Ancora su “La sporca guerra contro la Siria” di Tim Anderson

recensione di Beppe Pavan

Questo libro non racconta solo la genesi e gli sviluppi della guerra che sta martoriando la Siria. E’ anche un “manuale” di lettura delle crisi che da alcuni decenni stanno sconvolgendo il Medio Oriente e i Paesi “arabi” che si affacciano sul Mediterraneo. Ci offre un paradigma per capire, invitandoci a usarlo con indipendenza critica di pensiero.

Il capitolo che riassume e rilancia le questioni fondamentali che l’autore sviluppa nelle precedenti 250 pagine è il capitolo 13, in cui sintetizza le forme dell’intervento occidentale e ne individua le motivazioni nella persistente “mentalità coloniale”.

La prima forma è la “colonizzazione del linguaggio”, con la quale “l’Occidente reinventa attivamente la propria storia allo scopo di perpetuare la mentalità coloniale” (p. 251). A questo scopo le “culture imperiali hanno inventato un’ampia varietà di pretesti dal suono accattivante” per giustificare i loro interventi militari, diretti o per procura, nelle ex-colonie e nei Paesi di recente indipendenza. Questi pretesti abbiamo imparato a conoscerli: si chiamano, di volta in volta, “protezione dei diritti delle donne” (v. Afghanistan) oppure “instaurazione di una buona governance” (v. Iraq, Libia, Siria…) o “sostegno alle rivoluzioni” (v. Egitto, Siria…) o ancora, più italicamente, missioni umanitarie, missioni di pace, missioni di polizia internazionale (v. D’Alema e successori). Non dimenticheremo mai la plateale menzogna dell’amministrazione Bush sulle armi di distruzione di massa in mano a Saddam Hussein.

In realtà ce ne ricordiamo quando qualcuno ce lo rammenta, ma subito pensiamo ad altro… mentre, invece, l’Occidente, governi USA in testa, continua a usare quel modello, che ancora funziona. Anche perché viene sostenuto dalla propaganda capillare degli smemoratissimi “media embedded”, dove embedded sta per “incorporato, cooptato”, praticamente “a libro paga”: i mezzi di comunicazione più letti e seguiti sono in mano ai miliardari sostenitori dei candidati alla presidenza USA o ai loro alleati tra i Paesi del Golfo.

Tutto questo è diffusamente documentato da Anderson. Se non ci fossero altre ragioni per scegliere di andare “oltre le religioni”, di abbandonare tutte le religioni nelle loro forme istituzionalizzate, a noi sembra che basterebbe questa: per annullare la “grande scusa”, la coperta sotto la quale si commettono le più atroci ingiustizie nelle relazioni tra persone, tra governanti e governati/e, tra uomini e donne, tra nazioni, tra gruppi di potere in competizione per il dominio. Le religioni che hanno giustificato e ancora giustificano omicidi, stragi e guerre sono state e sono armi di distruzione di massa. L’Occidente “cristiano” faccia autocoscienza, per primo a partire da sé, e l’ONU diventi il luogo supremo di questa autocoscienza planetaria.

Il capitolo più difficile e doloroso, per me, è quello in cui l’autore elenca tra gli embedded anche alcune ONG che vanno per la maggiore e che ho sempre considerato “dalla parte giusta”: AVAAZ, Human Rights Watch, Amnesty International… Soprattutto per quest’ultima ho ricevuto una vera doccia fredda; eppure a pag 133 il quadro che l’autore ne traccia è sconfortante. Mi riprometto di parlarne con gli amici e le amiche che la sostengono da anni con molta convinzione, ricevendo anche il mio appoggio e un po’ del mio denaro.

Tornando alla Siria: nel 2011, nel periodo delle primavere arabe, anche in Siria si stava sviluppando un “movimento per le riforme politiche”, le cui prime manifestazioni vennero infiltrate da uomini armati che aprirono il fuoco su poliziotti e civili. Il “mito occidentale” parla, invece, di violenze indiscriminate da parte delle forze di sicurezza siriane per reprimere le manifestazioni politiche e sostiene che i “ribelli” sono nati in questo movimento di riforma.

