“Andava spento vent’anni fa”
Uno sguardo “altro” su cause e gestione degli incendi che devastano Los Angeles, e non solo Los Angeles.
di Benigno Moi
“Incendio Los Angeles, il ‘vento del diavolo’ spinge il fuoco”, titola l’agenzia AdnKronos un’intervista a Gianfilippo Micillo, responsabile del Coordinamento Servizio Antincendio Boschivo dei Vigili del Fuoco. Per chi, come me, vive nel Golfo degli Angeli (nome del golfo di Cagliari) con al centro la Sella del Diavolo, l’accostamento nel titolo usato dall’agenzia di stampa suscita immediatamente rimandi a miti ancestrali, fascino, paura e impotenza a fronte di eventi percepiti al di sopra delle capacità di controllo umano.
E forse è proprio così. E forse queste suggestioni possono aiutarci riconsiderare quel che è diventato un problema. Capire che abbiamo necessità di rivedere e rovesciare l’approccio contemporaneo con il fuoco. “Noi abbiamo creato il Pirocene. Ora ci dobbiamo vivere”[1], afferma Stephen Pyne professore emerito alla Arizona State University e autore del libro intitolato appunto Pirocene.
Noi, che negli ultimi cento anni abbiamo trasformato uno dei quattro “elementi essenziali” della mitologia (assieme ad Aria, Acqua e Terra) in un “nemico” da combattere militarmente, come da anni va dicendo Giuseppe Mariano Delogu[2]. E, se non cambiamo paradigma, rischiamo di ritrovarci sempre e comunque sconfitti dal nemico che ci siamo inventati.
Delogu ripete da anni l’affermazione apparentemente paradossale del titolo di questo articolo, andava spento vent’anni fa. Per ribadire che l’unica strategia efficace rimane la “prevenzione”. Concetto che ha ripetuto pochi giorni fa all’editorialista del quotidiano Domani, Ferdinando Cotugno, che per raccontare e capire gli incendi che stanno provocando vittime e danni incalcolabili in California ha sentito pure Delogu.[3] E che sempre Cotugno aveva utilizzato come titolo alcuni anni fa, parlando dei disastrosi incendi in Sardegna del luglio 2021[4]
Autore di un testo che andrebbe ristampato (purtroppo, perché sarebbe auspicabile non se ne sentisse la necessità e l’attualità): Dalla parte del fuoco, ovvero il paradosso di Bambi, Giuseppe Mariano Delogu, per anni dirigente forestale e attualmente docente per l’Università di Sassari, fa parte di quella schiera -al contempo antica e innovativa- che pensa, con buone ragioni che sanno spiegare, che il fuoco non è un nemico (casomai lo sono gli incendi), e che si tratta “semplicemente” di conoscerlo e saperci convivere.
E saperlo usare, anche per combattere proprio i danni degli incendi non controllati. Come si è saputo fare per millenni e fino a poco tempo fa, col “fuoco prescritto”, in tutto il mondo, dall’Australia[5], all’Africa, dalle Americhe dei nativi a tutta l’Europa. Compresa la Sardegna, in cui Delogu è nato, vive ed ha lavorato una vita proprio occupandosi di difesa dell’ambiente e prevenzione incendi. E dove fuoco e incendio, nella cultura contadina e pastorale, non erano sinonimi.
E diventa ancora più necessario ora, perché con i cambiamenti climatici sono in rapido aumento gli “eventi estremi”, compresi gli incendi alimentati e provocati spesso dall’estremizzazione del clima, sia perché aumentano e diventano sempre più catastrofici e letali gli “incendi di interfaccia”[6], quelli che interessano le zone di interconnessione fra ambiente “naturale” e ambienti antropizzati.
