Ancora sull’Isola di Huxley

di Mario Sumiraschi

E’ passato qualche giorno ma vorrei riprendere l’invito di Daniele Barbieri a commentare L’Isola di Aldous Huxley.

Per me rientra nella categoria librologa l’avevolettomanonmeloricordavopiù, categoria che dopo migliaia di romanzi letti è decisamente corposa. Ho iniziato a leggerlo e… “ma l’ho già letto!” e mi sono ritrovato nella mente le considerazioni che feci ormai tanti anni fa.

Genere utopia, sicuramente da mettere nella bibliografia del genere. Da giudicare separatamente dal suo capolavoro “Brave New World“.

Pregi: qualche idea interessante, non originale, presa da varie parti dell’anarchismo socialista. Hai in mente quell’altro esempio di anni dopo: “I Reietti dell’Altro Pianeta” della Le Guin? Un pianeta a immagine e somiglianza del kibbutz israeliano dove l’educazione dei figli è affidata alla comunità e la patria potestà dei genitori diventa obsoleta. E inoltre il lavoro come condivisione della solidarietà del gruppo e non mercificazione…

Huxley ci annuncia la new age.

L’attuale lettura, confrontata con l’evolversi di tanti argomenti trattati, può suscitare varie considerazioni. E’ praticamente un “manifesto” delle aspettative idealistiche dei gruppi alternativi e hyppies di inizio anni ’60.

Difetti: tanti. Innanzitutto l’ esasperato dualismo “noi e voi” che visualizzo personalmente nell’atteggiamento da “Il deserto dei Tartari” dove si vive da illuminati e al di fuori la peste, vedi tipicamente l’Israele di oggi (un Vortex). Il romanzo è condizionato in modo abnorme da questo dualismo: i protagonisti sembrano esistere perché misurano tutto con la contrapposizione con l’esterno, roba da psicotici, presa in altri contesti.

I nemici sono brutti sporchi e cattivi. Troppo facile. Se la società fosse permeata dall’appartenenza quasi a codice binario della dicotomia buoni e cattivi, tutto sarebbe facile da interpretare. Sarebbe come Il Signore degli Anelli dove quasi tutti i cattivi sono mostri, non-umani. La trovo una soluzione superficiale.

Tutto l’aspetto animistico-paranormale lo lascio ai giardini colorati della New Age e dei vari autoproclamatisi “maestri di vita”.

Compreso l’atteggiamento dei protagonisti nei confronti della morte accettata con metafisico distacco. Ho trovato disumano l’atteggiamento del dottor Robert, perché sono proprio i sentimenti, gli affetti, che producono la compartecipazione tra le persone; il valore per la perdita dell’individuo che in quanto tale è valore universale.

Ma nella storia personale di Huxley ci sono le droghe, soprattutto Lsd che si fa somministrare come atto di eutanasia quando decide di morire. E non a caso la droga è presente nel romanzo e come un mantra diffuso ci dice: non dà assuefazione, non dà assuefazione… Quando una cosa non va mi faccio di moksha e tutto passa….

Contraddizioni: il rapporto uomo-ambiente è determinante nella narrazione. Il denominatore comune è il rispetto ecologico. E gli animali che costoro mangiano? Siamo in fase antecedente alla tematica animalismo e Huxley manco ci pensa a proporla come alternativa alla violenza dell’uomo sulla natura che, se ricordo bene, potrebbe starci benissimo in un’utopia disegnata da un vegetariano come lui era.

L’uso della tecnologia. E’ ben presente e parliamoci chiaro non è produzione locale (ci sono dagli apparecchi medicali agli autoveicoli ecc). Senz’altro quella tecnologia arriva dal bistrattato “là fuori”. Per cui per averla devi operare uno scambio di natura economica. La realtà che nessun micro-sistema può vivere sganciato dalla realtà circostante ( lo abbiamo visto con tutte le comunità hyppies anni ’60 e ’70, con tutte le inimmaginabili comuni aperte nel mondo, quasi tutte defunte per questo motivo, ma soprattutto l’Urss incapace di reggere lo scambio economico).

Huxley si dimostra assente da quella che noi fantascientifici chiamiamo plausibilità. E’ la condizione in genere delle utopie. Studiandone gli autori ho rilevato la grande differenza tra scrittori a base “umanistica” e scrittori a base “scientifica”. I primi promuovono idee, stile ecc… generalmente attraenti, ma che per un contatto realistico si basano solo sulle loro esperienze private (e in questo “L’Isola” è totalmente corrispondente). Sono scrittori che mi affascinano (vedi Bradbury per tutti ) ma che definisco scrittori del “fantastico”… Pensa a Cronache Marziane, a mio giudizio uno dei libri più affascinanti che abbia mai letto, ma che escluderei vivamente da definire “fantascienza”, in cui la parola scienza dovrebbe avere una presenza significativa.

Gli scrittori a base “scientifica” in molti casi non impreziosiscono la loro scrittura con lo stile ( vedi Asimov) ma danno quella plausibilità che dimostra anche un’analisi, un approfondimento, delle tematiche trattate. E’ un pregio a mio avviso.

Per tornare a Huxley, per esempio per il suo Brave New World, la sua società del futuro era dominata dalla biogenetica, ma dopo anni quando scrisse il saggio “Ritorno al domani” propose un’altra interpretazione: quella politologica in cui la classe sfruttata non era condizionata dalla predeterminazione biologica, ma dalle condizioni di censo, ovvero si accorse dell’interpretazione marxista o anarchica un bel po’ di anni dopo. E si stupirebbe ora se guardasse “Blade Runner” o “Gattaca” (veri esempi di distopie ) in cui la predeterminazione genetica diventa ancora un’ipotesi plausibile.

A mio giudizio, sempre solamente a mio giudizio, Huxley è uno scrittore di slogan: non dà corpo alle sue idee, non si preoccupa di utilizzare una qualsiasi prova di falsificazione. Non approfondisce veramente, vuole stupire e basta. Con la mistica dei “santoni”.

Nel gran mondo della fantascienza ho letto cose più mature, ma Huxley è stato pubblicato subito nella narrativa mainstream ed è diventato famoso per “Il Mondo Nuovo“, mentre gli autori science fiction sono rimasti degli sconosciuti ai più. Tipico esempio James Ballard meraviglioso scrittore di science fiction, ma diventato famoso a livello internazionale per romanzi (e film) autobiografici.

Ma tutto diventa sfuocato, perso in lontananza, quando il confronto esce dai canoni interpretativi della letteratura. Se lo si fa con l’oggi, con il nostro quotidiano, dove la proposizione utopica è diventata copyright dei creatori di pubblicità, studiata per arricchire le tasche delle corporations e stupire con “effetti speciali” la massa bisognosa di felicità, ecco, beh, il nostro Aldous merita comunque la nostra attenzione e benevolenza. Perché? Per i contemporanei l’isola è solo quella dei famosi…

UNA BREVE NOTA

Sono davvero felice che Mario abbia risposto con una quasi stroncatura al mio entusiastico pezzo (del 1 febbraio). Mi rallegra l’idea di litigare – o quasi – con una persona saggia, informata e simpatica come lui. Del resto all’incrocio fra reale e fantastico non ci sono semafori o vigili. Perciò appena trovo un poco di tempo gli rispondo. Intanto lo ringrazio. (db)

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