«Amore» in teoria

un volantino del collettivo anarchico di Imola «Incubo Meccanico» e un piccolo post scriptum dialogante di db

spagnul-amorevirale
Proprio in questi giorni sta per arrivare in Italia il nuovo film-documentario di Erik Gandini «La teoria svedese dell’amore».
Pellicola che a primo impatto sembra trattare di un “futuro distopico”, lontano e impossibile da verificarsi, se non altro nell’immediato, peccato che sia girato nella Svezia di oggi e venga raccontato proprio quello che ogni giorno succede nella bellissima società “libera” sì, libera dagli esseri umani.
Il contenuto è agghiacciante e, contrariamente alla martellante pubblicità “sull’efficienza” del modello scandinavo propagandato sempre come il paradiso in terra (anche da quei movimenti di pseudo contro-informazione), in questo documentario notiamo quanto sia vuota, triste e soprattutto INFELICE una vita super tecnologizzata, programmata, ordinata e governata dall’élite scientifica.
Per quarant’anni (dal primo governo di Olof Palme 1969-1976) i governi di ogni colore hanno portato avanti il programma del partito socialdemocratico svedese, la cui opera era orientata alla creazione della “famiglia del futuro”!
Oggi in Svezia il 50% dei cittadini vive solo. Una vita senza l’altro/a e una morte che non è da meno: 1 cittadino su 4 muore in solitudine, abbandonato dai figli. È questa la teoria svedese dell’amore: un’idea talmente assoluta che porta a considerare l’amore autentico solo se tra estranei. O tra sé e sé: la relazione è un peso che sempre meno svedesi sembrano disposti a sopportare. Non serve. Nemmeno per avere figli. Tant’è che sempre più donne single scelgono la fecondazione artificiale.
A 40 anni dal manifesto (Familjen i framtiden- la famiglia del futuro) l’utopia svedese si è rivelata una desolante emancipazione regressiva. Si nasce soli, si vive soli, si muore soli.
Nulla di nuovo sotto il sole: quando la tecnologia invade ogni angolo della nostra vita è proprio questo il risultato, ovvero una società di persone alienate, sempre più sole, che tendono a rinchiudersi in se stesse e che non hanno più bisogno di creare relazioni perché nel proprio mondo stanno meglio.
In poche parole ci troviamo davanti non più un essere umano, ma un robot, e proprio come le macchine ormai ci cambiamo parti del nostro corpo (quando non funzionano più a dovere) attraverso i “tra-pianti”, come le macchine abbiamo bisogno di subire ordini e abbiamo bisogno di continui aggiornamenti per le nostre protesi tecnologiche (cellulari, computer, ecc…), come le macchine ormai dipendiamo dal sistema che ci alimenta e cioè dai suoi farmaci e dalle sue medicine che ci rendono sopportabile tutta questa merda. Siamo praticamente dei tossico-dipendenti di tutto un mondo che ci continua a rimpinzare di nuovi oggetti da comprare, di porcherie da mangiare e di aria finta da respirare.
Rendiamoci conto che quello che oggi succede in Svezia domani potrebbe succedere in tutto il mondo. Un pianeta “ordinato”, “efficiente”, magari rispettoso dei diritti dei lavoratori e pure “eco-compatibile”, un mondo succube della scienza e della cultura che si farà ancora più autoritario, che tenderà a distruggere il diverso e la diversità e a omologare ed appiattire ogni cosa.
La prospettiva di vivere in questo incubo ci fa rabbrividire e deve fare rabbrividire ogni essere umano che ancora si ritiene tale.
Il progresso, questo dannato mostro, non si fermerà davanti a nulla se non siamo noi ad incepparne i meccanismi e a rifiutarci in prima persona di alimentarne gli ingranaggi; se la civiltà è un processo di auto-repressione, come sosteneva Jared Diamond, della tecnologia si può dire che sia la sferzata finale nei confronti di quel poco di umano che ancora ci rimane.