Diceva Delogu, intervistato dal giornale online trentino Il Dolomiti:
“dagli incendi “pastorali” si è passati a quelli “di interfaccia”, cioè posizionati nelle aree di confine tra spazi urbani e forestali, segno non solo del riscaldamento globale, ma anche di due importanti fattori sociali”. Si tratta da un lato dell’abbandono dei terreni agricoli e delle relative attività di manutenzione del territorio, con la conseguente forte e spesso incontrollata espansione della macchia mediterranea; dall’altro della presenza di insediamenti sparsi e, soprattutto, della crescita di periferie dominate da incuria e degrado. “A fare la differenza è però l’accumulo di combustibile”, sottolinea Delogu, “tutto ciò che in passato si raccoglieva per gli usi quotidiani, oggi diventa materiale disponibile alle fiamme”.[7]
“Il mondo occidentale, soprattutto dalla seconda metà del secolo scorso, ha ritenuto di poter eliminare il problema degli incendi con una strategia di stampo quasi “militare”: un attacco contundente sui primi focolai, per evitare che si espandano”, spiega l’esperto, “così ha sviluppato potenti strutture terrestri ed aeree che sono in grado di intervenire efficacemente sul 90% degli eventi nelle giornate a meteorologia “tranquilla”, dove le fiamme di ogni singolo evento vengono domate in fretta, limitando i danni a piccole superfici”. Il vero problema sono però le “giornate estreme”, che purtroppo in molte estati, in ambiente mediterraneo, sono oggi la normalità, con temperature maggiori di 35°C, umidità relativa minore del 15-20% e venti forti e variabili.
“Quando gli incendi partono in queste condizioni meteorologiche il sistema collassa, non è più in grado di intervenire efficacemente e pochi, singoli eventi si trasformano rapidamente, diventando ampi e devastanti”, spiega Delogu, “Il paradosso dell’estinzione è questo: quanto più abili si è diventati a spegnere i primi focolai, tanto più si è inermi nelle giornate e nei luoghi critici”.[8]
Invece “Si preferisce la delega alla poderosa macchina di estinzione piuttosto che creare le “fire-wise communities”, cioè comunità esperte e consapevoli di fronte al fuoco, in estinzione e in prevenzione. Dappertutto, a livello nazionale, regionale e locale (salvo virtuose eccezioni come la Regione Toscana e poche altre) emerge una sostanziale resistenza al cambio di paradigma. È certamente più facile fornire risposta immediata ad ogni evento, prodigandosi in una azione emergenziale che mette in bella mostra l’operato dell’amministratore pro tempore (più uomini, più soldi, più efficienza), piuttosto che lasciare un segno duraturo ma invisibile attraverso la pianificazione forestale preventiva.” Perché la politica non riesce a modificare la risposta emergenziale agli incendi?”[9]
Quanto sta succedendo in California, ma anche tutti i devastanti incendi degli ultimi anni, a cominciare da quelli canadesi degli anni scorsi, confermano che nessuna “poderosa macchina da guerra”, e neppure il più eccellente sistema tecnologico di controllo e avvistamento, potrà da solo essere sufficiente a prevenire, fermare e spegnere gli incendi.
Mentre diventa necessario tornare alla capacità diffusa e condivisa di gestire il territorio da parte delle comunità più esposte. In questo senso vanno le “fire-wise communities” di cui parla Delogu.[10]
“Il modello virtuoso è un cambio totale di paradigma col fuoco, togliendo combustibile e vegetazione lì dove gli incendi rischiano di fare più danni a case, cose e persone, il modello delle «fire wise community», comunità che sono pronte al fuoco in modo permanente, anche perché le stagioni degli incendi sono sempre più estese.
