Angelo Maddalena e gli altri? Cantautori

di Ginevra Lunare

Forse è proprio vero che certi gioielli si trovano in lande desolate o di provincia, in mezzo alle macerie o alle miserie profonde! Angelo Maddalena è quasi compaesano di Leonardo Sciascia, di cui quest’anno ricorre il trentennale della morte e forse, se fosse nato prima, si sarebbe ritrovato in qualche bar di Caltanissetta a dissertare con Sciascia. Ma è nato a Pietraperzia, nel 1989 aveva 17 anni e tutta una vita davanti; Angelo era un buon cattolico ma poi si sarebbe definito “cattolico scettico”. E’ nipote di sarti, figlio di un filosofo poi convertito in impiegato comunale e geometra, e di una mistica precocemente impiegata al Comune.

Vittorio Marinelli ha scritto parole belle e sintomatiche su «Eremo, dintorni e ritorni nel lago», l’ultimo cd-libro di Maddalena: citando la canzone Pescatori ma soprattutto Ascolti ancora e Di nuovo solo come esempi di una maturità coltivata in riva al lago Trasimeno. Daniela di Milano dopo aver letto la recensione di Marinelli ha sentito il desiderio di ascoltare il cd «Eremo in canto» (allegato al libro) mentre più recentemente Ljuba e Ilaria, che abitano a Trieste e in Liguria, hanno apprezzato parecchio la canzone «La repubblica della porchetta!». Soprattutto per la strofa «a Siena con Deni e le salamelle / la salsiccia e gli arrosticini / prima ero anche vegetariano adesso la porchetta mi dà una mano / a cantare e a sentire il giorno che va a finire».

ma che minchia di canzone è questa? potrebbe pensare qualcuno a un ascolto disattento. Poi invece Ljuba e Ilaria la riscoprono, e non solo loro: come La cacca dei boy scout di Calogero Incandela, che qualcuno ha associato alla Recherche du temps perdu questa La Repubblica della porchetta – come molte canzoni “quotidiane” di Angelo – scava nella realtà con quello spirito giocoso ma che non molla la presa. Cantando e giocando ti infilza la lama in una tendenza all’integralismo dei nostri tempi, ma partendo da se stesso, mettendo in gioco sé stesso.

Non troveremo mai Maddalena né tanto meno Incandela in un Talent, fortunatamente! Incandela ha scritto anche una canzone capolavoro, Ex Facto, ironia feroce e realistica dei disastri emotivi e motivazionali che si nascondono nei meandri dei Talent. Deo gratias, viene da dire, se ci sono ancora (e ce ne sono tanti ma sempre più occultati dalla macchina spettacolare e tentacolare; al proposito vedere come specchio distorto di questo tempo l’ultimo film di Maresco: La mafia non è più quella di una volta).

«Nè matto né scemo nè ubbriaco»: espressione che Marinelli riprende per definire Maddalena, usata da Quirino, fornaio di San Feliciano sul Trasimeno, ormai passato a miglior vita. Marinelli dice questo di Maddalena ma nel suo libro «Eremo, dintorni e ritorni nel lago» c’è l’impressione – che l’autore ha raccolto – di un certo Antonio S. F. che vedendo spesso Maddalena all’osteria Rosso di sera di San Feliciano, un giorno di novembre (un anno quasi come oggi) gli buttò lì un «ti ammiro perché non è facile essere stupidi come te, perché dietro la tua ignoranza c’è uno studio». Maddalena, come Antonio Carletti, Incandela, Di Rosolini, Luca Privitera, Liuba Scudieri e tanti altri e altre, popolano i sotterranei, autoemarginati con orgoglio, appagati dalla loro «gloria clandestina» (citazione di Emile Cioran, un altro angelo beatamente dannato) a volte perseguitati a volte fuggitivi dalla piovra SIAE, a volte di malavoglia “registrati” (e questo sarebbe un capitolo a parte; ci vorrebbe un “Libro nero della SIAE”). Artisti famosi in incognito o «senza codice a barre» (Bobo Rondelli si definisce Famous local singer). Ad ogni modo, nel caso di Maddalena, c’è forse un che di Enzo Jannacci alla siciliana, con un tocco di Sciascia (la fissazione per la dolcezza della morte, il senso del tragico… come Sicilia crea).

Angelo fa parte di quella schiera di artisti come Bobo Rondelli: da 30 anni Bobo, Angelo da meno di 15. Anche Rondelli inneggia alla povertà come valore rivendicato. Oggi come oggi sembrano marziani questi qui. O forse più necessari che mai: vivi, veri, legati alla realtà, alla quotidianità, con una poesia malinconica e a tratti mistica, una chitarra da quattro soldi ma comunque di qualità. Mino De Santis, altro “illustre sconosciuto” salentino, da qualcuno definito il «De Andrè di Maglie», una volta disse ad Angelo, guardando la sua chitarra: «mia nonna diceva che se tu sai filare la lana lo sapresti fare anche con un cucchiaio», tanto per dire.

