Alivernini, Bietti, Follini, Maniotti, Nguyen-Kim, Reich e il duo Castellani-Smulevich

7 recensioni di Valerio Calzolaio

 

Marco Follini

«Democrazia Cristiana. Il racconto di un partito»

Sellerio

240 pagine, 16 euro

Italia. 900. Giuseppe Marco Follini (Roma, 1954) inizia il garbato racconto del suo partito sottolineando che fu poco capace di raccontarsi. «Non ci siamo mai saputi raccontare…La storia politica più lunga della Repubblica non aveva l’ambizione di essere avvincente…Per quasi cinquant’anni – per la precisione dall’aprile 1945 al gennaio 1994 – la Democrazia Cristiana era stato il partito-guida della politica italiana…Ai tempi del nostro primato noi democristiani scrivevamo poco, e non troppo volentieri…I nostri padri avevano scelto un simbolo evocativo. Lo scudo crociato. Richiamava la battaglia dei comuni italiani contro Federico Barbarossa, combattuta a Legnano nel lontanissimo 1176…Eravamo dei tipi poco fantasiosi e per niente avventurosi…Il potere, finché è durato, ha contato per noi molto più delle parole». Così lo descrive: cristiano, bacchettone, impersonale, quotidiano, di potere, mamma, diga, eterno (e precario), “impolitico”, incompiuto, misterioso. Utile indice dei nomi.

 

David Reich

«Chi siamo e come siamo arrivati fin qui. Il DNA antico e la nuova scienza del passato dell’umanità»

traduzione di Giancarlo Carlotti

Raffaello Cortina

406 pagine per 24,65 euri

Vita umana. Dal principio. Grazie alla possibilità di estrarre il DNA dalle ossa antiche ormai sappiamo che le persone che vivono oggi in un qualsiasi dato posto non discendono esclusivamente da coloro che vivevano nello stesso posto nel lontano passato. Le popolazioni hanno avuto un ricambio continuo, la mescolanza di gruppi estremamente differenziati è stata un fenomeno ricorrente, le popolazioni a noi contemporanee sono una miscela di quelle passate, che erano miscele a loro volta. Oggi tutti i circa 7,7 miliardi di sapiens siamo figli di mescolanze e migrazioni, io direi meticci. Fatta salva una più remota comune origine africana (comunque non pura), certo la formazione dell’attuale popolazione dell’Eurasia è stata favorita dalla diffusione dei produttori di cibo. Sia in Asia che in Europa una massiva migrazione di agricoltori dall’Oriente di 9000 anni fa si mescolò ai cacciatori-raccoglitori, dopodiché una seconda migrazione dalle steppe euroasiatiche di 5000 anni fa portò un diverso tipo di DNA e probabilmente anche le lingue indoeuropee. Le stesse popolazioni nativo-americane precedenti all’arrivo degli europei avevano un corredo genetico proveniente da plurime importanti ondate migratorie dall’Asia. L’ascendenza est-asiatica deriva dalle grandi diaspore delle popolazioni provenienti dal cuore agricolo della Cina. Ovunque e sempre hanno avuto luogo immense mescolanze di gruppi diversi, travolgenti sostituzioni ed espansioni demografiche, e anche scissioni e spaccature che non seguono la falsariga delle odierne differenze. La spiegazione su come siamo diventati ciò che siamo oggi va basata sulle migrazioni e sulle mescolanze del passato, possibilmente iniziando a studiare il genoma dei sapiens vissuti oltre 160.000 anni fa e ricordando sempre che le datazioni genetiche sono approssimative a causa dell’incertezza sul reale ritmo delle mutazioni umane.

Un grande scienziato italiano, Luigi Luca Cavalli-Sforza (1922-2018) ha fondato gli studi genetici sul nostro passato. Fra i suoi studenti e allievi vi fu David Reich (Washington, 1974) nato e cresciuto in una colta famiglia americana ebrea, oggi docente di genetica a Harvard. Reich ritiene che molte delle asserzioni del suo maestro si siano successivamente rivelate imprecise o errate, ma essenziale e imprescindibile fu e resta l’idea di integrare gli studi di archeologia, linguistica e storia, per ricostruire le grandi migrazioni del passato basandosi sulle differenze genetiche delle popolazioni odierne. Il laboratorio di Reich è ora uno dei più rinomati al mondo per le ricerche sul DNA antico, avendo innovato molto per tecnologia, metodiche, modelli, costi; dopo decine di saggi scientifici pubblicati soprattutto durante l’ultimo decennio, nel 2018 l’autore ha riassunto i più significativi risultati delle ricerche proprie e di altri rispetto all’origine delle specie umane e soprattutto di noi sapiens. Interessantissimo. Il libro è diviso in tre parti, nella prima (“la storia profonda della nostra specie”) spiega che il genoma umano non fornisce solo tutte le informazioni necessarie all’ovulo fecondato per svilupparsi, ma contiene anche dati abbastanza certi su dove e con chi evolvemmo nella notte dei tempi. La seconda parte (“come siamo arrivati dove ci troviamo oggi”) fa il giro di tutti i continenti del Pianeta mostrando con date e percorsi come sempre e comunque le popolazioni umane sono state connesse, in Africa come in Eurasia, in Australia come nelle Americhe, mai isolatesi del tutto, nessuna esistente in forma non mista, talora alcune in contatto con altre che non esistono più ma che hanno lasciato tracce. La terza parte (“il genoma rivoluzionario”) spiega che gli studi del DNA antico hanno svelato anche la storia millenaria della disparità di potere sociale tra le varie popolazioni, tra i sessi e tra gli individui. Molte chiare figure e illustrazioni, ricche note bibliografiche, ottimo indice analitico. Ribadito giustamente che la mescolanza è nella natura umana e che nessuna popolazione è, né può essere, pura, non sempre risultano convincenti quelle riflessioni finali sul fatto che nessuno conosca ancora la verità sulle vere differenze tra popolazioni codificate nei geni (e sembrano quasi alludere a una terza via tra razzismo e antirazzismo); l’esigenza di lasciare libera la ricerca è del tutto condivisibile, ma le argomentazioni appaiono meno approfondite, talvolta superficiali.