Nelle fiamme in California c’è anche una lezione per le aree boschive italiane perché, come spiega Delogu «il vento di maestrale ha caratteristiche simili a quello di Santa Ana che ha spinto gli incendi di Los Angeles. La nostra struttura è attrezzata per spegnere gli incendi piccoli, normali, ma se arriva il maestrale tutto rischia di collassare».[11]
- Lezione/conferenza di G. Delogu per Dialoghi di Archeologia Architettura Arte Paesaggio, Cagliari 2024: I paesaggi del fuoco: da antica opportunità a problema della modernità https://www.youtube.com/watch?v=lq8GHqGEG_w
- Un articolo di Delogu su Transform-Italia del 2021: Un nuovo paradigma per gli incendi boschivi un nuovo paradigma
Sui Mastros de fogu e master de fuegos
- https://www.masterfuegoforestal.udl.cat/es/
- https://www.sardegnaambiente
- ildolomitisardegna-un-grande-incendio-si-avvicina-alla-città
- ildolomiti los-angeles-a-fuoco-una-lezione-per-le-nostre-montagne
- ildolomiti la-lotta-non-basta-più
- In Bottega abbiamo parlato di incendi varie volte: vedi Incendi
Bibliografia
Stephen J. Pyne, Pirocene, Codice edizioni srl, 2022
Giuseppe Delogu, Dalla parte del fuoco. Ovvero il paradosso di Bambi, Ed. Maestrale, 2013
John Vaillant, L’età del fuoco, Iperborea, 2024
[1] “Grazie al fuoco l’uomo ha rimodellato la Terra. Il controllo delle fiamme ha consentito alla nostra specie di alterare il paesaggio per le attività̀ di caccia e raccolta, e di alimentare automobili, case e apparecchi tecnologici bruciando combustibili fossili. Siamo saliti in cima alla catena alimentare perché́ abbiamo imparato a “cucinare” il paesaggio che ci circonda. Oggi siamo diventati una forza geologica perché́ abbiamo iniziato a “cucinare” l’intero pianeta. In questo libro Stephen Pyne racconta l’evoluzione e l’impatto di questa nostra relazione con le fiamme. Relazione che dobbiamo affrontare con un approccio culturale diverso, a livello di specie, perché́ siamo entrati nell’età̀ del fuoco. Benvenuti nel Pirocene.” “Come il fuoco stesso, il mondo sta assumendo un carattere autocatalitico che rende possibile più̀ fuoco. In passato, la diffusione dei ghiacciai contribuì̀ a spingere il pianeta in un’era glaciale; allo stesso modo, oggi il nostro smodato bruciare combustibili fossili sta spingendo la Terra in un’era di fuoco. Abbiamo creato un Pirocene. Ora dobbiamo viverci». Scheda del libro Il Pirocene di Stephen Phine: https://www.codiceedizioni.it/libri/pirocene/
[2] Già dirigente del Corpo Forestale e di Vigilanza Ambientale della Regione Sardegna, Delogu è attualmente membro della www.paucostafoundation.org; socio della SISEF (Società Italiana di Scienza ed Ecologia Forestale – Gruppo incendi boschivi); componente del Comitato Editoriale della www.revistarirn.org (rivista spagnola quadrimestrale sui rischi ambientali); docente a contratto con l’Università di Sassari per Sistemi Forestali e Ambientali, insegnamento di “Tecniche di Protezione Civile”. La sua vasta esperienza dal punto di vista teorico e pratico ne fanno una delle persone maggiormente competenti in Italia sul tema della lotta e della prevenzione incendi. https://cultura.tiscali.it/interviste/articoli/intervista-delogu-fuoco-bambi-libro-incendi/
https://www.facebook.com/giuseppemariano.delogu
[3] https://www.editorialedomani.it/ambiente/incendi-fuoco-los-angeles-california-usa-prevenzione-cambiamento-climatico-j0kwbb7t
[4] https://www.editorialedomani.it/ambiente/incendi-sardegna-oggi-combattiamo-roghi-che-andavano-spenti-20-anni-fa-oxdhjy1k
[5] Nel 2022 Il premio World Press Photo Story of the Year è andato proprio ad un reporter australiano, Matthew Abbott, per il lavoro “Salvare le foreste con il fuoco”, realizzato per National Geographic/Panos Pictures. Al centro del racconto, un rito degli indigeni australiani che bruciano strategicamente la terra in una pratica nota come «combustione a freddo»: i fuochi si muovono lentamente, bruciano solo il sottobosco e rimuovono l’accumulo di residui vegetali che possono alimentare incendi più grandi. Il popolo Nawarddeken di West Arnhem Land, in Australia, attua questa pratica da decine di migliaia di anni e vede il fuoco come uno strumento per gestire la propria terra natale.
