Anarchico condannato a 28 anni per…

un attentato contro la Lega.

L’articolo di Sergio Sinigaglia (per l’agenzia Pressenza) e il suo successivo commento sul silenzio mediatico

La notizia è di quelle che ti fanno fare un salto sulla sedia: «Attentato alla sede della Lega: anarchico condannato a 28 anni di carcere». Ventotto anni. La vicenda risale a quattro anni fa, quando si verificò un attentato terroristico alla sede della Lega di Fontane di Villorba, in provincia di Treviso. Un ordigno esplose non arrecando danno a nessuno. Un secondo non deflagrò. Secondo gli inquirenti il primo attentato aveva la funzione di attirare sul posto la polizia e la seconda carica esplosiva puntava invece ad avere conseguenze ben più gravi.

L’azione era sta rivendicata dalla “Federazione anarchica informale” e le indagini avevano condotto all’arresto dell’anarchico di origini spagnole Juan Antonio Sorroche Fernandez di 45 anni, attualmente incarcerato a Terni e ritenuto colpevole di «attentato a fini terroristici», secondo la richiesta, pienamente accolta, della pubblica accusa. L’imputato dovrà pagare anche circa cinquantamila euro di risarcimento. Fin qui gli essenziali dati di cronaca.

Naturalmente quando si parla di tribunali e condanne bisognerebbe avere presenti gli incartamenti, le prove e un quadro completo dell’iter processuale. Non sappiamo in base a quali prove Sorroche sia stato condannato, ma pur in mancanza di questi prerequisiti l’abnormità della sentenza non può lasciare indifferenti.

Siamo distanti anni luce da pratiche di questo tipo: mettere a repentaglio l’incolumità altrui non è accettabile.

In questi anni le politiche razziste della Lega sono state avversate in mille modi, in decine di città, con mobilitazioni di piazza e prese di posizione provenienti da ampi settori della società italiana, ma una condanna a 28 anni di carcere è quanto mai allucinante. Soprattutto se si pensa che fatti ben più gravi proposti dalle nostre cronache – omicidi, stupri e quant’altro – si concludono con pene ben più lievi, o in certi casi con assoluzioni sconcertanti.

Personalmente sono da sempre, in linea di principio, contro il carcere e mi trovo in piena sintonia con chi da tempo sostiene la necessità di una sua abolizione. Come spiegato da autorevoli rappresentanti di tale visione della giustizia, questa non significa impunità, ma un approccio radicalmente diverso di fronte ad una tematica che chiama in causa aspetti estremamente delicati e complessi, che non voglio qui affrontare.

Detto questo, di fronte alla sentenza della Corte d’Assise di Treviso non si può evitare di rimanere profondamente turbati e sbigottiti. Ancora una volta la giustizia italiana si muove in una logica di “due pesi e due misure”, come purtroppo accade troppo spesso.

Ci auguriamo che questa sentenza spropositata sollevi la giusta indignazione.

7 GIORNI DOPO

A una settimana dalla condanna a 28 anni dell’anarchico Juan Antonio Sorroche per un attentato sostanzialmente dimostrativo, dato che il secondo ordigno rudimentale fortunatamente non è esploso e il primo era una bomba carta – salvo mie sviste – posso affermare che, almeno al momento, della sentenza non frega niente a nessuno. Autorevoli garantisti, siti di movimento, amici e compagni vari che potevano scrivere o prendere posizione hanno ignorato le varie sollecitazioni che con il caro amico e compagno Andrea di Radio radicale, peraltro in ferie, abbiamo fatto in questi giorni. Non conosco il condannato e seppur anarchico non condivido pratiche che non mi sono mai appartenute, come ho scritto su Pressenza che ringrazio perché l’unico sito di area che ha dato spazio alla grave decisione del tribunale di Treviso. Un amico avvocato mi ha spiegato – dato che fino ad oggi non siamo riusciti a contattare l’avvocato difensore – che presumibilmente è stato scelto il rito ordinario e non quello abbreviato che, per esempio, ha consentito al fascista Traini di prendere 12 anni per la tentata strage a Macerata. Le mancate reazioni rattristano e non ne conosco le ragioni; magari perché si ha a che fare con un gruppo “brutto, sporco e cattivo”, come si dice. Ma non comprendere che in ogni caso si tratta di un grave precedente (seppure mi auguro si ricorrerà in appello) è un po’ assurdo. Ringrazio anche Giulia di Antigone che ha informato i dirigenti nazionali dell’assocazione i quali, in ogni caso – come è noto – si occupano non di condanne ma della situazione carceraria. Detto tutto questo, se si vuole, si può ancora rimediare alla “distrazione”…

 

Redazione
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2 commenti

  • Giuseppe Scuto

    L a condanna è stata comminata da un tribunale; non possiamo sapere quanto il giudizio sia stato approfondito e quanto resti ancora da esaminare.
    Per un tribunale, formato da uno sparuto numero di giudici, può essere anche molto facile gestire la responsabilità di una condanna che esclude un individuo dalla vita e dai rapporti con gli altri per molti anni della sua vita. Basta restare nell’astratto computo della gravità del reato e della “espiazione” in galera.
    Per gli “inquirenti”, ovvero per carabinieri e polizia , si tratta, molto probabilmente di una “operazione riuscita” che comporta vantaggi di carriera e articoli sui giornali.
    In realtà si tratta di una violenza , che ricambia un’altra violenza. Con la differenza che la condanna è efficace nel distruggere la vita del colpevole, altrettanto quanto poco efficace, per sua fortuna , è stato il suo stupido gesto violento, che non ha arrecato danno ad alcuno.

    Perchè la Giustizia, in questo paese, continua a stare sospesa in alto e a mandare condanne inutili e violente contro le minoranze di stupidi e violenti che, come tali si comportano?
    Si tratta del nostro abominevole retaggio storico: cattolico, monarchico, fascista e borghese.

  • Un’azione dimostrativa che non reca danno ad alcuno non può essere definita violenta (tutt’al più distruttiva).
    Per parlare sensatamente di violenza, sarebbe necessario un oggetto umano della medesima: le cose, a differenza delle persone, non sanguinano, non piangono, non muoiono…
    D’altronde, persino Gandhi riteneva il sabotaggio contro le cose una forma estrema della pratica non-violenta.
    Le parole e i giudizi invece possono invece rivelare la violenza di chi le esprime, specie quando mettono sullo stesso piano una singola vittima e il sistema giuridico che lo condanna così ferocemente.
    D’altronde , come ebbe a scrivere qualcuno, “lo stato è la legalizzazione della violenza”.
    La recentissima sentenza per l’assassinio di Serena Mollicone appare emblematica.

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