Aloe, Marshall, Autrici varie, la coppia Apostolidis/ Saccoman e due trii (Moltmann, Stefani e Trianni – Consentino, Dodaro e Panella)

6 recensioni di Valerio Calzolaio

Tim Marshall

«Le 10 mappe che spiegano il mondo»

traduzione di Roberto Merlini

Garzanti (originale «Prisoners of Geography»)

pagine 316, euro 19

Pianeta Terra. Ieri oggi domani. Da sempre l’ambiente fisico e il contesto geografico condizionano scelte e sentimenti, le dinamiche storiche individuali e collettive. Fiumi e montagne, deserti e mari, ciclo delle acque e clima hanno influenzato vicenda politica e sviluppo sociale dei popoli, guerre e poteri del passato e del presente. Tutto ciò è noto come “geopolitica”, il rapporto tra fattori geografici e relazioni internazionali. Eppure spesso i confini degli Stati non sono stati tracciati tenendone conto, sia per la violenza esterna di singoli invasori “a prescindere” sia per l’artificiosità di linee imposte da potenze coloniali oltretutto “ignoranti”. La geografia e la storia dello sviluppo delle nazioni risultano cruciali per capire il mondo come è oggi e come potrebbe configurarsi in futuro. Partiamo da dieci mappe, interconnesse, il cui insieme fa l’atlante globale (o quasi): Russia, Cina, Stati Uniti, Europa occidentale, Africa, Medio Oriente, India e Pakistan, Corea e Giappone, America latina, Artide. Si comincia dal Paese più grande (oltre 17 milioni di chilometri quadrati, 11 fusi orari) la cui profondità strategica senza montagne a occidente (una pianura dalla Francia agli Urali ha reso possibili svariate invasioni) e senza porti su acque temperate (la mancanza di accesso alle rotte commerciali più importanti ha imposto costi e compromessi) ha inevitabilmente finito per prevalere sull’ideologia di chi ha guidato il Paese, zarista o comunista o neocapitalista. La geografia è sempre stata una “prigione” da cui gruppi umani e leader istituzionali hanno spesso faticato a evadere. Tutti i problemi e i conflitti quotidiani non ne prescindono. Per ora è inutile illudersi troppo sui diritti umani e sui valori occidentali.

Il bravissimo colto giornalista e analista inglese Timothy John Tim Marshall (1959) ha scritto un libro prezioso per orientarsi fra le “notizie” internazionali di questi anni con lungimiranza sana e spirito critico, verso quanto è già accaduto, quanto leggiamo e vediamo di giorno in giorno e quanto probabilmente accadrà. Il volume contiene oltre una 15ina di mappe in bianco e nero che combinano barriere fisiche e statuali, all’inizio dei capitoli e qualche volta anche dentro, oltre a una finale discreta bibliografia essenziale. La narrazione è accurata, piena di spunti (pure terminologici e culturali), briosa e competente, con riferimenti trasversali in ognuno dei dieci capitoli a caratteristiche geografiche (e abitabilità degli spazi), storia moderna e contemporanea, confini sui quattro lati, demografie e migrazioni antiche recenti prevedibili. Si arriva infine al Mar Glaciale Artico (14 milioni di chilometri quadrati) scosso da cambiamenti climatici che lo renderanno crocevia migratorio per nuove rotte e patrimonio energetico pericolosamente sfruttabile, forse in modo più condiviso. L’autore ci induce a riflettere meglio sulla discutibile presunzione d’onnipotenza (anche tecnologica) degli umani sapienti ed è cosa buona e giusta: gli ecosistemi sono variabili indipendenti e permanenti. Marshall raggiunge il suo obiettivo, pur se non tutte le scienze sono tenute in debito conto: di biologia e fisica poco si parla, si allude solo vagamente all’evoluzionismo e ad alcuni importanti aspetti dell’ecologia (le relazioni fra specie, i relativi equilibrio e resilienza, i limiti planetari ora raggiunti o sfiorati), sono rari i cenni alla storia prima dell’imporsi delle potenze navali, le mappe sono funzionali ma “povere” e non all’altezza della trattazione scritta. Da leggere e meditare.