Questa è stata la scusa buona per indurre gli USA ad esercitare la “responsabilità di proteggere” (cap. 10), nuova versione dell’intervento umanitario. Che contraddice – lo capiamo bene – tutte le solenni dichiarazioni, quella della Carta delle Nazioni Unite e quella della Carta dei Diritti Umani, che affermano il diritto degli Stati e dei popoli all’autodeterminazione. Qui si svela il “doppio gioco” dell’Occidente, basato sulla dottrina nordamericana secondo cui “una superpotenza benevola non sfrutta il proprio ruolo dominante, ma si prodiga nel sacrificio di sé allo scopo di fornire un ‘bene pubblico’ a tutti” (pag. 209). Mica male!

Qui entra in ballo la seconda faccia della medaglia “mentalità coloniale”: anche le popolazioni dell’Occidente colonialista subiscono l’impatto di questa eredità culturale, convincendosi che la propria cultura sia “centrale, se non universale, e hanno difficoltà a prestare ascolto ad altre culture o a imparare da esse” (pag. 251). La storia dell’imperialismo occidentale non è finita, ma tocca anche a noi aprire gli occhi e imparare a guardarci intorno con attenzione critica. E riflettere su questo “senso maschile per la violenza e il sangue”, che dà pessima prova di sé dovunque.

Tim Anderson documenta, sulla base di una notevole mole di testimonianze scritte e orali, che “quasi tutte le atrocità attribuite all’esercito siriano sono state commesse da islamisti sostenuti dall’Occidente”, e che l’ISIS “è una creazione degli USA e dei suoi più stretti alleati”.

Ovviamente vi rimando alla lettura del libro per conoscere la sua ricostruzione dei fatti e le sue fonti di informazione. Da parte mia termino dicendo che sono pregiudizialmente e consapevolmente contrario a ogni forma di potere colonialista, a qualunque livello. “Pregiudizialmente” vuol dire che mi sono fatto una convinzione radicata sul “potere” e sulle sue pratiche, “dopo” averlo conosciuto; quindi, in realtà, non è un pre-giudizio, ma una convinzione motivata. Sono contrario a prescindere, anche prima di conoscere i dettagli.

E poi… Che vita è uccidere e venire uccisi? Vivere nella paura e nel terrore? Non c’è più agricoltura, artigianato, servizi sociali pubblici… solo ricerca di sopravvivere, di nascondersi, di fuggire… Se succedesse a noi? qui dove viviamo?

Perché non pretendiamo che i nostri governi smettano di praticare, sostenere, appoggiare chi uccide in qualunque altrove? Solo per ingrassare i già grassi speculatori della finanza mondiale?…

Infine: perché dovrei credere a Tim Anderson? In fondo non ho personalmente alcuna possibilità di verificare la fondatezza delle sue analisi, la verità delle sue fonti e delle sue affermazioni… Il mio è un atto di fede!

No, in verità io non “credo”, ma leggo con attenzione vigile e critica. Sono fortemente sostenuto nel prestargli fede, oltre che ascolto, dalla storia imperialista degli USA e della NATO, cioè dei Paesi che la compongono. I militari che manovrano sono a servizio degli interessi privati dei finanziatori dei candidati alla presidenza USA. Le bugie di Bush per scatenare la guerra contro l’Iraq sono non solo un precedente eloquente, ma un anello di una strategia ormai collaudata. Come la Libia (v. pag. 212).

Per chi volesse avere un approccio diretto al testo di Tim Anderson propongo la lettura degli incipit di tutti i capitoli che lo compongono.