 

Massimiliano Castellani e Adam Smulevich

Un calcio al razzismo. 20 lezioni contro l’odio

Giuntina

102 pagine, 10 euro

Campi di calcio. Dalle leggi fasciste ai nostri giorni. Primo Levi raccontò la partita fra la formazione delle SS e quella di un gruppo di deportati, per la maggioranza ebrei, una squadra speciale, i Sonderkommando, non l’unico risultato architettato a sorpresa. Si tratta di uno dei venti episodi narrati da due bravi giornalisti Massimiliano Castellani (Spoleto, 1969) e Adam Smulevich (Bagno a Ripoli, 1985). «Un calcio al razzismo» racconta come il veleno dell’antisemitismo, una delle più tragiche tipologie di razzismo, si sia diffuso verso tanti altri, considerati calciatori “diversi” non solo dai tifosi. Le storie brevi e chiare sono raggruppate sotto sei differenti titoli: bel Danubio blu (i maestri ungheresi epurati dal regime), il calcio nel lager, in campo per la vita (con leggendario derby di Sarnano), la rinascita (con la vera coscienza di Zeman), il segno ebraico (con l’invenzione del Totocalcio), le ferite aperte (nonostante il mitico Thuram e la sua cultura contro l’odio).

 

Paola Maniotti

«Il mondo in gioco. Giochi di strada per l’educazione all’altro»

(versioni precedenti nel 1997 e nel 2007)

GruppoAbele Torino

124 pagine, 13 euro

Terra. Da sempre. Giocare è sinonimo di allegria, innocenza, divertimento in tutte le età, soprattutto quando non si è più infanti né ancora adolescenti, dai 6 ai 12 anni, poi ognuno veda per sé. Riguarda innumerevoli attività, dai giochi di scacchiera a quelli di movimento, di squadra organizzati o solitari, con le parole o con i numeri. La bella idea di raccoglierli (quasi) tutti, “Il mondo in gioco”, esperienza millenaria in lingue e culture diverse, era nata da esercizi didattici interculturali, realizzati in una primaria del Trentino con le varie declinazioni del fare ludico. La pedagogista Paola Maniotti è stata maestra per decenni, ora da dirigente scolastica ha rielaborato quel testo chiaro e utilissimo per insegnanti, ludotecari, educatori, animatori del tempo libero, delle colonie estive, dei campeggi, compresi i genitori. La prima breve parte riguarda la teoria, la seconda i suggerimenti didattici, la terza uno splendido e comparato repertorio mondiale dei giochi.

 

Flavio Alivernini

La grande nemica. Il caso Boldrini

People

154 pagine, 16 euro

Italia. 2014-2019. Nel 2013 Laura Boldrini (Macerata, 1961) fu eletta presidente della Camera dei deputati. Un anno dopo un video sul blog di Beppe Grillo gestito da Casaleggio Associati viene intitolato: Cosa succederebbe se ti trovassi la Boldrini in macchina? Si scatenò l’inferno: una persona fu data in pasto alle peggiori pulsioni della Rete, iniziò una narrazione tossica che l’ha identifica come causa dei mali strutturali e contingenti del paese. Due anni dopo Salvini presenta una bambola gonfiabile come sosia di Boldrini, provocando un ulteriore salto di qualità: insulti violenti, aggressioni verbali e notizie false, offese e odio si moltiplicano ancora. Roba di cui vergognarsi. E Flavio Alivernini, che nel 2013-14 era al vertice della comunicazione 5 Stelle, si vergognò tanto che negli anni successivi ha poi lavorato con Boldrini, contribuendo alla giusta fiera meticolosa reazione al bullismo, come ora racconta con dovizia di particolari e utili consigli in «La grande nemica».

