Alla faccia della DAD

Nella puntata 172 di «Ci manca(va) un Venerdì» l’astrofilosofo Fabrizio Melodia parte dalla didattica a distanza e arriva allo stato dell’arte precedente che sembra vuoto più che pieno.

«Non lo so come ne usciremo, ma una cosa è certa: tutto dipenderà da quanto saremo stati attenti alla lezione che ci sta dando il virus» afferma – con un certo grado di abrasività – lo scrittore e docente Enrico Galiano.
Insegnante “di classe”, se mi passate il gioco di parole, amato dai suoi studenti e con esperienza sul campo. Un tipetto sorridente, della classe ‘77: si è fatto notare in ambito letterario con «Eppure cadiamo felici», «Tutta la vita che vuoi» e «Più forte di ogni addio»  e «Basta un attimo per tornare bambini» (illustrato da Sara Di Francescantonio). Ora è di nuovo in libreria con il romanzo «Dormi stanotte sul mio cuore»: tutti pubblicati da Garzanti.
A quale insegnamento si riferisce il professor Galiano? E’ la lezione sulle differenze che interessa, non quelle di aritmetica elementare o di filosofia, bensì le diversità sociali ma anche umane che il COVID 19 ha rimarcato senza mezzi termini.
Galiano denuncia un fatto assai grave: «Quasi il 20% degli studenti italiani non ha i mezzi per seguire la didattica a distanza. Significa uno su cinque. Significa un’enormità. Significa: ehi, sveglia, abbiamo un problema. Quello stesso uno su cinque che ora è sparito dai radar è spesso quello che in classe “non combinava niente”, “il fannullone”, “lo svogliato”: ora dobbiamo avere finalmente l’onestà intellettuale di riconoscere che forse non era così svogliato e così fannullone».
Drammatico? Esagerato? Fantasioso?
In fin dei conti, quasi tutti gli studenti sono muniti di un cellulare, magari “da battaglia”. Se non ne possiedi uno sei disadattato o peggio. Ma un discorso analogo vale per un pc?

Esistono giovani a cui la tecnologia non interessa… però fra loro moltissimi non hanno avuto la possibilità di averla. Una marea di sommersi. Tagliati fuori e magari presi in giro da tutti, coetanei in testa.
E gli insegnanti? Alcuni si sono spesi in ogni modo per la DAD (didattica a distanza) in barba al COVID e pure alle indicazioni inesistenti del ministero, magari diventando meravigliosi Youtubers e acrobati di Zoom. Altri invece, afferma Galiano, si sono semplicemente eclissati: chi per poca voglia, chi per rifiuto di questo “barbaro” mezzo tecnologico, chi in attesa delle in/decisioni del ministero… visto che gira aria da “tutti promossi”.

Assente – al solito – la lungimiranza politica per la pubblica istruzione, nessun piano a lunga scadenza.

Penso che molto assenteismo degli insegnanti non sia svogliatezza o lassismo, come per altro in tutti gli ambiti lavorativi, ma la convinzione che l’insegnamento a distanza non sia possibile.

Qui in “bottega” se n’è già discusso (*).
Insegnamento e didattica sono due cose diverse? Da ex studente, posso solo dire che era diversa la situazione per chi frequentava e per chi studiava “per conto suo”. Quando sei presente, hai la possibilità di confrontarti in modo partecipato e vivo, di comunicare in modo totale: vedi, tocchi e respiri la persona. Se l’insegnante è brava/o aiuta a sviluppare pensiero e strumenti di critica. Dà nozioni ma soprattutto incoraggia il pieno sviluppo della persona. Le passeggiate veneziane con i miei amici a discutere di Kant o di acqua alta per me sono state fondamentali più che imparare a memoria le frasi sul cielo stellato e la legge morale sopra o dentro di me. E ancora ricordo certe litigate sulla prova ontologica di Anselmo d’Aosta ma altrettanto formativi sono stati i giochi matematici o le leggende dei “nizioleti” (**) veneziani.
Ritengo che molti insegnanti svogliati siano direttamente proporzionali agli allievi, se non addirittura in proporzione logaritmica. Un coltello si affila su un’altra lama e, fuor di metafora, un allievo si “arrota” solo su un maestro?
La cantante Mina una volta si sfogò in questo modo: «La scuola fa male alla cultura perché non comunica. Perché il ceto del sottoproletariato intellettuale l’ha conquistata come proprio terreno di sicurezza economica sbattendosene della funzione. Lo schema che si ripete è quasi sempre lo stesso: studenti di fronte a “educatori” spenti, preoccupati di finire un programma ministeriale, di riempire un registro, corollari fastidiosi alla vera occupazione della stesura dell’itinerario-vacanze. Non è neppure sfiorato uno dei princìpi della pedagogia classica: la trasmissione della passione per la lettura e la trasfusione della curiosità culturale. Si leggono i classici come se fossero la bolletta del telefono o le ricette del medico. Le parole lette, anche quelle dei grandi autori, restano solo parole, svuotate di tutta la loro forza, perché ridotte al rango di esercizio. La cultura non arriva al cervello perché è stata ridotta a compito da svolgere per il giorno dopo, a pedaggio da pagare per ottenere un voto, che poi darà diritto ad un diploma, e quindi, eventualmente e fortunosamente, ad un impiego, in attesa della pensione». Uno sfogo abrasivo.