Tim Anderson, LA SPORCA GUERRA CONTRO LA SIRIA. Washington, regime e resistenza, Zambon 2017: UN “MANUALE” PER CAPIRE LE GUERRE IN ATTO IN MEDIO ORIENTE presentato attraverso la trascrizione dei brani iniziali dei 15 capitoli

Cap 1 – Introduzione: la guerra sporca contro la Siria

Benchè tutte le guerre facciano ampio uso di menzogne e inganni, la guerra sporca contro la Siria ha fatto affidamento su un livello di disinformazione di massa mai visto a memoria d’uomo. (…) secondo tale copione, un oftalmologo dai modi garbati di nome Bashar al Assad è divenuto il nuovo cattivo mondiale e, a giudicare dai reportage a senso unico dei media occidentali, l’esercito siriano non fa altro che uccidere civili da oltre quattro anni. Ancora oggi, molti immaginano il conflitto siriano come una “guerra civile”, una “rivolta popolare” o una sorta di scontro confessionale interno. Tali miti rappresentano, sotto molti aspetti, un cospicuo successo per le grandi potenze che hanno condotto una serie di operazioni di regime change – tutte con pretesti fasulli – nella regione mediorientale negli ultimi quindici anni.

Cap 2 – La Siria e il “Nuovo Medio Oriente” di Washington

Dopo le invasioni dell’Afghanistan e dell’Iraq e la distruzione della Libia, la Siria doveva essere il prossimo Stato a venire rovesciato. Washington e i suoi alleati regionali progettavano l’operazione da tempo. Dopo il regime change a Damasco gli alleati della Siria, gli Hezbollah, leader della resistenza libanese contro Israele, sarebbero rimasti isolati. La Repubblica Islamica dell’Iran sarebbe rimasto l’unico Paese mediorientale privo di basi militari USA. Dopo l’Iran, Washington avrebbe facilmente controllato l’intera regione, escludendone i possibili rivali come la Russia e la Cina. La Palestina sarebbe stata definitivamente perduta. (…)

L’esercito nazionale siriano ha resistito a un’ondata dopo l’altra di fanatici attacchi islamisti, sostenuti dalla NATO e dalle monarchie del Golfo, e l’appoggio russo e iraniano è rimasto saldo. Ciò che più conta, la Siria ha costruito nuove forme di cooperazione con un Iraq debole ma emergente. Washington agiva da decenni per dividere l’Iran dall’Iraq, perciò il rafforzamento dei legami tra Iran, Iraq, Siria, Libano e Palestina rappresenta una sfida regionale al nuovo “Grande Gioco” dei nostri giorni. Il Medio Oriente non è soltanto un terreno di gioco per le grandi potenze.

Cap 3 – Barili bomba, fonti faziose e propaganda di guerra

La propaganda di guerra richiede spesso l’abbandono dell’uso della ragione e dei principi, e la Guerra Sporca contro la Siria fornisce abbondanti esempi di questa pratica. I notiziari occidentali sulla Siria sono attraversati da un’incessante sequela di racconti di atrocità – “barili bomba”, armi chimiche, uccisioni “su scala industriale”, bambini morti. Tutti questi racconti hanno due cose in comune: dipingono il presidente e l’esercito siriani come mostri massacratori di civili, bambini compresi – e tuttavia, quando se ne esamina l’origine, si scopre che provengono tutti da fonti totalmente faziose. Ci stanno ingannando. (…) Come nelle guerre precedenti, l’obiettivo è demonizzare il nemico per mezzo di ripetute accuse di atrocità, mobilitando così il sostegno popolare per la guerra.

Cap 4 – Daraa 2011: un’altra insurrezione islamista

Due versioni si svilupparono riguardo al conflitto siriano, all’inizio delle violenze armate nel 2011, nella città di Daraa, sul confine meridionale. La prima versione proviene da testimoni indipendenti che si trovavano in Siria, come lo scomparso padre Frans Van der Lugt di Homs. Essi affermano che uomini armati infiltrarono le prime manifestazioni per le riforme politiche allo scopo di aprire il fuoco su poliziotti e civili. La seconda proviene dai gruppi islamisti (i “ribelli”) e dai loro sostenitori occidentali. Essi sostengono che vi furono violenze “indiscriminate” da parte delle forze di sicurezza siriane miranti a reprimere le manifestazioni politiche e che i “ribelli” nacquero dal seno di un movimento laico di riforma politica. (…)

Nel febbraio 2011 ebbero luogo agitazioni popolari in Siria, in parte influenzate dagli eventi egiziani e tunisini. Vi furono manifestazioni contro il governo e a favore del governo, ed emerse un genuino movimento di riforma politica che da anni manifestava contro la corruzione e il monopolio del Partito Ba’ath. (…) All’inizio di marzo alcuni adolescenti furono arrestati a Daraa per aver tracciato graffiti, copiati da quelli nordafricani, che dicevano “il popolo vuole rovesciare il regime”. Fu riferito che erano stati maltrattati dalla polizia locale; il presidente Bashar al Assad intervenne, il governatore locale fu licenziato e gli adolescenti furono rilasciati.

