Ancora su «Godbody» il profetico romanzo di Theodore Sturgeon

recensione di Dianella Bardelli (*)

In un piccolo villaggio americano una coppia di haters, in un’epoca imprecisata che sembra quella degli anni ’60, tiene in pugno il paese confezionando notizie false per assicurare il potere e il controllo alla parte più retrograda e sessuofobica della popolazione.

È la trama, inquietante e profetica, di Godbody (**) ultimo romanzo di Theodore Sturgeon (1918–1985) pubblicato postumo in America nel 1986 e ora tradotto in italiano per le edizioni Atlantide. L’attualità della narrazione è evidente e Sturgeon non è nuovo a simili capacità di profetizzare il futuro . Considerato uno dei più  grandi scrittori di fantascienza, in realtà in vari casi le sue storie si allontanano dai confini del genere per creare delle storie cesellate da particolari che impongono al lettore una riflessione attiva e non mancano testi completamente estranei all’immaginario sci-fi: I, Libertine (1956), per esempio, è un romanzo storico edito sotto pseudonimo.

Sturgeon esordisce nel ’39 con il racconto Ether Breather sulla rivista «Astounding Science Fiction» e continua a scrivere narrativa breve fino al 1950, quando pubblica il suo primo romanzo The Dreaming Jewels (tradotto presto in Italia con il titolo Cristalli sognanti nel ’53 nell’appena nata collana Urania). Continua a scrivere fino alla morte, con romanzi come Più che umano I figli della medusa. Contemporaneamente collabora con l’industria cinematografica e televisiva (negli anni ’60 scrive le sceneggiature di alcuni episodi di Star Trek).

Ho scoperto Sturgeon di recente e negli ultimi mesi ho iniziato a leggere le sue opere: oltre a Godbody ho trovato straordinario Più che umano, in cui Sturgeon racconta la storia di un gruppo di bambini e ragazzi emarginati da tutti, ma che, armati di una grande empatia reciproca, riescono a ottenere poteri “più che umani”, come la telepatia. Più che umano è forse anche il libro di Sturgeon più vicino per tematiche a Godbody.

Ma chi è Godbody? È una domanda che torna spesso in questo romanzo. Godbody compare nel piccolo villaggio in una tiepida mattina di primavera. Si mostra per primo al giovane pastore della chiesa locale seduto su un muretto. Godbody è come il pane, nudo, fresco, bello. Capelli rosso rame, zigomi alti e piatti, un corpo forte, possente, occhi ricchi di sfumature tra il marrone e il color cannella. La  sua descrizione ha un che di leggiadro e al tempo stesso misterioso. E subito, come il pastore di fronte a questa apparizione, abbiamo anche noi  l’impressione di trovarci di fronte ad un’entità soprannaturale. Dan, il pastore, ci avverte subito dell’ambiguità e parziale affidabilità della storia che si appresta a raccontare: non siamo certi che la storia di Godbody sia realmente accaduta così come lui ce la propone, potrebbe anche aver aggiunto qualcosa, manipolato la ricostruzione del racconto. Ma chi può davvero dire come siano andate le cose nel passato? Quello che ognuno di noi ha vissuto potrebbe anche essere narrato come una favola, insieme a tutte le altre che la gente nel mondo si racconta vicendevolmente di continuo.

Godbody appare nel villaggio quando la coppia di haters sta per diffondere l’ennesima  falsa notizia. Lo scopo è screditare Liza, la moglie del pastore, colpevole di essere troppo bella. Il marito è l’esempio della bontà, disponibilità e attenzione al prossimo: una colpa in questo mondo assurdo e alla rovescia. Bontà e bellezza sono un binomio che può scardinare le fondamenta sui cui si regge questa microsocietà, cioè il controllo. Il controllo è l’ossessione dei due haters, qualunque crudeltà è giustificata per non perderlo. È un caso che una dei due sia la redattrice del periodico cittadino e l’altro un banchiere? Ovviamente no. Informazione e denaro sembrano essere anche qui le due armi più potenti del dominio, e la bravura di Sturgeon fa sì che questa coppia di temi ci sia presentata sempre grazie alla narrazione e mai scadendo nelle declamazioni ideologiche. La narrazione può essere letta come allegoria dell’intera società. Sturgeon ci accompagna dentro la storia dividendo nettamente i buoni dai cattivi. I primi sono quelli che il Vangelo chiama mansueti, cioè privi di malizia, arroganza, invidia. I secondi sono, invece, i portatori di queste qualità negative. Godbody arriva proprio in mezzo alla vita degli uni e degli altri. È nudo perché tutto è nudo in natura, alberi, animali, foglie, fiori. Vestireste un fiore? ci induce a chiederci Godbody. A un certo punto dice: “Una persona nuda può mentire, ma è difficile”. Come a dire che i vestiti con cui ci copriamo, le loro illimitate fogge, sono le armi con cui  continuamente mentiamo a noi e agli altri.

L’aspetto più interessante del romanzo è probabilmente la capacità di Sturgeon di  suscitare la rabbia del lettore di fronte alla facilità con cui la coppia di haters rovina la vita altrui, fino al suicidio. Sì perché i buoni della storia non fanno niente per ostacolare le azioni malvage dei falsificatori di notizie. Perché? Perché il male non lo vedono fino a che non ne sono sfiorati o colpiti. Il male esiste perché è invidioso del bene.

Ma chi è Godbody, dunque, e che ruolo ha nella storia? È quello che tutti cerchiamo, ovvero colui che tutti vorremmo esistesse da qualche parte tra cielo e terra. È colui che salva e guarisce. È nudo, bellissimo, sensuale, ascetico. Una divinità hippy. Godbody usa la propria nudità come veicolo per raggiungere gli altri. Come già in Più che umano, qualcuno ha il potere di vedere dentro l’animo altrui ed è in grado di guarire dai mali fisici e psicologici. Così in poco tempo i buoni del villaggio si radunano intorno a lui. Nemmeno uno dei due haters riesce a rimanere immune al fascino positivo di Godbody e al suo messaggio d’amore. Quello di Godbody, si intuisce nel romanzo, è un ritorno: non è la prima volta che la divinità hippy si mostra agli uomini. Allora come non ricordare il ritorno di Gesù ne La leggenda del santo inquisitore di Dostoevskij? La sua colpa più grande secondo l’inquisitore è stata rendere gli uomini liberi. Infatti, come dice il pastore Dan alla fine del romanzo, ormai deciso ad abbandonare la sua carica, per abbracciare il culto di Godbody,  Gesù “ci ha liberati di sua volontà dal peccato e quindi dal senso di colpa”.

(*) ripresa da http://www.cultweek.com

(**) segnalo qui Se è di Sturgeon bisogna leggerlo la mia recensione a «Godbody»… in 5 atti più un atto mancato

 

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