di Schopenhauer e Nietzsche, si avvicina progressivamente al buddhismo al quale rimarrà legato tutta la vita pur non abbracciando mai una conversione vera e propria. E’ dopo l’esperienza nell’esercito che Kubin inizia a dedicarsi professionalmente al disegno e alla pittura.
Illustrò le opere di E. T. A. Hoffmann, Edgar Allan Poe, Dostoevskij, Voltaire, Honoré de Balzac. Avrebbe dovuto illustrare per intero anche il celebre «Der Golem» di Gustav Meyrink, pubblicato per la prima volta a puntate fra il 1913 e il 1914 e ispiratore di due leggendari film muti fra il 1915 (questo ormai perduto) e il 1920 ma Kubin abbandonò il progetto dopo aver realizzato solo alcuni lavori e molto prima che iniziassero le pubblicazioni del romanzo ambientato in una Praga gotica e misterica.
Nel 1908 un nuovo tragico lutto, la morte del padre con cui aveva avuto un rapporto tormentato, corona un lungo e sofferto momento di blocco creativo aggravato da crisi psichiche. Come per liberarsi dalle tormentate visioni e dagli spaventosi incubi da cui si sente dominato, Kubin si mette a scrivere tutto d’un fiato la storia che nel giro di poche settimane, nel 1909, diventerà la sua opera letteraria più famosa, il romanzo «Die Andere Seite. Ein Phantastischer Roman» (L’altra parte. Un romanzo fantastico) accompagnato da cinquantadue cupe e nebbiose illustrazioni realizzate da lui.
Dopo la pubblicazione del romanzo Kubin fu invitato da Wassily Kandisky ad associarsi alla Neue Künstlervereinigung München (Nuova associazione di artisti di Monaco), che ebbe breve vita, per poi unirsi al gruppo espressionista Der Blaue Reiter (Il Cavaliere Blu) di cui facevano parte lo stesso Kandinsky insieme a Franz Marc, Paul Klee e altri artisti non necessariamente legati all’arte pittorica (fra cui Arnold Schoenberg) con i quali condivise le prime istanze simboliste e anticipando spesso molti temi che poi saranno cari al Surrealismo. Raggiunta la maturità, e con essa un po’ di serenità, Kubin viene consacrato come uno dei maggiori illustratori del ventesimo secolo.
Dopo aver vissuto entrambe le guerre mondiali e la materializzazione di molte delle visioni apocalittiche sulle aberrazioni umane rappresentate nelle sue opere, Kubin morì nel 1959 nella sua dimora di Zwickledt, in Austria, un castelletto dove si era ritirato da tempo a vivere in solitudine e che oggi è sede di un museo a lui dedicato.
«L’altra parte» è una discesa agli inferi e una resurrezione. Seppur in forma allegorica le vicissitudini del protagonista corrispondono a quelle del suo creatore: Kubin lo descrive come un disegnatore e sarà questo il lavoro che lo manterrà una volta trasferitosi nel Traumreich (Regno del Sogno).
Perla, la capitale, è una città gravata da una sorta di incantesimo che trascende l’esistenza quotidiana di tutti gli abitanti, un “lavoro invisibile” che ha posto un giogo su un’intera popolazione. Perla è un caleidoscopio senza colori di edifici vecchi e cadenti smontati pezzo per pezzo da tutto il mondo e rimontati, e così anche gli utensili, i vestiti, tutto: a Perla il “nuovo” è vietato. È una città nata dal nulla, progettata a tavolino, un simulacro, una finzione scenica all’interno della quale si muove una popolazione meticcia composta da una varietà umana che include tutti coloro che, nelle vite precedenti a quella nel Regno del Sogno, hanno mostrato una qualche peculiarità, inclusi delinquenti, truffatori, mediocri, prostitute e aristocratici decaduti, gente grottesca variamente disadattata in fuga dal proprio tempo e dalle proprie vite portando con sé nevrosi, fissazioni e morbosità.
Tutta l’apparente assurdità del Regno del Sogno si basa sul potere, forse magico, dello sfuggente sovrano Klaus Patera, in grado di controllare la mente degli uomini, ma anche le case (che possono prendere vita propria) e persino gli elementi naturali. Qualche indizio sulla vera natura del re potrebbe venire dal nome stesso e dalla sua presunta etimologia: Pàtera o Patèra? L’edizione Adelphi – come l’originale tedesca – non ci aiuta, tralasciando accenti sul nome; tuttavia mentre per il secondo caso non abbiamo teorie da riportare, nel primo caso il nome del sovrano assoluto di Perla corrisponderebbe a un utensile rituale, una sorta di scodella larga e piatta, largamente usata dai tempi della Grecia classica e poi fra gli etruschi e i romani. La pàtera (dal sanscrito “patram” da cui il greco “poter” che può indicare sia l’oggetto che l’atto del bere) era un oggetto utilizzato durante i sacrifici; potremmo dunque supporre che nelle intenzioni di Kubin la figura del re di Perla, rappresenti una sorta di Dioniso, un Alessandro Magno metà uomo metà dio, una figura che ripropone sia l’antica comunione fra potere spirituale e regale, sia la riproposizione del mito antropologico in cui il re ancestrale viene sacrificato per il suo popolo.
L’illustrazione che Kubin include nel romanzo in effetti concede a Patera sembianze che richiamano le raffigurazioni classiche a noi pervenute di Alessandro Magno e Dioniso e anche il ruolo assunto dal sovrano per tutto il romanzo parrebbe coerente con un’origine rituale del nome.
Il fatto che il principale antagonista di Patera sia un americano di nome Hercules – come l’eroe mitologico dalla duplice natura umana e divina, ma al tempo stesso figura mitica ancestrale comune a molte culture preclassiche – potrebbe avvalorare questa tesi e, allo stesso tempo, rappresentare in qualche modo il passaggio di un’epoca: la civiltà europea soppiantata da quella americana che di lì a poco avrebbe vinto due guerre mondiali, scalzando l’Europa dal ruolo leader mondiale. Kubin era fortemente influenzato dalle tensioni storiche del suo tempo e ne percepiva forse più di altri suoi colleghi contemporanei, inebriati dal nazionalismo, l’aspetto inquietante e l’influsso nero che di lì a poco si sarebbe mostrato con la Grande Guerra e successivamente con l’avvento del nazismo. La distruzione di Perla e del Regno del Sogno in un imponente vortice di follie baccanali e visioni apocalittiche, con il concomitante intervento di potenze straniere impegnate ad accordarsi sulla spartizione del bottino, sembra presagire l’imminente collasso dei grandi imperi europei.