Ma l’insurrezione islamista era ormai in corso, al riparo delle manifestazioni di piazza. (…) In realtà, il movimento per la riforma politica era stato estromesso dalle piazze dai cecchini islamisti salafiti durante i mesi di marzo e aprile.

Cap 5 – Bashar al Assad e la riforma politica

Va da sé che i processi politici interni di uno Stato sovrano riguardano il popolo di quello Stato, e nessun altro. Nondimeno, dato che Washington insiste nel rivendicare il diritto di decidere chi possa o non possa governare un altro Paese, può essere utile fornire qualche informazione generale su Bashar al Assad e sul processo di riforma politica in Siria. Le analisi sensate relative a entrambi i temi sono state ben poche dopo l’insurrezione islamista del 2011. Al contrario, il dibattito del tempo di guerra è degenerato nella caricatura – alimentata dal fervore pro-regime change e da un conflitto sanguinoso – di un “brutale dittatore” assetato di sangue che reprime e massacra ciecamente il suo stesso popolo. (…)

La popolarità del presidente siriano in patria manda a monte i tentativi di dipingerlo come un mostro – in Siria, almeno. (…) e l’esercito è estremamente popolare, perfino all’interno dell’opposizione civile. L’esercito incarna le più forti tradizioni laiche della Siria. (…) Inoltre, la maggior parte dei diversi milioni di siriani trasformati in profughi dal conflitto non hanno la sciato il Paese, ma si sono trasferiti in altre regioni sotto la protezione dell’esercito.

Cap 6 – I jihadisti dell’impero

Un osservatore intelligente potrebbe domandarsi quale sia l’origine di questi tagliatori di teste fanatici, spietati e settari, che sembrano impegnati in una sorta di missione islamica, ma figurano spesso dalla stessa parte delle grandi potenze. La risposta a questa domanda non va ricercata nell’Islam come religione, ma in due fenomeni storici specifici: i wahhabiti dell’Arabia saudita e i più diffusi e ben organizzati Fratelli Musulmani. (…)

Il wahhabismo si fonda su una rete feudale di monarchie del Golfo, guidata dall’Arabia saudita, mentre i Fratelli Musulmani, che nacquero in Egitto, hanno una propria storia di accanita rivalità con il nazionalismo laico. (…) godono di una popolarità limitata nel mondo arabo e musulmano, generalmente tollerante. Ad accentuare la loro debolezza vi è il fatto che sia i wahhabiti sia i Fratelli Musulmani hanno una lunga tradizione di collaborazione con le grandi potenze contro i loro avversari interni. (…)

In questa guerra sporca le potenze straniere non sono state belligeranti diretti, agendo perlopiù come finanziatori, addestratori e fornitori di armi dei loro eserciti islamisti operanti per procura.. Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia guidarono inizialmente un’offensiva diplomatica, nel tentativo di isolare il governo siriano e di imporre una successione di gruppi in esilio non eletti da nessuno quali “rappresentanti legittimi” del popolo siriano. Nondimeno, insieme ai loro collaboratori regionali – in particolare la Turchia, il Qatar e l’Arabia Saudita – finanziarono e armarono tutti i vari gruppi armati.

