Anarkikka, Sophie Lamda, Emma Dante ovvero …

… mai mettere lucchetti ai destini

Barbara Bonomi Romagnoli su «Smettetela di farci la festa», «L’amore non basta! Come sono sopravvissuta ad un manipolatore», «E tutte vissero felici e contente»

Il tratto prima di tutto mi ha colpito, quando anni fa mi imbattei in una vignetta di Anarkikka, nome d’arte – mai più azzeccato – di Stefania Spanò: un segno geometrico e al tempo stesso morbido, il bianco e nero alternato a spruzzate di colori e l’essenzialità, anche nell’uso di un lessico puntuale e mai banale per i messaggi trasmessi.

Nella raccolta ragionata edita da People dal titolo «Smettetela di farci la festa» – con l’eloquente sottotitolo “Di discriminazioni in genere” – si ritrovano molte delle sue storie in pillole, vignette ma anche brevi riflessioni sui temi a noi cari, dall’uso dei linguaggi violenti alle molestie e discriminazioni negli studi e nel lavoro. Alcune istantanee sono sempre attuali, altre “datate” perché riferite a notizie del momento, come quella del 2 settembre 2016 in cui Anarkikka sottolinea lo stupro all’italiana caratterizzato dal commento «se l’è andata a cercare», commento che sentiamo anche oggi ma in quel caso era riferito allo stupro di una ragazza violentata per tre anni, dai tredici ai sedici, da nove uomini. Ma ovviamente il giudizio della comunità è ricaduto sulla ragazza, con tutte le attenuanti del caso riferite ai maschi coinvolti. È proprio alla cronaca che spesso Anarkikka fa il controcanto, per contrastare narrazioni retoriche sulla violenza e sui femminicidi ancora dominanti sui media. E per «disinnescare alla base la cultura maschilista e patriarcale di cui i media si fanno specchio» come ricorda Giulia Siviero nella prefazione. Perché Anarkikka fotografa dettagli e comportamenti generalizzati «con la leggerezza di un battito d’ali sa ‘planare sulle cose’, per poi inchiodarle al muro. Sa, soprattutto, levare macigni: e le sono grata, per questo» chiosa Siviero. E, aggiungo, dobbiamo esserle grate anche per la sua arguta ironia e la sua capacità di dialogare e tessere relazioni, una delle pratiche femministe più importanti che Anarkikka ha saputo ripensare anche nell’epoca del mordi&fuggi dei social media.

Accanto al testo di Anarkikka, è uscito un altro fumetto che merita attenzione: «L’amore non basta! Come sono sopravvissuta ad un manipolatore», 294 pagine disegnate da Sophie Lamda, giovane illustratrice francese al suo primo libro, già bestseller in Francia, in Italia edito da Laterza. Lamda racconta la sua storia, si mette a nudo consapevole che quanto le è accaduto può succedere ad altre persone e che sia importante disegnare anche i sentimenti non sani, relazioni distruttive in cui la persona che amiamo è narcisista e manipolatrice al punto da farci ammalare, anche solo per sostenere la vergogna di doverne parlare. Anche l’autrice francese ha il dono dell’ironia e il fumetto scorre veloce in un lungo flashback che ripercorre la storia del suo amore malato, in uno sdoppiamento fra cuore e cervello, fra la parte di lei che cade nei tranelli del partner – in una altalena continua di autosvalutazione, autocommiserazione e depressione – e quella che inizia ad avere dubbi e intesse un divertente dialogo con il pungente Chocolat, orsetto di peluche che diventa la “voce” della sua coscienza, facendole capire che non è lei il problema. Il testo mantiene una forte godibilità anche quando si trasforma in una sorta di manuale d’uso, con riferimento esplicito alle teorie e agli studi scientifici che possono aiutare a capire chi si ha dinanzi, prima che sia troppo tardi e che la sindrome della crocerossina accechi più dell’amore romantico.

Anche perché, come ha ben riscritto Emma Dante, regista e drammaturga di fama internazionale, in «E tutte vissero felici e contente» [La nave di Teseo] chi lo dice che si debbano avere come modelle di riferimento le protagoniste tradizionali delle favole: perché non immaginare nuove personagge a cui ispirarsi che non hanno bisogno di principi o salvatori, di amori a immagine e somiglianza degli uomini? Dante non solo reinterpreta le classiche Cappuccetto Rosso, Rosaspina, Biancaneve e Cenerentola con l’ausilio di bellissime illustrazioni di Maria Cristina Costa ma vi aggiunge anche uno sguardo contemporaneo: «dal soggiorno arrivano le voci della televisione e nella penombra del corridoio la matrigna e le figlie, in vestaglia e tappine, camminano avanti e indietro. In fila. Sembrano tre pazze». Come le tante donne della porta accanto omaggiate da Alda Merini che continuano a ribellarsi a chi mette lucchetti ai loro destini.

 

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