Algeria: fra organizzazione popolare, repressione e …

…. riassestamenti del regime

di KARIM METREF (*)

La crisi del Covid 19 è arrivata anche in Algeria, pur se con cifre non catastrofiche. A ieri i casi confermati erano 3.848. Ma con 444 decessi (12,9 %) il tasso di mortalità è fra i più alti al mondo. Mentre la popolazione si organizza per affrontare la crisi sanitaria, il regime ne approfitta per riassestarsi e reprimere le opposizioni.

Strada di ALgeri in tempi di covid 19

Una strada semideserta nel centro di Algeri © Ap

IL PAESE È CHIUSO. Ma oltre la militarizzazione del territorio lo Stato prevede poco altro per affrontare la crisi. Così in molti luoghi di lavoro e di vita ci si organizza da soli, chi per far rispettare la quarantena, chi per distribuire beni di prima necessità che cominciano a scarseggiare, chi per pulire e disinfettare i luoghi pubblici o fabbricare mascherine e gel disinfettante. La pandemia coglie il paese mentre l’instabilità politica è al massimo e l’economia è in grave difficoltà a causa della siccità e del crollo del prezzo degli idrocarburi. A tutto questo si aggiunge il fronte libico che si è riacceso e porta instabilità e insicurezza sui confini Sudest. Un vero anno nero.

MA AI PIÙ ALTI LIVELLI dello Stato la preoccupazione principale non sembra tanto quella di contrastare gli effetti di questa crisi multipla quanto quella di risistemare gli equilibri interni al regime. Le proteste del movimento Hirak iniziate il 22 febbraio 2019, avevano permesso al generale Ahmed Gaid Salah, allora capo di Stato maggiore e viceministro della Difesa, di far cadere il vecchio presidente Abdelaziz Bouteflika con la sua eminenza grigia, il fratello Said Bouteflika e tutta la loro cricca di collaboratori, complici e soci in affari. Allo stesso tempo era riuscito ad arrestare il potentissimo generale Mohamed Mediène (detto Toufik), insieme ai più alti graduati dei servizi di controspionaggio e della Sicurezza nazionale. Rimasto da solo al potere, Gaid Salah, anche lui vecchio e malato, ha dovuto combattere una guerra su più fronti: contro la famiglia presidenziale e i loro alleati, contro la rete lasciata dentro l’esercito, l’amministrazione e la magistratura dai vecchi padroni dei servizi segreti e infine contro il movimento di protesta popolare.

Con quest’ultimo la battaglia è stata lunga e dura. Il generale ha usato il pugno duro, con arresti e restrizioni della libertà. Ma con la sua morte sopravvenuta di lì a poco, alla testa dell’esercito, e quindi di fatto dello Stato, è arrivato il generale Saïd Chengriha, già Comandante capo delle Forze terrestri. Una personalità completamente opposta a quella dell’esuberante Gaid. Calmo, discreto e poco incline a intromettersi nella politica.

LA PERSONALITÀ E LO STILE del nuovo capo dell’apparato militare non potevano che portare cambiamenti importanti. Il generale Wassini Bouazza capo dei Servizi di sicurezza interna (fino a pochi giorni fa) era uno dei personaggi chiave del potere in Algeria. Piazzato a dicembre scorso dal generale Gaid per assicurarsi il controllo sull’apparato amministrativo e giudiziario, il suo arresto insieme a vari dei suoi più stretti collaboratori nei giorni scorsi, è un segno inequivocabile. Il giornalista Ihsane El Kadi, attento osservatore di quello che succede dietro le quinte del regime algerino, in una analisi pubblicata su Maghreb Emergent parla di «de-Gaidizzazione». Cioè caccia aperta a tutte le componenti del potere del vecchio capo. A confermare che la caccia è aperta c’è anche la fuga misteriosa negli Emirati arabi dell’ex braccio destro del capo di Stato maggiore, il semplice (ma potente) caporale Gharmit Benouira. Fuggito, dicono, portando con sé un segretissimo database del generale.

Molti osservatori fanno notare anche il ritorno alla testa dei principali servizi di Sicurezza esterna e interna dell’esercito di elementi appartenenti alla rete del generale Toufik. Una riabilitazione che può essere letta in vari modi, ma di fatto è come se il regime fosse a un bivio tra due strade opposte, una rivolta verso il futuro, l’altra verso il passato.

Se la repressione si ferma e si riapre il campo politico e mediatico nelle prossime settimane, questa “riorganizzazione” potrebbe essere un assestamento voluto dal nuovo padrone dell’apparato militare per allontanare gli attori chiave delle maniere dure messe in atto dal suo predecessore e dare così al presidente della Repubblica la possibilità di aprire un dialogo inclusivo,che migliori il clima politico. Se invece continua la linea dura e viene liberato e riabilitato anche il vecchio capo dei servizi, vorrà dire che i clan si sono riorganizzati intorno a quello dei sanguinari generali degli anni 90 e che la partita si giocherà tutta contro le opposizioni. In tal caso saranno veramente tempi duri per il paese e per Hirak, che dovrà affrontare una repressione spaventosa se vorrà continuare il suo cammino verso la modernizzazione e la liberazione del paese.

(*) Articolo pubblicato su Il Manifesto – il 30/04/2020 – con il titolo:  Stato assente, di fronte all’emergenza in Algeria ci si organizza da soli

Karim Metref
Sono nato sul fianco nord della catena del Giurgiura, nel nord dell’Algeria.

30 anni di vita spesi a cercare di affermare una identità culturale (quella della maggioranza minorizzata dei berberi in Nord Africa) mi ha portato a non capire più chi sono. E mi va benissimo.

A 30 anni ho mollato le mie montagne per sbarcare a Rapallo in Liguria. Passare dalla montagna al mare fu un grande spaesamento. Attraversare il mediterraneo da sud verso nord invece no.

Lavoro (quando ci riesco), passeggio tanto, leggo tanto, cerco di scrivere. Mi impiccio di tutto. Sopra tutto di ciò che non mi riguarda e/o che non capisco bene.

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