Angelo forse ripercorre e ripropone, più che il modello del clown al quale è stato associato Jannacci, quel personaggio molto diffuso nel Mediterraneo, noto come Giufà in Sicilia, Giuhà nei Paesi arabi, Nasredin Hojà in Turchia: insomma, lo sciocco scaltro, quello che comunque fa il matto per curare le ferite del mondo, scompiglia le carte per poi, in un certo qual modo, ristabilire un’armonia perduta (ne parla bene Jean Starobonskj nel suo libro «Ritratto dell’artista dal saltimbanco»). Si ascolti la canzone «Vomito di gioia» in cui Angelo vomita lo schifo provocato da tante «pugnalate alla bellezza / e alla curiosità di un mondo immondo» ed è ovvio che c’è senso del tragico, c’è vissuto personale sublimato e universalizzato, e alla fine c’è questo riscatto della bellezza, preceduta da «un vomito di gioia / ci salverà» e poi «un sussurro di bellezza ci salverà».

Nell’ultimo spettacolo di Maddalena a Perugia accanto a lui c’erano una violinista e un mandolinista, eroici nell’andargli dietro, lui che ha scritto anche una canzone, «Do Sol Fa», dove rivendica: «e sbagli il tempo se vuoi / se non finisce che poi / sembra tutto perfetto e perdi di vista il bello di tutto il resto / e se sei troppo armonioso fai troppo lo smorfioso / divento vanitoso e non è bello così». Certo, viviamo in un tempo in cui l’arte è sempre più plastificata, dovremmo rendere lode e ringraziare il cielo che ancora esistono e resistono artisti così, di tipo «nascosto e immerso nella realtà quotidiana e popolare». Perché ci sono due tipi di artisti, per farla breve: quelli che si vedono perché vanno in alto, nei palchi, in tv ecc; ma vanno così in alto che la realtà non la vedono, non la toccano, nel senso di quotidianità e conflittualità esistenziale, personale e collettiva. Sì a volte sembrano – e un pò lo sono – poetici (qualche esempio: Calcutta, Brunosri Sas, Dente…) ma sono sempre e tendenzialmente alienati e alienanti, non solo per il fatto di essere complici di un sistema di intrattenimento e di industria della musica di cui la SIAE è solo la punta di un iceberg ma anche perché, e si vede da chi li segue, hanno questo atteggiamento finto alternativo o finto indie; o forse autentico, ma poi nella macchina spettacolare e mediatica come fai a distinguere? È più probabile che siano usati dalla macchina e quindi, in un certo qual modo, non toccano terra, ispirano proiezioni di frustrazioni, e aiutati dalla macchina del consumo pompano e si fanno pompare. Non è una questione di “pauperismo” a tutti i costi ma Jannacci lo diceva già nel 1994, che lui stesso era stato messo in secondo piano dalla sua casa di produzione, la Ddd, perché dovevano cominciare a pompare Eros Ramazzotti. Di esempi ce ne sono a bizzeffe, per capire come funziona questa macchina: i produttori che per far finta di aver venduto migliaia di copie di un disco in poche settimane comprano loro stessi tutte le copie per pompare il prodotto, che verrà comprato solo per la compulsione di avere un disco molto “venduto”. E’ chiaro che non è sempre così tassativamente, ci sono le eccezioni e tanti altri possibili distinguo, ma queste cose sono occultate e quasi tabù, altrimenti crollerebbe o rischierebbe di crollare la “magìa” dell’artista impegnato o indie, cioè indipendente! E poi ci sono gli artisti invisibili perché vivono così immersi nella realtà e nella quotidianità, raccontandola per necessità profonda, viscerale diremmo, con stili lontani e magari autoemarginati da un circuito visibile e scintillante. Questi ultimi artisti sono quelli che conservano e salvano l’arte di vivere, ci fanno vibrare e sentire qualcosa di vero/vivo. Di questo spesso abbiamo paura e lo rigettiamo, lo allontaniamo, perché ci porta troppo dentro la realtà e la nostra esistenza: «la verità è come il profumo, un po’ va bene, troppo disturba» diceva Mariano Santocono.

Come scriveva Baudelaire in una sua poesia: il pubblico è come quel cane che se gli dai un cibo raffinato lo rifiuta, poi gli dai la merda e se la mangia! Baudelaire lo scriveva più di cento anni fa, noi siamo arrivati qui… ed è grazie agli artisti (parlo in generale, poi ognuno fa i suoi distinguo) che, come gli scarabei, mangiano la merda della società in cui vivono e da questa sostanza abietta, ogni tanto, fanno zampillare la bellezza. Rubo quest’ultima citazione da Wajhidi Mouawad, artista libanese che vive in Quebec.

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