Quindi la DAD impoverisce un insegnamento … già povero di suo? Un omogeneizzato per la dieta del pensiero?
Con il sogno (insensato?) che la scuola italiana diventi una priorità rispetto al campionato di calcio, lascio la (non) conclusione ad Albert Einstein: «La scuola dovrebbe sempre tendere a sfornare giovani dalla personalità armonica, non specialisti. Il che, a mio avviso, vale in un certo senso anche per le scuole tecniche, i cui studenti si dedicheranno a una professione del tutto specifica. Bisognerebbe sempre dare la priorità allo sviluppo di una capacità generale di pensiero e di giudizio indipendente, non all’acquisizione di una competenza specialistica». Specialisti del consumo e della comunicazione digitale, oscillanti fra il liquido e il ghiacciato?

Nell’ immagine, un particolare dell’affresco (che amo moltissimo) «La scuola di Atene» in cui Raffaello Sanzio rappresenta Euclide tra i filosofi, intento a insegnare i fondamenti della geometria… alla faccia della DAD.

(*) per esempio in questi tre dossier:A scuola non suona più la campanella, Con la didattica a distanza vince la finzione… e Frammenti di un discorso scolastico. Ma vale dare un’occhiata anche a L’urgenza di liberarsi di Google. Quel che Fabrizio Melodia non sapeva è che anche il post successivo al suo oggi parlerà della didattica a distanza. Una oculata scelta redazionale per favorire il confronto? Macchè, qui dominano il dio degli ingorghi e la sua potente cugina Casualità.

(**) termine veneziano per indicare i “lenzuolini” cioè le tipiche indicazioni stradali della città. La loro particolarità è di essere direttamente affrescati sugli edifici e sui luoghi cruciali. Sono dipinti usando forme canoniche, stabilite ai tempi della Serenissima. Ogni nizioeto indica il nome della calle, del campo, del campiello o del canale (o altro) in cui viene posto.

 

L'astrofilosofo
Fabrizio Melodia,
Laureato in filosofia a Cà Foscari con una tesi di laurea su Star Trek, si dice che abbia perso qualche rotella nel teletrasporto ma non si ricorda in quale. Scrive poesie, racconti, articoli e chi più ne ha più ne metta. Ha il cervello bacato del Dottor Who e la saggezza filosofica di Spock. E' il solo, unico, brevettato, Astrofilosofo di quartiere periferico extragalattico, per gli amici... Fabry.

2 commenti

  • Francesco Masala

    a un certo punto leggo “pubblica istruzione”.

    Fabrizio, quell’aggettivo o è satira o speranza.

    un po’ di anni fa il ministero dell’istruzione ha perso l’aggettivo, e nessun sindacato di quelli importanti ha indetto una qualche protesta, sarà che i governi possono fare quello che vogliono, basta la minaccia della revoca dei distacchi sindacali (https://www.edscuola.eu/wordpress/?p=50424) per convincere le controparti, fra le altre cose convincenti.

    pare che fra qualche anno, quando i tempi saranno maturi, il ministero dell’istruzione si chiamerà ministero dell’addestramento.

  • Pierluigi Pedretti

    Da insegnante di liceo ho utilizzato la DAD (Zoom) con orario ridotto ad un terzo del monteore settimanale. Non dimenticando mai che era una “situazione emergenziale” che provocava stress a me e ai miei studenti (comunque privilegiati perchè middle class). Finirà? Spero di sì, ma la vedo dura: ho colleghi con patologie che hanno timore di fare gli esami ravvicinati e ragazzi che raramente partecipano alle lezioni. Come dargli torto? Tutto quel che scrive Melodia è condivisibile se vivessimo nel mondo pre covid, ora non so. Temo per la tenuta democratica del paese, se manca quella altro che scuola come afferma lui: Quando sei presente, hai la possibilità di confrontarti in modo partecipato e vivo, di comunicare in modo totale: vedi, tocchi e respiri la persona.
    Una ultima cosa: Francesco Masala nel suo Commento scrive: nessun sindacato di quelli importanti ha indetto una qualche protesta, sarà che i governi possono fare quello che vogliono, basta la minaccia della revoca dei distacchi sindacali. Una affermazione lasciata scivolare un po’ semplicisticamente laddove la trasformazione dei rapporti di produzione e lavoro che hanno stravolto il mondo negli ultimi decenni non poteva lasciar indenni nessun raggruppamento sociale e politico organizzato.

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