Altri passi verso la catastrofe bellica

1- spese militari italiane in crescita; 2 – Giorgio Nebbia sulle armi nucleari; 3 – altri materiali in “bottega”  

1- «Spese militari in crescita nel 2017, ma terrorismo e migranti non sono la causa»

Oltre 23 miliardi di euro, cioè circa 64 milioni di euro al giorno. È quanto spende lo Stato italiano per le spese militari secondo il primo rapporto Milex 2017 dell’Osservatorio sulle spese militari italiane. “Boom della spesa in armamenti: +10 per cento nel 2017 e dell’85 per cento rispetto al 2006”

Cresce la spessa militare italiana nel 2017: siamo a quota 23,3 miliardi di euro, pari a oltre 64 milioni di euro al giorno, ma non è la lotta al terrorismo, il contrasto alla criminalità o il controllo dell’immigrazione a far lievitare il conto, come spesso si sente dire. A sostenerlo è l’Osservatorio sulle spese militari italiane nel suo primo rapporto Milex 2017 presentato questo pomeriggio presso la sala stampa della Camera dei deputati. Promosso da Enrico Piovesana e Francesco Vignarca con la collaborazione e la struttura operativa del Movimento Nonviolento nell’ambito delle attività della Rete Italiana per il Disarmo, l’Osservatorio ha come obiettivo quello di rendere trasparenti le spese militari “analizzandone gli aspetti critici inerenti alla loro razionalità, utilità e sostenibilità”. E nel lungo rapporto, i cui risultati sono stati anticipati già lo scorso novembre, i dati aggiornati parlano di un aumento decisivo della spesa se confrontati col 2006 (+21 per cento), mentre “rispetto al 2016 si registra un aumento di quasi l’1 per cento” con un rapporto spese militari/Pil che “rimane vicino all’1,4 per cento”.

Nelle cento pagine dello studio vengono confrontati nel dettaglio i dati governativi con le stime degli autori. “La scelta metodologica di base è stata quella di considerare le risorse destinate dallo Stato, in varie forme, alla spesa militare e non la spesa effettivamente sostenuta, quindi il budget assegnato, non la sua gestione di cassa – spiegano gli autori -. Questo perché si è scelto di dare risalto alla scelta politica piuttosto che alla dinamica contabile, nella quale per altro entrano in ballo meccanismi (come ad esempio la re-iscrizione a bilancio consuntivo dei cosiddetti residui perenti) che rendono difficile soppesare le spese effettivamente ascrivibili all’anno considerato”. Il rapporto, quindi, mira a ricalcolare quelle che sono le spese militari effettive filtrando alcune voci, come ad esempio i costi relativi alle funzioni di polizia e ordine pubblico svolte dall’arma dei Carabinieri “considerando solo il costo relativo alle spese per i Carabinieri destinati all’impiego in attività di natura specificamente militare, vale a dire le missioni militari all’estero e le funzioni di polizia militare” e aggiungendone delle altre derivanti da altri dicasteri, come i finanziamenti destinati alle missioni militari all’estero “interamente a carico del ministero dell’Economia e delle Finanze, presso il quale dieci anni fa è stato istituito un apposito fondo missioni”.

Un lavoro certosino e complesso che mette in evidenza le discrepanze tra i dati e le affermazioni del ministro della Difesa, Roberta Pinotti, che in diverse occasioni (riportate nel testo) ha parlato di una riduzione delle risorse o soltanto di un mancato aumento. “L’andamento storico evidenzia una netta crescita fino alla recessione del 2009 con i governi Berlusconi III e Prodi II – si legge nel rapporto -, un calo costante negli anni post-crisi del quarto governo Berlusconi, una nuova forte crescita nel 2013 con il governo Monti, una flessione con Letta e il primo anno del governo Renzi e un nuovo aumento negli ultimi due anni. Prendendo in considerazione l’ultimo decennio (2008-2017), le spese militari italiane fanno registrare un aumento del 2,2 per cento a valori correnti a parità di rapporto spese/Pil”.

Tra i dati analizzati emerge soprattutto un “boom della spesa in armamenti”, cresciuta del “10 per cento nel 2017 e dell’85 per cento rispetto al 2006. “La spesa annua complessiva in armamenti nel 2017 supera i 5,6 miliardi (pari a oltre 15 milioni di euro al giorno) – si legge nel rapporto – arrivando a rappresentare quasi un quarto della spesa militare complessiva. Una spesa, spiegano gli autori, “sempre più a carico del Mise e finanziata con mutui onerosissimi con tassi del 30-40 per cento”. Aumenta anche la spesa per le missioni militari all’estero. “Lo stanziamento per le missioni 2017 – si legge nel rapporto -, deliberato dal Consiglio dei Ministri il 14 gennaio secondo la nuova legge quadro entrata a vigore lo scorso 31 dicembre, ammonta a 1,28 miliardi di euro, con un aumento di circa il 7 per cento rispetto agli 1,19 miliardi del 2016”. Il testo contiene anche un approfondimento sui costi reali degli F-35 che, nonostante le tante critiche, hanno visto un “aumento di budget da 13 a 14 miliardi complessivi”.

