Amianto/Enichem: incomprensibile sentenza a Ravenna

di Vito Totire (*)

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Presenteremo appello contro la sentenza pronunciata questa mattina a Ravenna; ovviamente attendiamo le motivazioni. Auspichiamo pure che la Procura Generale faccia ricorso, come fece ricorso la Procura di Bologna contro una delle sentenze relative alla OGR delle ferrovie.

Dopo una istruttoria e un dibattimento durato anni – nel corso dei quali riteniamo che la pubblica accusa e le parti civili abbiano portato elementi ampiamente probanti che consentivano una condanna penale in termini di ragionevole certezza dell’accertamento delle responsabilità – ci siamo trovati di fronte a una sostanziale assoluzione che verosimilmente deve aver preso le mosse da alcune tesi della difesa degli imputati, infondate sul piano dei fatti storici e materiali ma anche respinte dalla comunità scientifica in relazione alle cause di malattia.

Se la sentenza di oggi fosse motivata dovremmo procedere alla rifondazione della medicina del lavoro, della oncologia, della eziologia delle malattie e buttare via interi gli studi di epidemiologia fatti negli ultimi 70 anni. Non solo: verosimilmente dovremmo anche dubitare dei pilastri delle nostre conoscenze in materia di prevenzione.

Paventiamo che il danno di questa sentenza vada oltre il processo di Ravenna in quanto tale poiché riproporre tesi infondate crea confusione e disorientamento anche rispetto alle condotte da adottare in materia di prevenzione.

Come si è detto «leggeremo le motivazioni» anche perché potrebbe nascere un quesito: serve a qualcosa fare processi penali in Italia in materia di omicidio colposo sul lavoro? Quale livello di “certezza” occorrerebbe fornire oltre quello portato in aula dalla accusa e dalle parti civili?

Le parti civili hanno argomentato che i casi giunti a giudizio erano solo una parte di quelli verificatisi, come si deduce in maniera inoppugnabile dal confronto tra i mesoteliomi discussi nel processo e i tumori polmonari “mancanti all’appello”;

Ma – come si è detto – forse qualcuno ritiene utile rottamare tutto quello che la comunità scientifica ha acquisito fino a oggi.

Anche per evitare pareri sommari, leggeremo le motivazioni, una questione però emerge subito dalla lettura della sentenza pronunciata. C’è stata una condanna per la asbestosi di un lavoratore. Se esistevano le condizioni per l’insorgenza di una patologia correlata a livelli di esposizione molto alta (appunto la asbestosi polmonare parenchimale, da non confondere con le placche asbestosiche) come è possibile che non siano state riconosciute altre patologie (tumorali questa volta) che mostrano una curva dose-risposta “positiva” a partire da livelli di esposizione molto più bassi di quelli che possono indurre asbestosi? E’ possibile che, pur lavorando in un ambiente “asbestosigeno” i lavoratori abbiano contratto i mesoteliomi, per esempio, da altre fonti o occasioni di esposizione? E la signora che è morta per mesotelioma pleurico dove e quando potrebbe essere stata esposta al rischio se non, in ambito domestico, lavando le tute del marito?

Noi rispettiamo la autonomia della magistratura ma quando le cose sono “incomprensibili” vorremmo ci venissero spiegate…

(*) Vito Totire è medico del lavoro e presidente nazionale AEA – associazione esposti amianto e rischi per la salute; era parte civile nel processo Enichem di Ravenna.

LA VIGNETTA – TRISTEMENTE VERA, CI SONO ANCHE OPERAI CHE DIFENDONO LE FABBRICHE ASSASSINE – E’ DI VAURO.

 

Redazione
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2 commenti

  • Se e’ vero che il mesotilioma da esposizione ad amianto ha un tempo di incubazipne nei polmoni
    di 30/ 40 anni…..all’ANIC nel 1971 eravamo in 5000 dipendenti circa…..
    Nei prossimi anni come qualcuno enuncia avremo un picco elevato di malati di asbestosi ( noduli polmonari riconducibili all’ edposizione all’amianto)…
    Queste persone e le loro famiglie in quale modo verranmo tutelate?
    Considerando che gia’ oggi vi sono diversi riscontri…..

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