Cap 7 – Media embedded, “cani da guardia” embedded

La cooptazione dei mass-media e dei “cani da guardia” dei diritti umani è stata fondamentale per la guerra propagandistica contro la Siria. Di fatto, nel XXI secolo non è possibile condurre una guerra per procura prolungata, dipendente dal sostegno dell’opinione pubblica, senza l’appoggio di un vero e proprio esercito di collaboratori di questo genere. Per questo motivo la dottrina del Pentagono negli ultimi anni si prefigge obiettivi decisamente ambiziosi, quali il “Dominio sull’intero spettro”, che significa predominio informativo, economico e culturale, oltre che militare. (…)

Durante l’invasione dell’Iraq nel 2003 il concetto di “giornalisti embedded” divenne ben noto, con l’“incorporazione” dei giornalisti occidentali fra le truppe d’invasione statunitensi. (…)

Alcune delle ONG liberal più affermate hanno svolto un ruolo cruciale nella campagna di disinformazione contro la Siria. (…) Sfruttando la tecnica propagandistica consolidata della ripetizione all’infinito, (…) Human Rights Watch (…) è divenuto uno dei più aggressivi sostenitori del bombardamento USA della Siria (…).

Anche Amnesty International si è arruolata nella missione di regime change. (…) Amnesty si è trasformata in un consulente di Washington e la istruisce su come dare una pennellata di diritti umani ai suoi interventi illegali.

Avaaz, la cui struttura rimane immersa nell’ombra, condivide con il gruppo Soros e con Res Publica forti legami con organizzazioni sioniste.

Per contro, alcune piccole organizzazioni occidentali si sono impegnate a dare la caccia alle bugie dei media sulla guerra in Siria. L’organizzazione statunitense FAIR… Due organizzazioni britanniche… Media Lens… Off Guardian…

Cap 8 – Il massacro di Houla rivisitato

Dopo che l’esercito siriano ebbe espulso i gruppi dell’Esercito Libero Siriano da Homs, e alla vigilia di una riunione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU sulla Siria, uno spaventoso massacro di oltre 100 civili ebbe luogo nel villaggio di Houla, nella pianura di Taldou poco a nord-ovest di Homs. (…) Ogni qual volta l’esercito siriano attaccava questi gruppi armati, essi attuavano esecuzioni capitali in pubblico, tentando costantemente di accusare l’esercito siriano di condurre attacchi contro la popolazione civile. (…) Il loro movente era punire gli abitanti filo-governativi del villaggio, in particolare le famiglie al-Sayed e Abdulrazzak, per poi alterare la scena del massacro allo scopo di incolpare falsamente il governo dei loro stessi crimini. (…)

Il massacro di Houla (25 maggio 2012) divenne cruciale nei dibattiti sulla “responsabilità di proteggere”, dal momento che fu alla base di un fallito tentativo di autorizzare un intervento ONU per la protezione dei civili, motivato con l’affermazione secondo cui il governo siriano aveva massacrato dei civili. Le prove a sostegno di tale accusa, tuttavia, erano tutt’altro che chiare.

I governi britannico, francese e statunitense incolparono immediatamente il governo siriano. (…) la Commissione d’Inchiesta “non si era nemmeno recata in Siria” e aveva ignorato l’inchiesta siriana. (…) Sotto molti aspetti Houla segnò il fallimento dei tentativi di costruire una qualsiasi “verità ufficiale” certificata dall’ONU riguardo al conflitto in Siria.

Cap 9 – Invenzioni chimiche: l’episodio della Ghouta Orientale

La guerra sporca contro la Siria è stata caratterizzata da ripetuti scandali, spesso costruiti ad arte ai danni del governo siriano per contribuire a creare pretesti per un intervento più pesante. Forse il più famigerato fu l’episodio della Ghouta Orientale dell’agosto 2013, in occasione del quale furono diffuse su Internet fotografie di bambini morti o drogati provenienti da un’area agricola a est di Damasco sotto il controllo degli islamisti, con l’accusa secondo cui il governo siriano aveva utilizzato armi chimiche per assassinare centinaia di innocenti. L’episodio provocò un tale clamore che solo un’iniziativa diplomatica russa riuscì a impedire un intervento diretto da parte degli Stati Uniti. Il governo siriano accettò di eliminare per intero le sue scorte di armi chimiche dichiarando che non erano mai state utilizzate nel conflitto in corso.