[6] https://www.regione.piemonte.it/web/temi/protezione-civile-difesa-suolo-opere-pubbliche/protezione-civile/incendi-boschivi/gli-incendi-interfaccia
[7] Intervista di Il Dolomiti a Giuseppe Delogu. https://www.ildolomiti.it/altra-montagna/ambiente/2024/la-lotta-non-basta-pi%C3%B9-per-%E2%80%9Ci-paesaggi-del-fuoco-per-combattere-i-nuovi-grandi-incendi-occorre-investire-nella-prevenzione-attraverso-la-gestione-attiva-del-territorio
[8] Idem
[9] G. Delogu https://sisef.org/2022/07/29/perche-la-politica-non-riesce-a-modificare-la-risposta-emergenziale-agli-incendi/
[10] Comunità Fire Wise https://www.regione.toscana.it/firewise-comunit%C3%A0-antincendi-boschivi
[11] Editoriale Domani, cit
Che fare? Quello che la California ci insegna
La terra brucia Sono almeno dieci anni che gli studiosi hanno statisticamente rilevato un incremento della superficie bruciata a causa degli incendi in tutto il mondo. Ma, grazie ai mass media, nell’immaginario collettivo […]
Tonino Perna, il manifesto del 12 gennaio 2025
Sono almeno dieci anni che gli studiosi hanno statisticamente rilevato un incremento della superficie bruciata a causa degli incendi in tutto il mondo. Ma, grazie ai mass media, nell’immaginario collettivo si è radicata l’idea che gli incendi devastanti siano una realtà eccezionale, una emergenza che riguarda solo alcune parti del pianeta. Pochissimi sanno che l’area più colpita al mondo non sia l’Amazzonia, ma quella delle foreste equatoriali che dalla Repubblica Democratica del Congo si estendono all’Angola, alla Repubblica Centrafricana e ad altri Paesi limitrofi. Non se ne parla mai nelle varie Coop, nei meeting internazionali che tentano di affrontare la questione ambientale, come se il fenomeno non incidesse sulla produzione di CO2. Si pensi solo che nel 2023 queste emissioni, come ricordava venerdì Luca Martinelli, sono state pari a sei volte la CO2 prodotta dall’Italia e, secondo una stima attendibile, pari all’impatto del traffico aereo che concorre col 2% alle emissioni globali di gas climalteranti.
Non solo California, dunque, ma un fenomeno mondiale. Negli stessi Usa l’andamento del rapporto tra superfice bruciata e numero degli incendi (si è passati da 3,2 milionid acri bruciati negli Usa nel periodo 1986-88 a 7,5 milioni di acri bruciati nel periodo 2020-22) ci mostra come non sia tanto il numero degli incendi a crescere quanto la furia e l’impatto devastante di questo fenomeno.
Spesso la classe politica locale si dimostra talmente impotente e impreparata da sfiorare il ridicolo. Esemplare è il caso del governatore della California, David Newsome, che nell’ottobre del 2020 di fronte a uno dei più devastanti incendi che hanno colpito la California negli ultimi anni ha reagito a questo dramma con un provvedimento che vieta la vendita delle auto a benzina a partire dal 2035!
Ma, quello che la California ci insegna è che in una delle aree più ricche del nostro pianeta la tecnologia più avanzata è impotente se pensa di fare a meno del ruolo della organizzazione sociale.
Di anno in anno si moltiplicano gli elicotteri, si usano i droni, le connessioni satellitari sono fantastiche nel regno di Elon Musk, ma niente possono di fronte all’avanzata degli incendi. E non si tratta di una natura che si vendica quanto di una società capitalistica portata alle estreme conseguenze.