A giustificare l’aumento delle spese militari, secondo Piovesana e Vignarca, spesso vengono chiamate in causa tematiche come la lotta al terrorismo, il contrasto della criminalità e il controllo dell’immigrazione. Per gli autori, però, si tratta di giustificazioni “discutibili”. “La lotta al terrorismo dopo un attentato dell’Isis, il controllo dell’immigrazione dopo l’affondamento di un barcone nel Mediterraneo, il contrasto alla criminalità dopo un grave fatto di cronaca nera sono tutte argomentazioni che, se obiettivamente analizzate, risultano non rispondenti alla realtà”. Sostenere che gli F-35 possano servire nella lotta al terrorismo, spiega il testo, “non è solo falso, ma deleterio in termini di sicurezza nazionale”. Così come è falso, per gli autori, sostenere che le “nuove navi da guerra della Marina servono per soccorrere i profughi del Mediterraneo”. Per gli autori, bastano “navi appositamente attrezzate per il recupero in mare e il primo soccorso, coordinate da mezzi aerei e satellitari per il pattugliamento: in una parola, il tipo di mezzi aero-navali in dotazione alla Guardia Costiera, non a caso marginalizzata nelle operazioni in Mediterraneo”. Autori scettici anche sull’uso delle forze armate sul territorio nazionale contro la criminalità, come nel caso dell’operazione Strade sicure. Operazioni che per gli autori servirebbero soltanto ad “aumentare la sicurezza percepita sottraendo ingenti risorse (120 milioni di euro nel 2017) che qualora fossero assegnate alla Polizia consentirebbero invece di aumentare la sicurezza reale dei cittadini”. (ga) – 15 febbraio 2017

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2 – «Armi nucleari: misteri e commedie»

di Giorgio Nebbia

Si è svolto, nei mesi scorsi un vasto dibattito interno e internazionale sulla eliminazione delle armi nucleari, il più grande pericolo che incombe, insieme ai mutamenti climatici, sul futuro non solo degli italiani, ma di tutti i terrestri.

Ci sono oggi, all’inizio del XXI secolo, circa 15.000 bombe nucleari negli arsenali di nove paesi: Stati Uniti e Russia (che hanno il maggior numero di bombe), e poi Cina, Regno Unito, Francia, Israele, Pakistan, India e Corea del Nord.

Da anni si levano le voci di coloro che chiedono l’eliminazione di tali bombe la cui potenza distruttiva è oltre mille volte superiore a quella di tutti gli esplosivi usati durante la seconda guerra mondiale. Una bomba termonucleare “piccola”, da una dozzina di chiloton, ha la potenza distruttiva equivalente a quella di una dozzina di migliaia di tonnellate di tritolo.

Da anni le speranze di disarmo si scontrano con l’opposizione dei paesi, grandi e piccoli, dotati di bombe nucleari che non vogliono rinunciare al potere di minacciare qualsiasi ipotetico avversario che avesse l’idea di aggredirli, a sua volta, con un attacco nucleare; la chiamano deterrenza.

Eppure il Trattato di non proliferazione delle armi nucleari NPT, firmato da quasi tutti i paesi nel 1975 prescrive che si deve evitare la diffusione di tali armi con l’obiettivo (articolo VI) di arrivare ad un futuro disarmo nucleare totale.

Eppure nel 1998 la Corte internazionale di Giustizia ha riconosciuto l’illegalità delle armi nucleari, armi di distruzione di massa come quelle chimiche e biologiche la cui esistenza è stata pure vietata. Nonostante questo non si riesce a far nessun passo verso trattative per il disarmo nucleare.

Soltanto di recente un gruppo di paesi ha preso l’iniziativa di proporre alle Nazioni Unite una risoluzione (A/C.1/71/L.41) che imponga l’avvio di trattative per il disarmo nucleare. Il 26 ottobre 2016 la I Commissione dell’Assemblea Generale ha votato a larga maggioranza a favore di tale risoluzione; l’Italia, che ospita alcune bombe termonucleari americane ad Aviano e Ghedi, ha votato contro. Se ne è parlato in un breve intervento intitolato: Vergogna in eddyburg.

Per inciso lo stesso giorno il Parlamento Europeo aveva approvato a larga maggioranza una risoluzione (2016/2936(RSP)) di sostegno all’apertura di trattative di disarmo nucleare.