 

Jürgen Moltmann, Piero Stefani, Paolo Trianni

«La terra come casa comune. Crisi ecologica ed etica ambientale»

traduzione di Andrea Gloria Michler

EDB

pagine 62 per 6,90 euro

Prima durante e forse dopo la vita. Ora ed eventualmente poi. Finalmente una stimolante riflessione che intreccia teologia ed ecologia! Tre docenti di teologia (a Bonn, a Milano, a Roma) affrontano “La terra come casa comune. Crisi ecologica ed etica ambientale”. Come spiega il direttore del Centro per le scienze religiose Marco Ventura «il movimento della terra e il movimento della religione si intersecano», ripensando testi sacri e mutando orientamenti superati. A partire dalle relazioni a un convegno del maggio 2017, l’ecoteologo Jürgen Moltmann insiste sulla «terra, nostra patria» spiegando «la dignità di tutte le creature». Piero Stefani ricomprende «i viventi nell’orizzonte della creazione», con donne e uomini “specifici” perché responsabili individualmente e collettivamente. Il giovane Paolo Trianni collega «sensibilità vegetariana ed etica ambientale». La recente enciclica papale riflette dunque molti studi e dibattiti, alle spalle e in avanti. Pensare al divino è un confronto utile per tutti.

Francesco Aloe

«L’ultima bambina d’Europa»

Alterego

pagine 178, euro 13

Da Nord a Sud, Italia meridionale. Non molti anni dopo ora. Qualcosa è accaduto là fuori, nel nostro continente. In poco tempo un intenso cambiamento climatico ha trasformato l’Europa rendendola invivibile: troppo fredda, ampiamente ghiacciata, lambita da un mare radioattivo, scossa da terremoti ed eruzioni continui, da venti piogge incendi nebbie in siti inconsueti. Città e strade sono stati abbandonati, non funzionano mezzi di trasporto, tutto risulta divelto e deserto, l’unica alternativa sembra sia riuscire a fuggire in Africa, senza bagagli e trovando oro o pietre per pagare il trasbordo agli scafisti. Ma i sopravvissuti sono pochissimi, si riesce solo a camminare verso sud, cercando acqua e residui di cibo nel dissesto generale, con il rischio dei predoni e dei “soldati” del Reggimento Verde. Da qualche mese una famigliola sta costeggiando l’Adriatico, ora si trovano fra Puglia e Basilicata, ormai è autunno e tentano comunque di spostarsi a piedi verso la Calabria, lo stretto, la Sicilia, in tutto dovrebbero fare ottocento chilometri. Sono un uomo con la barba, una moglie vegetariana incinta (ormai circa al sesto mese) e la loro figlia bionda di 8 anni, Sofia, magri sfiniti sporchi acciaccati. Ricchi solo dei ricordi di tempi felici (il concepimento era avvenuto subito dopo la fuga, in una notte di stelle cadenti, sulle rive del lago di Suviana nell’Appennino bolognese) incontrano altri profughi, killer, tanti morti isolati o in fosse comuni. Continuano a scappare, a ripararsi in qualche modo, a marciare. Sarà dura.

Il giovane promettente direttore editoriale Francesco Aloe (Catanzaro, 1982) già autore di buoni romanzi si cimenta con un genere spesso chiamato Climate Fiction. La sostanza del cambiamento climatico descritto è improbabile a breve e medio termine, a Nord tende a diventare più caldo. Vero è che una volta innescato il riscaldamento globale (di origine antropica) si susseguiranno sempre più eventi meteorologici estremi, dinamiche non cicliche, svolte inattese e repentine, effetti imprevedibili. E lo scenario proposto dal libro sarebbe un’apocalisse straordinaria e terribile per noi ma è da decenni l’apocalisse ordinaria e terribile di milioni di persone in fuga dai cambiamenti climatici dell’Africa subsahariana e di altri parti del mondo. Basterebbe ascoltare o leggere i loro drammatici racconti (quando sopravvivono)! Dovremmo pensare a ogni ragazzino e a ogni nucleo familiare che arriva dall’Africa come se domani fossimo noi costretti a salvare altrove “L’ultima bambina d’Europa” (da cui il titolo): gli sconvolgimenti sociali ed emotivi, i pericoli e gli orrori di un viaggio senza niente dietro (né beni né abitudini), il futuro del tutto incerto e i desideri da affidare al vento. Ci sono ragioni e sentimenti nella toccante narrazione, in terza fissa sul padre. Il rum ha un odore pungente, è un piacere da dimenticare, meglio barattarlo.