In realtà, tutte le prove indipendenti sull’episodio del Ghouta Orientale (comprese quelle raccolte dall’ONU e dagli USA) dimostrano che le accuse rivolte al governo siriano erano false. (…) Alla fine del 2013 un gruppo di avvocati e giornalisti turchi pubblicò un rapporto particolareggiato sui crimini contro i civili in Siria. Particolare attenzione era dedicata alle responsabilità del governo turco, che appoggiava i gruppi “ribelli”. Il rapporto giungeva alla conclusione che “la maggior parte dei crimini” commessi contro civili siriani, compreso l’attacco nella Ghouta Orientale, erano opera delle “forze armate ribelli in Siria”.

Cap 10 – “Responsabilità di proteggere” e doppio gioco

Al volgere del XXI secolo fu elaborata una nuova versione dell’“intervento umanitario”, nota come “responsabilità di proteggere” (responsability to protect o “R2P”). Questa invenzione delle grandi potenze, che si ricollegava alle conseguenze umanitarie attribuite al loro presunto mancato intervento in occasioni precedenti, si trasformò in una poderosa argomentazione morale a favore dell’intervento in Libia nel 2011. Tale intervento, fondato su menzogne, fu disastroso per la popolazione libica. Con la Siria si tentò un percorso analogo, che tuttavia fallì. Russia e Cina, in particolare, non erano più disposte a fare il gioco di Washington. Al di là di come poteva suonare in teoria, in pratica la “R2P” emerse come un nuovo strumento di intervento. Questa dottrina implica gravi rischi dal momento che ha contribuito a fomentare massacri false flag [con falsi pretesti] da parte di gruppi armati in cerca di maggiori aiuti dall’estero. Ha inoltre contribuito a indebolire il sistema internazionale che dagli anni Quaranta si è fondato sui principi di sovranità e non-intervento. (…)

Nel 2014 vi fu un cambiamento nell’argomentazione principale addotta a favore di un intervento occidentale in Siria. Si passò da una logica basata sulla “responsabilità di proteggere” a una ispirata all’“intervento protettivo”, attuato in nome della soppressione del terrorismo a livello globale. Questa argomentazione calpestava la legislazione internazionale, dimostrando un flagrante disprezzo per i diritti degli altri popoli e delle loro nazioni.

Cap 11 – Sanità e sanzioni

Il sistema sanitario siriano è stato duramente colpito dalla guerra e indebolito dalle sanzioni economiche occidentali – e la responsabilità di tutto ciò è stata oggetto di polemiche, come ogni altro aspetto del conflitto.

Nel dicembre del 2013 l’allora ministro siriano della Sanità dottor Sa’ad al Nayef disse a una delegazione australiana di solidarietà in visita nel Paese – di cui facevo parte – che terroristi appoggiati dall’estero avevano recentemente fatto esplodere due camion-bomba all’interno dell’ospedale Al-Kindi di Aleppo, distruggendolo completamente e uccidendo tutto il personale sanitario al suo interno. (…)

Tuttavia, leggendo la versione dei sostenitori dei gruppi armati, si potrebbe avere la sensazione che il governo siriano abbia sistematicamente distrutto il suo stesso sistema sanitario.

Cap 12 – Washington, il terrorismo e l’ISIS: le prove

La notizia dell’abbattimento da parte delle forze irachene di aerei statunitensi e britannici che trasportavano armi per l’ISIS fu accolta in Occidente con sgomento e incredulità. Eppure, in Medio Oriente ben pochi dubitano del fatto che Washington stia giocando una “doppia partita” con i suoi eserciti che agiscono per procura in Siria. Un leader degli Ansar Allah yemeniti afferma: “Ovunque ci siano ingerenze degli Stati Uniti, ci sono al-Qaeda e l’IsIS. Va tutto a loro vantaggio. Tuttavia, alcuni miti fondamentali rimangono importanti, in particolare per l’opinione pubblica occidentale. Per mettere in discussione questi miti occorrono la logica e le prove – le affermazioni non sono sufficienti. (…)