La proposta di risoluzione A/C.1/71/L.41, è stata esaminata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 23 dicembre 2016 ed è stata approvata con 113 voti a favore, 35 contrari (Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Russia, Israele, eccetera) e 13 astensioni (fra cui la Cina).

In questa votazione il rappresentante dell’Italia ha votato a favore dell’avvio di trattative per il disarmo nucleare.

A molti di noi si è allargato il cuore: finalmente un gesto di pace, magari influenzato dall’invito al disarmo nucleare espresso con energia nel messaggio per la giornata della Pace annunciato da Papa Francesco per il 1 gennaio 2017.

Nei giorni successivi alcuni parlamentari hanno presentato delle interrogazioni al governo esprimendo apprezzamento per il voto all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite e chiedendo che, per coerenza, venga chiesto agli Stati Uniti di ritirare le bombe nucleari depositate in Italia.

Entusiasmo di breve durata. Il viceministro Mario Giro ha risposto, nella seduta della commissione esteri del 2 febbraio 2017: “Desidero chiarire che l’intenzione di voto dell’Italia durante la sessione plenaria della 71ma Assemblea Generale delle Nazioni Unite sulla Risoluzione «Taking forward multilateral disarmament negotiations», è stata alterata da un errore tecnico-materiale che ha interessato anche altri Paesi. L’erronea indicazione di voto favorevole è stata successivamente rettificata dalla nostra Rappresentanza Permanente presso le Nazioni Unite, che ha confermato il voto negativo espresso in Prima Commissione. Secondo quanto mi segnalano, tale errore sembra essere dipeso dalle circostanze in cui è avvenuta la votazione, a tarda ora della notte del 23 dicembre”.

La risposta continua spiegando perché il governo italiano è contrario all’avvio di colloqui per il disarmo nucleare ed è fautore, invece, di un “approccio progressivo” al disarmo.

Comunque nelle registrazioni di voto, in questa fine di febbraio 2017, il voto dell’Italia del 23 dicembre 2016 risulta ancora “YES”, a favore dell’avvio dei negoziati per il disarmo nucleare e non sembra quindi che il governo italiano abbia fatto correggere l’”errore” del suo funzionario.

Il voto italiano a favore di tali negoziati è stato dovuto ad una distrazione del funzionario che era in aula, quasi a mezzanotte dell’antivigilia di Natale, o ad una obiezione di coscienza del funzionario alle direttive del governo, o al pentimento o ripensamento del governo stesso?

Una commedia per il comportamento del governo, e una vergogna se davvero il governo continua nella decisione di opporsi a trattative che allontanino i pericoli di catastrofi rese possibili dall’esplosione anche solo di una bomba nucleare per errore di un operatore o per un atto terroristico.

Mi risulta che ci siano iniziative per chiedere al governo almeno di partecipare alle riunioni della commissione, istituita dalla risoluzione (ora denominata A/RES/71/258) approvata dalle Nazioni Unite, che dovrebbe avviare le trattative per il disarmo nucleare e che si svolgeranno a New York dal 27 al 31 marzo e dal 15 giugno al 7 luglio 2017.

Bisogna continuare a mobilitarci soprattutto alla luce della politica del nuovo presidente degli Stati Uniti che dichiara di voler potenziare e ammodernare il suo arsenale di bombe nucleari, e alla luce delle crescenti tensioni internazionali.

Bisogna continuare a mobilitarci, ricordando l’avvertimento con cui finisce il libro e il film L’ultima spiaggia (1959), davanti ad un pianeta i cui abitanti sono stati sterminati dalla radioattività liberata da una guerra nucleare cominciata “per caso”: “Fratelli, siete ancora in tempo a rinsavire”. Ma il tempo è poco.

(*) fonte www.eddyburg.it/«Eddyburg» si occupa di urbanistica, società, politica – urbs, civitas, polis; pubblicato il 27 febbraio.

3 – altri materiali in “bottega”

Intorno alle guerre – palesi e nascoste – in corso e alla catastrofe riarmista ecco alcuni degli ultimi post: Malafede atomica di Angelo Baracca; Esportare armi, importare profughi… sugli sporchi affari italiani in Yemen; Le macerie della democrazia: soldi per le guerre di Manlio Dinucci (un punto di riferimento fondamentale per studiare cosa succede dalle parti dei mercanti di armi); La morte fa mercato di Luca Cellini; Marco Minniti, sempre all’ombra della Nato di Antonio Mazzeo, altro giornalista da seguire con attenzione.

LE IMMAGINI sono di Giuliano Spagnul – la terza e la quarta – e di Vincenzo Apicella.

Redazione
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