Chi scrive ha sperimentato con successo, quando era presidente del Parco nazionale dell’Aspromonte, come si potessero ridurre drasticamente gli incendi puntando sul presidio dei territori, sulla responsabilità e motivazione, nonché su una premialità per chi opera per spegnere da terra, quando parte il fuoco, affinché non si propagandi. Il cosiddetto “modello Aspromonte” è stato per dieci anni imitato anche da altri parchi nazionali, ma poi è stato messo da parte dalla potenza delle lobbies dei mezzi aerei che affittano allo Stato le proprie prestazioni. Qualche maligno in passato ha detto «se non ci fossero gli incendi fallirebbero queste imprese» che solo nelle regioni meridionali arrivano a gestire più di duecento milioni di euro l’anno. Il successo del “metodo Aspromonte” era basato sul fatto che i cosiddetti “contratti di responsabilità territoriale” venivano assegnate ad associazioni o cooperative che avevano nel curriculum un bagaglio di impegni in campo ambientale, unitamente al riconoscimento economico del lavoro fatto. Esattamente l’opposto di quanto avviene in California dove vengono utilizzati i carcerati per spegnere gli incendi quando ormai divampano.
E questi poveretti, circa ottocento secondo le cronache, sono stati anche questa volta mandati allo sbaraglio, rischiando la vita per un dollaro l’ora.
Denaro, tecnologia, potenza militare, non servono a niente per contrastare gli incendi come dimostra un caso esemplare nel nostro paese. il Trentino-Alto Adige (Sud Tirolo). In questa bellissima regione gli incendi sono stati da sempre controllati grazie a una tradizione civica così forte e radicata che porta migliaia di volontari, ogni anno, a presidiare il territorio e a spegnere i focolai quando dovessero innescarsi.
Come ormai avviene nel campo della salute dove la durata media della vita diminuisce quando aumenta la privatizzazione dei servizi sanitari così nella cura del territorio se si abbandona questo bene comune alla logica del profitto, se non si fa prevenzione, saremo sempre più esposti ad incendi, alluvioni, e disastri ambientali.
https://ilmanifesto.it/che-fare-quello-che-la-california-ci-insegna
Il vento Santa Ana nella letteratura e nel cinema della città degli angeli
https://ilmanifesto.it/da-joan-didion-a-john-carpenter-il-fuoco-nel-destino-di-la
Nuove uscite, dalle Giornate di studio sul paesaggio del febbraio 2023, a Treviso
https://www.fbsr.it/edizioni/dalla-parte-del-fuoco/
Dalla parte del fuoco
Riti, visioni, pratiche di coltivazione nel paesaggio
a cura di Luigi Latini e Simonetta Zanon
Fondazione Benetton Studi Ricerche-Antiga
Treviso 2024
192 pagine, 120 illustrazioni
prezzo di copertina: 30 euro, ISBN 978-88-8435-471-6
disponibile anche in edizione inglese, ISBN 978-88-8435-472-3
(Memorie, 21)
Il volume Dalla parte del fuoco. Riti, visioni, pratiche di coltivazione nel paesaggio trae origine dai contenuti delle Giornate internazionali di studio sul paesaggio organizzate dalla Fondazione Benetton Studi Ricerche a Treviso nel febbraio 2023 e raccoglie contributi di: Marco Belpoliti, Serge Briffaud e Quentin Rivière, Ignazio Emanuele Buttitta, Leonardo Caffo, Salvatore Caffo, Carlos Casas, Kate Cullity e Marni Elder, Giuseppe Mariano Delogu, Donatella de Rita, Xabier Erkizia, Véronique Mure, Juan Manuel Palerm, Enrico Pau, Rosa Tamborrino e Pelin Bolca, Robin Winogrond.
