America latina: la nuova frontiera del gas shale

Il fracking causa enormi problemi a livello sociale e ambientale

di David Lifodi

Lo scorso giugno, a Bruxelles, è stata approvata dal Parlamento europeo una risoluzione che prevede la possibilità, per le multinazionali del vecchio continente, di estrarre gas shale dai paesi latinoamericani, nonostante i potenziali rischi a livello ambientali derivanti dalla controversa tecnica di estrazione tramite la fratturazione idraulica. Tra i paesi che risentiranno maggiormente di questa decisione Argentina e Messico, i paesi latinoamericani con le maggiori riserve di gas shale.

Abbastanza inopinatamente, la risoluzione “Proyecto de propuesta de resolución sobre oportunidades y desafíos del gas de esquisto en los países de América latina y el Caribe” è stata approvata anche dalla Celac (Comunidad de Estados Latinoamericanos y Caribeños), sebbene sul gas shale pesino interessi commerciali, geopolitici e geoeconomici enormi. Sull’approvazione della risoluzione hanno influito certamente i bassi costi di estrazione del gas, dovuti ai progressi tecnologici nell’estrazione a livello europeo e latinoamericano, la volontà di raggiungere l’indipendenza energetica da parte dell’America Latina e il ruolo sempre più importante giocato proprio dalla regione latinoamericana nello scacchiere dell’economia mondiale. La risoluzione, proposta dall’eurodeputata spagnola del Partito popolare europeo Pilar Ayuso, è stata recepita dai paesi latinoamericani, nonostante il fracking provochi l’inquinamento di enormi masse d’acqua, effetti di sismicità indotta e problemi di salute derivanti dall’utilizzo di prodotti chimici che contaminano l’acqua potabile. La stessa Unione europea, a proposito del fracking, ha mantenuto sempre una certa prudenza, non ponendo alcun divieto, ma raccomandando che tale tecnica sia utilizzata solo dopo aver preso tutte le possibili precauzioni a livello ambientale. Gli Stati Uniti, pionieri nell’estrazione del gas shale, prevedono che la loro produzione sarà triplicata nel 2035. L’indagine indipendente condotta dall’associazione Friends of the Earth Europe, “Fracking en Latinoamérica: amenazas desde las nuevas fronteras del gas shale”, evidenzia che il presidente messicano Peña Nieto sembra intenzionato ad investire nell’estrazione di gas shale: attualmente in Messico sono presenti 165 pozzi di gas shale, tutti in zone già ad alto rischio sismico e con carenza di acqua. Inoltre, l’impresa statale Pemex intende aprire altri 75 pozzi in compagnia della famigerata multinazionale Usa Halliburton, nonostante l’apertura di nuovi giacimenti avvenga in aree naturali protette dalla Convenzione di Ramsar, tra cui il parco nazionale Cumbres de Monterrey, la Laguna Madre e il Delta del Río Bravo, quest’ultime nello stato di Tamaulipas, dove già dal 2014 è stato registrato il fenomeno del cosiddetto enjambre sísmico, caratterizzato da improvvisi movimenti tellurici, in luoghi ben    definiti, per brevi periodi di tempo. L’Observatorio Petrolero Sur avverte che anche Brasile, Argentina e Bolivia stanno sperimentando tecniche di estrazione del gas shale legate al fracking senza dare alcuna informazione alle popolazioni, sebbene tra i rischi principali ci siano anche quelli legati a casi di cancro e malformazioni per gli esseri umani. In nessun paese dell’America Latina, denuncia la Asociación Interamericana para la Defensa del Ambiente, è stata condotta una campagna efficace ed esaustiva legata ai rischi derivanti dal fracking. È evidente che l’estrazione di gas shale, connessa alla questione energetica, attenta alla sovranità territoriale dei paesi latinoamericani e fa esclusivamente gli interessi delle multinazionali, non  a caso non è stata svolta alcuna consultazione previa delle popolazioni, come invece dovrebbe avvenire in  casi del genere. Un esempio di aperta violazione dei diritti delle persone, e della sovranità territoriale, arriva dal Cile, dove il terminal di rigassificazione Octopus (nella città di Concepción) e altri si apprestano a ricevere le prime importazioni di gas shale dagli Stati Uniti a seguito degli accordi stipulati in gran segreto tra la presidenta Michella Bachelet e Obama a ratifica di quanto già sancito dallo stesso presidente Usa e l’ex presidente cileno Sebastián Piñera fin dal 2011. L’importazione di gas shale dagli Stati Uniti risale appunto al 2011, quando la Cámara Chilena Norteamericana de Comercio creò il Consejo de Energía Chile-Estados Unidos, una lobby imprenditoriale impegnata a promuovere la tecnica del fracking a tutti i livelli nel segno di una rete di gasdotti interconnessi che permettano il commercio del gas naturale tra i paesi del Cono Sur latinoamericano (Argentina, Bolivia, Brasile, Cile, Paraguay, Uruguay, Perù). Per adesso, le uniche informazioni sui potenziali rischi del fracking sono giunte dalle organizzazioni sociali latinoamericane, che evidenziano anche probabili problemi geopolitici legati all’estrazione del gas shale: le province più ricche dei paesi latinoamericani potrebbero chiedere legislazioni autonome, più favorevoli, e distaccarsi dai governi centrali (il caso dei dipartimenti dell’Oriente boliviano insegna). In assenza di una normativa univoca, alcuni paesi hanno già cominciato ad utilizzare il fracking senza alcuna precauzione a livello ambientale e di diritti umani (è il caso di Colombia e Messico).

Ancora una volta, in America Latina come altrove, il profitto viene prima delle persone.

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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