 

Mai Thi Nguyen-Kim

«Questione di chimica. Dentifricio, smartphone, caffè, sonno, amore… perché la chimica spiega davvero tutto»

traduzione (dal tedesco) di Marina Pugliano e Valentina Tortelli

Illustrazioni di Claire Lenkova

Sonzogno

236 pagine, 16 euro

Tavola periodica degli elementi. Da prima. La bravissima scienziata chimica e divulgatrice scientifica Mai Thi Nguyen-Kim (Heppenheim, 1987) è nata e cresciuta in Germania da genitori vietnamiti, il padre chimico e cuoco sopraffino (le due cose marciano quasi sempre insieme), la mamma (cui il libro è dedicato) a casa a coccolarla, spronarla e motivarla insieme al fratello (chimico). Dopo il dottorato a Harvard ha continuato a ricercare, iniziando pure ad aprire in parallelo vari canali YouTube e a presentare programmi televisivi per comunicare la scienza, riuscendovi alla grande. Nel godibile colto esordio letterario «Questione di chimica» mostra con meticolosa simpatia la sua meravigliosa scienza, affrontando e spiegando spaccati di vita quotidiana: disturbi ossessivi, dentifrici, fumo, molecole naturalmente caotiche (anche nelle nostre stanze), cibi, alcol e liquidi, odori, sapori, umori, impossibilità e probabilità delle nostre opinioni e scelte, passione per l’obiettività.

 

Giovanni Bietti

«Lo spartito del mondo. Breve storia del dialogo tra culture in musica»

174 pagine, 16 , euro

Laterza

Mondo umano. Da qualche decina di migliaia di anni e soprattutto negli ultimi secoli. La sapiente cultura umana ha sempre parlato anche attraverso la voce, forse prima con i suoni che con le parole. A sua volta, la musica ha sempre fatto incontrare e dialogare persone, linguaggi, culture. Così, intraprendere un viaggio musiculturale attraverso il tempo significa compiere esplorazioni sorprendenti e stimolanti, cominciare a scrivere uno spartito del mondo intero. Restando nell’ultimo mezzo millennio, migrano le danze e gli strumenti musicali fra gli Stati e i continenti, si avvicinano e contaminano le tradizioni occidentali colte e le culture musicali extraeuropee, alcuni musicisti riescono a unire i popoli pure in totale contrasto rispetto a ciò che contemporaneamente accade nelle società (spesso fra tensioni politiche e militari). Il volume del musicista Giovanni Bietti (compositore, pianista, musicologo) prende in esame alcuni momenti significativi del dialogo musiculturale nella storia europea dal Rinascimento ai giorni nostri, ossia approssimativamente dalla nascita della stampa e dell’editoria musicale (1501) fino all’odierna era della musica “riprodotta”, del disco, del CD, di Youtube. Ovviamente l’autore è consapevole che da sempre esiste pure una zona d’ombra nella storia della musica, un lato ambiguo e contraddittorio: il rapporto con il potere e, di conseguenza, con il mercato. Negli ultimi decenni, poi, la relazione tra aspirazioni artistiche e interessi economici e commerciali si è fatta ancor più intricata da decifrare e divulgare, una concatenazione più che una divagazione.

Il viaggio si sviluppa come un racconto cronologico, attraverso undici capitoli: singoli musicisti, periodi epocali o specifici generi ed evoluzioni estetiche, con esempi musicali audio di accompagnamento e riferimenti conclusivi di approfondimento specialistico; in fondo una buona nota bibliografica, un utile glossario di una sessantina di termini essenziali, l’indice ricco dei nomi e di selezionate tracce audio. Il primo spunto è dedicato a Orlando di Lasso che nel 1573 pubblicò a Monaco un libro contenente 28 composizioni di quattro diverse lingue (latino, tedesco, francese, italiano) a quattro voci ciascuna, insieme a quattro Dialoghi a otto voci nelle quattro lingue. Musicultura appunto, è questa la chiave, una curiosa insopprimibile vocazione al meticciato come incontro, confronto, ibridazione, mescolanza e talora fusione, come sogno ed esperienze plurivalenti di generi e forme, usi e costumi, stili e strumenti intorno alla musica. Il secondo capitolo è dedicato al fondamentale “cambio di passo” che fra Quattrocento e Cinquecento ebbe la danza, il genere che migra con più facilità, si sposta da un luogo all’altro e di adatta rapidamente alle caratteristiche delle varie culture, grazie a ritmo e ripetizioni quasi sempre senza testi verbali e nobile accesso ai balli di corte. Seguono capitoli che affrontano la complicata accoglienza delle musiche di popoli lontani (ebrei, turchi, arabi, cinesi) rappresentate all’inizio in modo grottesco e deformato, la musica strumentale della prima metà del Seicento, la sorprendente vicenda sinfonica della Tarantella (e prima ancora della Pizzica), la specifica funzione universale svolta dalla Nona di Beethoven (nel 1824 la prima esecuzione), le scuole nazionali dell’Ottocento, il ruolo di Debussy (1862-1918) nell’elogio dei piccoli popoli, i microcosmi dell’ungherese Béla Bartók (1881-1945), per chiudere con la nostra era della riproducibilità tecnica dell’opera d’arte (anche musiculturale).

 

Redazione
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