Mentre assistiamo quotidianamente, a ogni latitudine, a incendi di ampiezza e intensità inimmaginabili sino a pochi anni fa, tali da sembrare l’annuncio di un’imminente apocalisse, a eruzioni vulcaniche tanto spettacolari quanto distruttive, sempre più vicine ai territori abitati e devastanti per le attività di intere regioni e la vita stessa di molte persone, la proposta di uno sguardo diverso sul tema del fuoco, come emerge da questo lavoro, può sembrare una provocazione. Di sicuro rappresenta una sfida, perché il fuoco costituisce una presenza costante del nostro ambiente di vita, dal quale non può essere escluso o, peggio, demonizzato: basti pensare a tutti gli aspetti della vita sulla Terra che dal fuoco dipendono, al legame profondo che ci lega a questa entità da cui deriva, se non tutto, gran parte di quello che conosciamo e della nostra stessa civiltà, ma anche, naturalmente, al ruolo che il fuoco ha sempre svolto nelle pratiche di gestione e cura del paesaggio.
Tuttavia, in uno scenario nel quale ancora una volta è il comportamento umano a rivelarsi problematico, questo lavoro è un invito a rivolgerci all’elemento fuoco nella sua relazione con la Terra e tutti i suoi abitanti, tenendo conto della sua ecologia, recuperando conoscenze e pratiche tradizionali in chiave inventiva, immaginando l’utilizzo di fonti di energia alternative ai combustibili fossili.
Si tratta di coltivare un nuovo – o forse antico – approccio fondato su un’idea di coesistenza e non su forme di contrapposizione, nell’ottica di sviluppare visioni progettuali e di cura del paesaggio appropriate per il nostro tempo.
Indice del volume
Le giornate internazionali di studio sul paesaggio 2023
Prefazione, di Luigi Latini e Simonetta Zanon
Salvare il fuoco, Introduzione di Marco Belpoliti
Sguardi diversi sul fuoco
Giuseppe Mariano Delogu, Intorno al fuoco
Ignazio Emanuele Buttitta, Le fiamme dei santi. Riti e simbolismi del fuoco in Europa
Serge Briffaud e Quentin Rivière, Bruciare per difendere. Il caso delle savane dell’isola de La Réunion
Donatella de Rita, I vulcani nella storia e nell’arte
Salvatore Caffo, Etna, patrimonio mondiale dell’umanità
Rosa Tamborrino e Pelin Bolca, Città, incendi e nuova identità urbana. La resilienza di Chicago e un confronto con İzmir
Diari sul campo
Enrico Pau, Le quattro stagioni del fuoco (diario dell’incendio del Montiferru)
Xabier Erkizia, Su un diario bruciato
Carlos Casas, Fieldworks: Fire
Progetti nel paesaggio e nel giardino
Juan Manuel Palerm, Eruzioni e nuovi paesaggi. Esercizi progettuali sulla lava del vulcano Tajogaite a La Palma
Kate Cullity e Marni Elder, Storie di fuoco
Robin Winogrond, Falene attratte dalla luce. L’anello del fuoco come calamita sociale
Véronique Mure, Coltivare il paesaggio mediterraneo. Progettare per ridurre la vulnerabilità dei territori al fuoco
Melior de cinere surgo, Postfazione di Leonardo Caffo
Simonetta Zanon, Dalla parte del fuoco. Suggerimenti per altre letture
Riassunti
Gli autori
Referenze sulle illustrazioni
Indice dei nomi e dei luoghi
Note sui curatori
Luigi Latini, architetto e paesaggista, docente di Architettura del Paesaggio presso l’Università Iuav di Venezia. Dal 1998 collabora con la Fondazione Benetton Studi Ricerche di Treviso, della quale è attualmente presidente del Comitato scientifico e direttore.
Simonetta Zanon lavora presso la Fondazione Benetton Studi Ricerche di Treviso come responsabile di progetti e ricerche sul paesaggio.
Il “paradosso dell’estinzione”: capirlo è fondamentale per comprendere gli incendi di Los Angeles (e anche quelli mediterranei)
Luigi Torreggiani su Il Dolomiti. 20.01.2025
https://www.ildolomiti.it/altra-montagna/ambiente/2025/il-paradosso-dell%E2%80%99estinzione-capirlo-%C3%A8-fondamentale-per-comprendere-gli-incendi-di-los-angeles-e-anche-quelli-mediterranei
I modelli organizzativi della gestione degli incendi nell’Europa mediterranea, di Giuseppe Mariano Delogu
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