Le prove esposte in questo capitolo sono sufficienti per trarre alcune conclusioni. Primo: Washington ha pianificato una sanguinosa ondata di “cambiamenti di regime” a proprio vantaggio in Medio Oriente, spingendo alleati quali i sauditi a fare uso di forze settarie nell’ambito di un processo di “distruzione creativa”. Secondo: gli Stati Uniti hanno direttamente finanziato e armato una serie di gruppi terroristici cosiddetti “moderati” contro lo Stato sovrano siriano, mentre i loro alleati principali – Arabia Saudita, Qatar, Israele e Turchia – hanno finanziato, armato e assistito con armi e cure mediche qualsiasi gruppo armato anti-siriano, “moderato” o estremista che fosse. Terzo: i “jihadisti” di Jabhat al-Nusra e dell’ISIS sono stati attivamente reclutati in numerosi paesi, il che dimostra che l’ascesa di questi gruppi non è stata dovuta a una semplice reazione anti-occidentale da parte dei “sunniti” della regione. Quarto: la Turchia, membro della NATO, ha avuto il ruolo di “zona di libero transito” per ogni tipo di gruppo terroristico diretto in Siria. Quinto: un numero significativo di alti funzionari iracheni hanno testimoniato riguardo a casi di consegna diretta di armi statunutensi all’ISIS. Sesto: la “guerra” degli Stati Uniti contro l’ISIS – condotta in modo inefficace o, nella migliore delle ipotesi, selettivo – sembra confermare l’opinione irachena e siriana secondo cui tra i due soggetti vi sarebbe una relazione improntata al controllo. Riassumendo, si può concludere che gli Stati Uniti hanno costruito una relazione di comando nei confronti di tutti i gruppo terroristici anti-siriani, compresi al-Nusra e l’ISIS, in modo diretto o per tramite dei loro stretti alleati regionali (…). Washington ha fatto il doppio gioco in Siria w in Iraq, applicando la sua vecchia dottrina di smentire in modo plausibile delle verità conosciute ma scomode, allo scopo di mantenere in piedi, quanto più a lungo possibile, la finzione di una “guerra al terrorismo”.

Cap 13 – L’intervento occidentale e la mentalità coloniale

In tempi di “rivoluzioni colorate” il linguaggio è stato rovesciato. Le banche sono diventate i guardiani dell’ambiente naturale, i fanatici settari sono “attivisti” e gli imperi proteggono il mondo dai grandi crimini, invece di commetterli.

La colonizzazione del linguaggio è all’opera ovunque, tra popolazioni altamente acculturate, ma è particolarmente virulenta all’interno delle culture colonialiste. “L’Occidente” – questa autoproclamata epitome della civiltà avanzata – reinventa attivamente la propria storia, allo scopo di perpetuare la mentalità coloniale.

Autori come Frantz Fanon e Paulo Freire hanno evidenziato come le popolazioni colonizzate subiscano danni psicologici e abbiano bisogno di “decolonizzare” la propria mentalità, per divenire meno deferenti nei confronti della cultura imperiale e affermare con maggior forza i valori delle proprie società. L’altra faccia di questa medaglia è costituita dall’impatto dell’eredità coloniale sulle culture imperiali. Le popolazioni dell’Occidente considerano la propria cultura come centrale, se non universale, e hanno difficoltà a prestare ascolto ad altre culture o a imparare da esse. Per cambiare tutto questo occorre uno sforzo.

Le cricche dei potenti sono ben consapevoli di questo processo e tentano di cooptare le forze critiche all’interno delle loro stesse società, colonizzando i valori e il linguaggio progressista e banalizzando il ruolo della altre popolazioni. (…) tutto ciò rende molto più facile vendere in Occidente le guerre per procura con presunte finalità missionarie.

Cap 14 – Verso un Medio Oriente indipendente

Il piano di Washington per un Nuovo Medio Oriente si è imbattuto in uno scoglio chiamato Siria. Malgrado gli spargimenti di sangue e la dura pressione economica continuino, la Siria sta avanzando verso una vittoria militare e strategica destinata a trasformare il Medio Oriente. Vi sono chiari segnali del fatto che i piani di Washington – imporre un regime change o far venire meno il funzionamento dello Stato e smembrare il Paese lungo linee di frattura confessionali – sono falliti. Al loro posto assistiamo all’ascesa di un Asse della Resistenza più forte, il cui nucleo è costituito da Iraq, Siria, Palestina e Hezbollah, sostenuti dalla Russia e in procinto di accogliere anche l’Iran. (…)

I siriani – compresa la maggioranza dei musulmani sunniti devoti – rifiutano quella perversa forma di Islam promossa dalle monarchie del Golfo, fatta di decapitazioni, brutalità e settarismo. Questa non è una guerra confessionale o tra sciiti e sunniti, ma una classica guerra imperialista, che si serve di eserciti che agiscono per procura. (…) l’unità e l’indipendenza della regione stanno esigendo un prezzo terribile – ma si stanno realizzando.