 

Emanuele Apostolidis e Isacco Saccoman

«Sette giorni in Grecia»

Becco Giallo

pagine 192, euro 17

Grecia. Se capita. Bella idea, un taccuino di viaggio a fumetti con suggestioni, curiosità, tradizioni e cibo per “Sette giorni in Grecia”. Si tratta di 7 itinerari scelti da un nipote con sua nonna (Afrodite), qualche pagina scritta per orientarsi, un’avventura a vignette per comunicare meglio: il centro e le periferie di Atene, da Patrasso a Corinto, le 56 isole delle Cicladi, il Dodecaneso (non solo Rodi), le Sporadi, da Salonicco ai sette monasteri di Meteora, Creta. Lo sceneggiatore poeta Emanuele Apostolidis (Schio, 1982) e il fumettista illustratore Isacco Saccoman (Mira, 1987) hanno poi aggiunto in appendice qualche piatto tipico e un dizionario linguistico per il turista, fornendoci così una guida simpatica e originale di bei luoghi da rivisitare, prima o poi.

 

Autrici varie (a cura di Elisabetta Bucciarelli)

«L’uomo nero»

Caracò

pagine 140, euro 14

Luoghi e tempi vari. I racconti contenuti in “L’uomo nero” sono stati scritti (appositamente, attraverso un percorso comune) da Simona Giacomelli, Anna Scardovelli, Cira Santoro, Elena Mearini, Cristina Zagaria, Monica Stefinlongo, sei scrittrici. Narrano di un 50enne apicoltore poeta, un maturo professore (di chimica) doppiatore (di passione), un vecchio macchinista teatrale, un 32enne product manager cocainomane, un bel poliziotto in carriera, un 47enne speaker dj radiofonico, uomini. Come spiega la curatrice Elisabetta Bucciarelli «guardare i maschi e provare a ragionarci sopra, abbandonando le solite categorie antagoniste, cancellando per un’istante la parola “contro”, non è un’operazione semplice». Il fertile laboratorio parte dalla cattiveria di genere per cercare incrinature di cambiamento rispetto allo stereotipo maschile imperante, da qualunque essere umano siano praticate.

Marco Consentino, Domenico Dodaro, Luigi Panella

«I fantasmi dell’Impero»

Sellerio

pagine 546, euro 15

Addis Abeba, Etiopia. 1937. Evviva, sia lode al genere giallo. L’avvocato penalista Luigi Panella possiede un enorme archivio con varia documentazione (anche fotografica) sulla presenza coloniale in Etiopia, privatamente raccolta e collezionata, nota e ignota: stragi, sconfitte, paranoie, pure segreti e complotti. Fra fascicoli del Ministero dell’Africa italiana ha rinvenuto tracce di un’inchiesta condotta nel 1938 da un magistrato militare su un ufficiale criminale. Ne parla con due amici a cena, il funzionario parlamentare Marco Consentino e il collega Domenico Dodaro. Vale la pena scriverci un libro, si sono detti, e per narrare tanta verità scelgono i contorni della fiction di genere noir. Studiando ancora, inventando e intrecciando scritture, consegnano tre anni dopo un grande esordio letterario. L’editore ci crede, suggerisce tagli, stampa anche telegrammi e dispacci originali, inserisce qualche immagine. Ora il romanzo “I fantasmi dell’Impero” è proprio da leggere.

Redazione
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2 commenti

  • I FANTASMI DELL’IMPERO.
    Buono come giallo ma storicamente molto carente. Forzature e mezze verità.

  • domenico stimolo

    Ho letto con “voracità” e velocità “ I fantasmi dell’Impero”. Sarà stato il “richiamo” di mio padre che per diversi anni fu militare nei luoghi narrati.
    Certo, nel libro ci sono parecchie “fantasmagorie” ricostruttive sulle dinamiche discorsive dei protagonisti raccontati, alcuni di primaria importanza nei reali eventi storici.
    Però i “materiali” storiografici riportati sono di prima mano. Chi legge comprende bene il contesto, in particolare le enormi distruzioni umane e materiali provocate dalle voglie sterminatrici coloniali della dittatura fascista.
    Lì ci fu il vero campo di battaglia delle “teorie” e delle nefaste pratiche razziste. Ovviamente “nell’uso” delle giovinette, il razzismo veniva sempre messo da parte. La goduria dello sfruttamento maschilista sopra ogni cosa.

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