UN POST SCRIPTUM DIALOGANTE

Care e cari del collettivo «Incubo meccanico» (bel nome per chi – come me – ama la fantascienza) il vostro volantino è intelligentemente controcorrente. Evviva. Che il “modello scandinavo” fosse un pericoloso bluff ho cominciato a sospettarlo tanti anni fa (ero piccolo come voi o quasi) vedendo certi film di Ingmar Bergman ma soprattutto leggendo,nel 1970, un libro di Barbra Beckberger intitolato «L’ideale ridotto di donna». Nel gran casino che è la mia libreria adesso non lo ritrovo ma il senso si intuisce già dal titolo che per l’occasione… allarghiamo a “l’ideale ridotto di essere umano”. Famiglia meccanica con sesso meccanico in Stato meccanico per restare sul vostro nome.

Proprio perché sono d’accordo con l’impianto del vostro discorso, mi permetto di sottoporvi un dubbio che si concretizza soprattutto nell’ultima frase, quella dove citate Jared Diamond che, per inciso, anche io “amo”. Mi chiedo e vi chiedo: il progresso è SOLO un dannato mostro? Quando diciamo così non facciamo confusione fra scienza e soprattutto tecnologia dominata dal capitale – un orrore – e il pensiero scientifico, la pratica della ricerca, lo studio del mondo che ci hanno invece aiutato a migliorare, a liberarci da superstizioni e/o religioni? Lo dico anche perché ho visto di recente – persino fra compagne/i dell’area libertaria dunque tutt’altro che persone sprovvedute – rifiutare tutta la medicina “ufficiale” per tornare a quei “rimedi naturali” che a volte funzionano ma spesso sono truffa. Discorso complesso, io l’ho buttata lì in poche parole. Se ne vogliamo parlare – in “bottega” o altrove, meglio se nel cosiddetto mondo reale dove i corpaccioni si incontrano senza muovere il mouse – ne sono ben contento ché anche io sento sempre il bisogno di ri/chiarirmi quelle poche idee di base. (db)

Ah, la vignetta è di Giuliano Spagnul.

 

Redazione
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2 commenti

  • Ho letto dalla Scandinavia (Meridionale). La vostra descrizione della realtà scandinava non è irrealistica, ma ogni realtà è complessa, e generalizzare in modo assoluto non ha senso e non è utile. Mi piacerebbe molto poterne discutere con voi, ma ovviamente questo non è il mezzo o lo spazio più adatto, data la complessità di cui vogliamo discutere.

    Voglio semplicemente scrivere questo:

    Indipendentemente da ciascuna storia individuale o collettiva, le sfide estremamente difficili che questo secolo ci presenta e ci presenterà richiedono profonda assunzione di responsabilità, individuale e collettiva, alcune regole da condividere e da rispettare, empatia e flessibilità.

    Le barriere rigide, le regole assolute, l’anarchia assoluta e l’individualismo sfrenato, cioè “Faccio ciò che mi pare e piace indipendentemente da ciò che tu dici e consigli” non hanno futuro, perché porteranno probabilmente a guerre civili, nuovi nazifascismi, e quindi all’autodistruzione e all’estinzione, individuale, collettiva e potenzialmente globale.

    Noi “Homo sapiens” abbiamo vandalizzato in moro irresponsabile il nostro pianeta, un raro paradiso in un cosmo stupendo ma indifferente e spesso poco “pacifico”. Il conto ci verrà presto presentato nel corso dei prossimi decenni. Date le tecnologie distruttive che abbiamo già sviluppato, più quelle che verranno, ci sono poche alternative:

    Diventeremo più adulti, più responsabili, più disposti all’empatia, al rispetto reciproco, al dialogo e alla cooperazione, oppure la nostra specie e la sua storia saranno una breve parentesi nella lunga storia del cosmo locale e del nostro pianeta. Nonostante le varie tecnologie che abbiamo a disposizione, prima fra tutte il linguaggio, l’ “Homo sapiens” potrebbe fare la fine dei dinosauri.

    Abbracci da qui, altrove sullo stesso pianeta.
    Ago

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