«Alia Evo 3.0»
recensione a un’antologia di narrativa fantastica che ha tre pregi almeno
ISTRUZIONI PER L’USO: se vi interessa la recensione (senza divagazioni barbieresche) potete andare subito al punto 2… però non saprete chi è quell’Harry Kellerman che parla male di tutte/i, voi compresi.
1 -Il chiodo sulla mia porta, i morti nel giardino
Rientrando a casa, giorni fa, ho trovato sulla porta un chiodo con foglietto. Non un giubbotto di pelle ma “chiodo” – cfr it.wikipedia.org – nel senso di «oggetto usato per realizzare collegamenti fissi tra pezzi di legno, di metallo o di altro materiale». Il chiodo mi sembrò insanguinato però non ho condotto indagini; e a occhio non distinguo il succo di pomodoro dal sangue di pollo o di umano. Maneggiando il chiodo con cautela, ho preso il foglietto temendo che i padroni di casa (di solito cortesi) fossero incazzati – “mannaggia, abbiamo pagato la pulizia delle scale?” – o che qualche postina/o chiedesse aiuto per lottare contro il precariato. Il biglietto diceva: «Il tuo amico Mauro Cometto li ha seppelliti nel giardino della sua villa di Torino, detta Tesoriera». La firma era Jhon Shhhhmetal. O numi, o gnomi, o fate, o misteri dell’universo noto e di tutti quelli ignoti. Conosco ovviamente un (Maurizio però) Cometto nonché un Johnny Sheetmetal [*] da cui sembrerebbe derivare la firma “storpiata”. Però l’insieme appare oscuro. Indagherò. Nel frattempo vi propongo un’ipotesi cine-schizo-psicoanalitica. Se per caso avete visto «Chi è Harry Kellerman e perché parla male di me?» [**] forse mi seguite in codesta deduzione: Jhon Shhhhmetal non esiste, è solo la mia cattiva coscienza che mi sta minacciando perché ancora non ho recensito il libro dove – in un bel racconto di Maurizio Cometto – si parla in effetti di Villa Sartirana “Tesoriera”. Per evitare altri chiodi minacciosi qui sotto troverete la mia recensione dell’antologia.
2 – Sono Silvia Treves e Massimo Citi i due…
… curatori di «Alia Evo 3.0: antologia di narrativa fantastica»: 418 pagine per 18 euri, Buckfast edizioni. Il duo Citi-Treves ha fatto un eccellente lavoro. 19 racconti di 15 autori e 4 autrici fra nomi noti e sconosciuti ma validi. «Un mosaico di sogni e incubi» come annunciano i curatori. Futuri e presenti alternativi ma anche passati come la riscrittura della guerra di Troia («Gli dèi vegliano» di Paolo Cavazza): ai limiti del geniale anche se io avrei preferito un finale più secco o … incazzoso. Nel passato si aggirano anche Alberto Costantini (1605) con «La confessione» dove incontriamo un Trentino più pagano – ma anche più fantascientifico – dell’India e Maurizio Cometto (1713-1715) con «Il signore del giardino». Nei futuri possibili c’è il «Ritorno a casa» di Massimo Citi [***] con «un pugno di burocrati a far da balia a quattro cristi di xeno-archeologi»; per inciso uno degli “xenoark” si chiama Errol Garner, quasi omonimo di un grande pianista jazz. Fra i molti racconti che mi hanno incantato vi propongo un mio settetto in ordine alfabetico. Inizio con la B di Valeria Barbera: in «Perseguitata» sa mischiare, con una scrittura cesellata, i mostri dell’infanzia con quelli della cronaca, dell’inconscio e… non posso dirvi altro. Poi due C: Vittorio Catani che è grande… anche quando lo è un pochino meno; come in questo «Un terzo di felicità»; e il già citato Costantini. C’è la L di un Fabio Lastrucci molto EAP – nel senso di Edgar Allan Poe – con «Il destino dei Reshu», ambientato nella Calabria arbereshe (cioè della storica minoranza di origine albanese). M cioè «Le stelle d’inverno» di Massimiliano Malerba; ne avevo parlato [****] con entusiasmo. Infine due T: «Stat sua cuique dies» – ovvero «A ciascuno è dato il suo giorno» per i non latinoparlanti – di Francesco Troccoli il quale continua a (ben) lavorare sui paradossi temporali e su quelli dell’amore; e Silvia Treves che in «Nel grigio» (aperto non a caso da una citazione di Eraclito) si muove con grande abilità fra ricordi, condizionamenti, sogni, risvegli, scoperte e … altro non svelerò.
Dopo il settetto voi pensate che venga l’ottetto, vero? Trattasi di un refuso: dopo il settetto c’è Cometto. Ma questi “magnifici 7/8” potrebbero diventare anche 12 o perfino 16. In qualche caso i racconti sono affascinanti e/o molto ben scritti però a mio avviso “franano” nel finale che è scontato/ovvio o peggio “assente”. Che più? Ah, niente male come intercalare quel «merda di Garibaldi»; chiederò a Eugenio Saguatti se ha depositato il copyright o se posso appropriarmene gratis.
3 – Tre per l’appunto, come i pregi
Il primo pregio è che questa antologia è di qualità, non improvvisata: anche un paio di racconti più “cazzarroni” (capisco che i semiologi non usano questa definizione ma forse ci intendiamo) hanno quel buon brio di scrittura e di personaggi che spingono a non saltare pagine. Dunque il duo Citi-Treves ha fatto bene (a essere scassapalle dirò che 2 racconti e mezzo – anzi 3 – a me non sono piaciuti ma su 19… può capitare). Il secondo pregio è che la selezione tocca – volutamente o almeno così immagino io – tutti i rami dell’albero fantastico ricordandoci quanto sia ricco: io preferisco la fantascienza al resto (lo dico per “fatto personale”) ma di fronte alle belle storie le etichette mi interessano poco; e godo. Il terzo pregio è in copertina: quel numero 3 [*****] segnala che questa serie di libri resiste e continua. Evviva. Ripetere tre volte; evviva, evviva, evviva.
[*] le sue recensioni/narrazioni appaiono, con discontinuità purtroppo, qui in bottega.
[**] è un film del 1971 di Ulu Grosbard con Jack Warden e Dustin Hoffman (sempre Wiki dixit; curioso, io mi ricordavo Elliott Gould).
[***] Qui intervistato da Vincent Spasaro: Narrator in fabula – 9
[****] cfr: Nell’universo regna il Caos. Forse.
[*****] Il primo «Alia Evo» cartaceo era uscito nel 2014; io ne avevo parlato – vedi Quattro cosucce per volare su Marte(dì) – però poi non lo avevo letto. E questo accrediterebbe l’ipotesi che un perfido Harry Kellerman in me si alimenta delle mie omissioni. A suo tempo vidi il film di Grosbard con Riccardo Mancini il quale saggiamente disse: «c’è un Harry Kellerman, o anche più, in ognuno di noi; in qualche modo dovrai conviverci perché temo sia invincibile». D’accordo Harry, fatti sentire quando vuoi; però non bucarmi più la porta.