Cap 15 – Tenersi informati

La maggior parte dei media occidentali, così come quelli delle monarchie del Golfo (Al Jazeera, Al Arabiya), sono profondamente faziosi e in molti casi si sono resi responsabili di montature a sostegno della guerra di propaganda contro la Siria. Ciò solleva un interrogativo: dove trovare informazioni attendibili o indipendenti? Non vi sono risposte semplici a questa domanda, e il lettore noterà che ho utilizzato un’ampia varietà di fonti.

(Segue un elenco di Media nazionali anti-imperialisti, di Fonti non governative indipendenti e di Analisi critica dei media. Non li possiamo riportare qui, ma – ovviamente – vi invitiamo a leggere il libro, che non è soltanto una narrazione di quanto sta accadendo in Siria dal 2011, ma si rivela una vero manuale per capire ragioni e modalità delle guerre moderne).

Tim Anderson, LA SPORCA GUERRA CONTRO LA SIRIA. Washington, regime e resistenza, Zambon 2017

(*) qui cfr “La sporca guerra contro la Siria” di Tim Anderson, la recensione di Karim Metref

 

danieleB
Un piede nel mondo cosiddetto reale (dove ha fatto il giornalista, vive a Imola con Tiziana, ha un figlio di nome Jan) e un altro piede in quella che di solito si chiama fantascienza (ne ha scritto con Riccardo Mancini e Raffaele Mantegazza). Con il terzo e il quarto piede salta dal reale al fantastico: laboratori, giochi, letture sceniche. Potete trovarlo su pkdick@fastmail.it oppure a casa, allo 0542 29945; non usa il cellulare perché il suo guru, il suo psicologo, il suo estetista (e l’ornitorinco che sonnecchia in lui) hanno deciso che poteva nuocergli. Ha un simpatico omonimo che vive a Bologna. Spesso i due vengono confusi, è divertente per entrambi. Per entrambi funziona l’anagramma “ride bene a librai” (ma anche “erba, nidi e alberi” non è malaccio).

3 commenti

  • a proposito della recensione sul libro “guerra contro la siria”, mi viene da dire quello che ho detto a zambon anni fa: “corvo rosso, non avrai il mio scalpo”! mi spiace, ma questa lettura veterocomunista del mondo mi ha proprio stancato e nauseato. e tutto per dimostrare che bashir al assad è… un angioletto! ma fatemi il piacere, tanto per citare un’altra frase celebre e strabusata. perché, le testimonianze contro assad di quelli che sono riusciti a uscire vivi dall’inferno siriano, non contano niente, tutte balle? questo vuol dire mettersi sotto i piedi la sofferenza di migliaia di persone alla faccia del rispetto umano, è strumentalizzazione all’incontrario. no corvo rosso, non avrai il mio scalpo! ciao
    susanna

  • Giuseppe Lodoli

    Mamma mia che fatica per difendere quel massacratore di al Assad! E solo per un generico viscerale antiamericanismo. Concordo in pieno con Susanna.

  • Gian Marco Martignoni

    Premesso che le tesi di Anderson sono le medesime di quelle esposte lucidamente in questi anni da Manlio Dinucci su “il manifesto”, si tratta di comprendere quali sono le finalità dell’imperialismo americano e dei suoi alleati sul piano geopolitico e dell’appropriazione delle risorse energetiche. Da questo versante, l’articolo di Farian Sabani su “il manifesto” di oggi è assai illuminante per chi non vuole consegnare il suo cervello a quella manipolazione mediatica che Noam Chomsky ha disvelaqto a partire dal suo fondamentale “Illusioni necessarie”.

Rispondi a Gian Marco Martignoni Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *