Annamaria Rivera: forme di lotta e soggettività

Com’era prevedibile, la follia repressiva e autoritaria del potere si è scatenata senza freni. Non per caso, i portavoce più strepitanti ne sono i fascisti mai pentiti che siedono sui banchi del governo: gli ex mazzieri, gli specialisti in strategia della tensione, che oggi propongono arresti preventivi da ventennio fascista, straparlano di potenziali assassini nei cortei e di emergenza-terrorismo, invocano un nuovo 7 aprile, cioè la replica, in un contesto addirittura più nefasto, dell’eclissi della ragione giuridica. Micidiale è la trappola che essi, col concorso decisivo del ministro dell’Interno, cercano di tendere al movimento: infiammare gli animi, spingere le manifestazioni verso esiti incontrollabili, invischiare la protesta nella spirale repressione-rivolta-repressione, utilizzare questa spirale come stampella per sorreggere un governo screditato, illegittimo, ridotto a comitato d’affari della borghesia più reazionaria, potenzialmente golpista.

E’ accaduto molte volte nell’ultimo quarantennio, dal quale, al contrario di quel che sostengono certi commentatori di sinistra, penso che qualcosa forse si potrebbe imparare. L’argomento per cui ogni tempo ha la sua propria cultura di movimento e di piazza, così che sarebbe del tutto anacronistico fare comparazioni fra la protesta attuale e altri movimenti, è fondato ma non assolutizzabile. Si rischia, infatti, di essere subalterni alla società dello spettacolo, alla sua tendenza a ridurre ogni evento alla nuda attualità.

Certo, la peculiarità di questa protesta è assai densa. Se solo analizziamo le forme in cui si è espressa il 14 dicembre la rivolta verso la controriforma Gelmini, il governo, le sue politiche dissennate, constatiamo, fra le altre cose, che è la prima volta nella storia dei movimenti italiani dal ’68 in poi (almeno a mia memoria, molto lunga) che gli scontri di piazza degenerano in diffusi corpo-a-corpo fra manifestanti e forze di polizia. E’ la prima volta che si rende tanto visibile e dilatata la cultura da stadio (uso questa formula in modo neutro), compreso l’uso di petardi e fumogeni. Non c’è di che scandalizzarsi: la stessa controcultura delle curve è uno specchio che rende visibili, esasperandole, la conflittualità sociale, le sue contraddizioni, la violenza che percorre le istituzioni e la cultura dominante.

A proposito di queste forme: è almeno dalla rivolta delle cités francesi (autunno 2005) che andiamo scrivendo che la violenza apparentemente “cieca” di strati giovanili precarizzati e stigmatizzati (la racaille, i bamboccioni…) è strumento per rendersi visibili nello spazio pubblico, attirare l’attenzione dei media, attestare la propria soggettività e le proprie rivendicazioni. Abbiamo scritto anche che le rivolte nella forma dei riots – destinate a moltiplicarsi – sono figlie del tempo in cui una frattura drammatica si è aperta fra strati subalterni o subalternizzati della società, sempre più ampi, e la Politica, in quasi tutte le sue espressioni; e perciò fra quegli strati predomina, a giusto motivo, la sfiducia negli strumenti convenzionali della protesta. Quelle rivolte sono anche lotte per il riconoscimento, abbiamo detto. Ma se l’auto-attestazione di soggettività e la rivendicazione di riconoscimento dovessero ridursi alla ricerca di visibilità mediatica, su questo terreno i subalterni sarebbero destinati a perdere. Non solo a causa del potere repressivo e del controllo proprietario che le classi dirigenti esercitano pure sui media; ma anche perché, come scriveva Guy Debord, “Là dove domina lo spettacolare concentrato, domina anche la polizia”. E con essa la follia repressiva e autoritaria.

E allora perché mai non si dovrebbe tentare d’immaginare, per comparazione, appunto, i possibili esiti nefasti e le strategie per scongiurarli? Per quale ragione sarebbe precluso apprendere qualcosa, per esempio, dalle forme del quasi unico movimento che riuscì a non farsi intrappolare nella spirale di cui ho detto? Alludo, ovviamente, al movimento femminista degli anni ’70. Che riuscì a imporsi e ad esercitare egemonia con pratiche, anche di massa e di piazza, all’insegna della creatività comunicativa, dell’ironia e dello sberleffo, della capacità di sorprendere e disorientare il potere e i dominanti. Di solito a questo argomento si oppone non solo la differenza radicale di contesto sociale, politico, storico, che è innegabile, ma anche la “rabbia” di una giovane generazione precarizzata, espropriata di potere, di futuro, di rappresentanza politica. Come se a quel tempo le donne non fossero ugualmente dominate, ugualmente non-rappresentate e private di potere e parola pubblica. Che dicano la propria “rabbia” i giovani protagonisti del movimento è cosa ovvia e comprensibile. Ma, quando è detta da altri, essa, che non è una categoria politica o sociologica, rischia di diventare retorica vitalistica. Al di là della retorica, sarebbe auspicabile che prima o poi la “rabbia” fosse sublimata in qualche forma politica, inedita e di base. E’ impresa ardua e non spetta a noi dare lezioni. Ma ho l’impressione che per il movimento sia una questione di vita o di morte.

UNA BREVE NOTA

Riprendo dal quotidiano “Liberazione” (di oggi, 21 dicembre) questo editoriale di Annamaria Rivera. Mi pare un ragionamento interessante – anche se qualche passaggio mi convince meno – invece del solito mix di bugie, retorica, assenza di pensiero e/o di inchiesta ma soprattutto sostanziale complicità con la violenza del Potere. Io penso che una nuova forma politica (“inedita”) è difficile, forse impossibile, che nasca senza squassare il regno dei partiti – anche sedicenti di sinistra – morti e sepolti. E non credo che il signor P2-1816, alias Silvio Berlusconi, si lascerà cacciare senza tentare nuove provocazioni, forse anche molto grosse (chi ha la mia età ricorda bene cosa davvero fu “la strategia della tensione” e le parole rivelatrici di Mariano Rumor dopo la strage in piazza Fontana). Il movimento nascente non trova ascolto se non in qualche piccola frangia eretica – come “il manifesto” che purtroppo conta quasi zero- della fu sinistra. Eppure… se le piazze si riempiono forse il peggio è finalmente dietro le spalle. Il cammino sarà lungo ma anche stavolta abbiamo un mondo da (ri-)conquistare e molte catene da perdere. Cercheranno di impedircelo con la loro abituale violenza, con il loro terrorismo di Stato. Ci vuole ironia ma da sola non basterà. Ci vuole creatività, radicamento, organizzazione. E ci vuole coraggio. (db)

Redazione
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6 commenti

  • In generale:

    non ho mai pensato che sarà una risata a seppellirli, e non ho mai creduto al ricatto della non violenza con il quale certi anestesisti di professione tentano di addormentare il movimento. Con pacatezza: la violenza è una reazione estrema ma del tutto normale quando non si ha altro modo di farsi valere. Bisogna pensarci prima che esploda. La violenza – pur deprecabile – certo da non invocare, pur essendo un atteggiamento primitivo, è banalmente il prodotto dell’ingiustizia sociale.
    Essa violenza c’è. E’ figlia delle tensioni e dei conflitti.
    Tutto il resto, berciato in questi giorni dai media, è soltanto ipocrisia. (Fabio Fazio, basta, abbi pietà di noi) Ci sono forse state, nella storia, lotte sociali che si siano poste obiettivi di qualche rilevanza risultate indenni dalla violenza? anche se spesso adottata “di rimessa”? Se ne sarebbe fatto volentieri a meno? Ovviamente. Così chioserebbe il Generale Lapalisse (La Palice per i più dotti)

    Certo, se ci fosse una organizzazione, magari di sinistraaa, a dare una prospettiva, a proteggere da provocazioni, a offrire una guida che sapesse far maturare questa fase, fragile perchè ancora spontaneista, anche il Generale Cambronne potrebbe dire finalmente, con voce squillante, ciò che si meritano Ignazio e quell’altro tanghero. Ma ancora non è.

    In bocca alla lupa per domani…

  • In mezzo a questo serra serra, non possiam lasciar di fermarci un momento a fare una riflessione. Renzo, che strepitava di notte in casa altrui, che vi s’era introdotto di soppiatto, e teneva il padrone stesso assediato in una stanza, ha tutta l’apparenza d’un oppressore; eppure, alla fin de’ fatti, era l’oppresso. Don Abbondio, sorpreso, messo in fuga, spaventato, mentre attendeva tranquillamente a’ fatti suoi, parrebbe la vittima; eppure, in realtà, era lui che faceva un sopruso. Così va spesso il mondo… voglio dire, così andava nel secolo decimo settimo.

    Alessandro Manzoni, I promessi sposi, cap. VIII

    “Le pietre non sono che il raccolto di ciò che avete seminato: lacrime e sangue”.

  • Cominciano a delinearsi le prime misure annunciate dal governo dopo gli scontri di piazza avvenuti martedì scorso a Roma, mentre il parlamento si pronunciava sulla sfiducia a Silvio Berlusconi. Per fronteggiare la crisi sociale e camuffare la vertiginosa caduta di credibilità politica dell’esecutivo verrà ulteriormente inasprita la gestione dell’ordine pubblico ispirandosi a quel laboratorio della repressione sociale che nell’ultimo decennio hanno rappresentato le curve degli stadi. Se il parlamento potrà essere facilmente controllato comprando altri parlamentari dell’opposizione per «acquisirli» alla maggioranza, per la piazza le cose stanno diversamente. Il governo teme i manifestanti, soprattutto la possibilità di una saldatura sociale stabile tra le varie componenti della protesta: i cittadini di Terzigno, i terremotati aquilani, i metalmeccanici, i precari, gli studenti, i migranti. Per questa ragione stanno per essere varati una serie di dispositivi di natura legislativa e tecnica in grado di consentire un ulteriore giro di vite repressivo nei confronti del diritto di manifestare e di esercitare l’attività politica con incisività e visibilità.

    Limiti alla libertà individuale di manifestare
    Il ministro degli Interni ha accolto la proposta lanciata venerdì dal suo sottosegretario, Alfredo Mantovano, di adattare i daspo, cioè i divieti di accedere alle manifestazioni sportive, anche alle «manifestazioni pubbliche». Roberto Maroni ha giudicato l’idea «interessante», annunciando che potrebbe essere inserita da subito nel pacchetto sicurezza in discussione al senato. Mantovano ha spiegato che questa novità legislativa «colmerebbe una lacuna». La nozione di “pubblico” è per giunta talmente ampia da includere oltre a quelli politici qualsiasi altro evento di natura culturale, religiosa, ludica, musicale, che si realizzi fuori da uno spazio privato. Con una soluzione del genere saremmo ai vertici dell’afflato totalitario. Una ragione in più per scendere in piazza nei prossimi giorni e manifestare con maggiore forza ancora, visto che è proprio questo diritto ad essere messo definitivamente in discussione. «A quando la tessera del manifestante»? Hanno chiesto polemicamente i radicali mentre numerosi giuristi hanno segnalato l’incostituzionalità di un simile provvedimento. Un coro d’approvazione è venuto da parte del centrodestra ma anche da esponenti del Pd, come l’ex ministro degli Interni del primo governo Prodi, Enzo Bianco, il massacratore di Napoli. Aperture sono venute anche da Luciano Violante, a patto che una misura del genere sia adotatta dalla magistratura e non dalle questure.
    Dopo i limiti permanenti imposti ai percorsi, l’estensione e l’istituzionalizzazione di una zona rossa attorno ai palazzi della politica, ora diventa problematica anche la semplice possibilità di manifestare al di fuori di forme e contenuti sgraditi ai governi di turno. I daspo verrebbero applicati a chiunque avesse precedenti e denunce in corso, in sostanza interverrebbero prima del giudizio finale manifestandosi come una sanzione amministrativa anticipata prim’ancora che la colpevolezza venisse penalmente accertata. Un modo per rendere innocui gli oppositori politici.

    Caccia al manifestante, arrivano i nuclei mobili di pronto intervento
    L’altra misura annunciata riguarda l’introduzione di “presidi mobili di pronto intervento” sul modello adottato dalla polizia greca per fronteggiare le imponenti contestazioni che da due anni fanno traballare il governo. La scelta di questa nuova strategia sarebbe supportata dalle analisi realizzate dalla digos e dalla polizia di prevenzione, in cui si parla di un «sistema parallelo che prescinde da chi ha organizzato la manifestazione perché si affianca a chi sfila, ma poi persegue altri obiettivi». Dai filmati degli incidenti di Atene e Londra, i responsabili dell’ordine pubblico e del contrasto all’eversione avrebbero tratto la convinzione della «presenza di analogie nella pianificazione degli attacchi, mirati verso gli obiettivi istituzionali e le forze dell’ordine». Da qui la decisione di ricorrere a piccole pattuglie mobili, coordinate dall’alto e da osservatori in abiti civili, che non seguono più il corteo o presidiano staticamente obiettivi sensibili e sbarrano strade, ma si muovono nel territorio circostante il tragitto della manifestazione a caccia dei gruppi considerati l’obiettivo da neutralizzare. In Grecia i Mat, gruppi speciali antisommossa, applicano da tempo questa strategia che assomiglia molto alla caccia praticata degli Indiani. Una forma di controguerriglia urbana a bassa intensità che consente di sorprendere gli avversari con degli agguati e dei raid improvvisi. Avanzano in fila indiana per poi scattare all’improvviso, spuntano dal nulla per agguantare i manifestanti isolati o aggredire i gruppetti confusi e sparpagliati. Si nascondono dietro gli angoli, accovacciati tra le vetture in sosta e gli arredi urbani. Anche la loro dotazione personale è speciale, tuta robocop, casco e maschera antigas, manganello agganciato dietro la schiena, decine di granate “incapacitanti”, cioè accecanti e assordanti, spray urticanti compreso i “capsulum”,

    Lancia polvere urticante in dotazione alle forze speciali greche. Foto Baruda

    potenti lancia-polvere di peperoncino che bruciano i polmoni. Addestrati all’arresto mirato sono in grado di infilarsi con azioni lampo all’interno del corteo per agguantare uno o due manifestanti e trascinarli via. Una tecnica già in uso nella polizia francese fin dalla metà degli anni 90. Questi nuclei alla fine dei cortei penetravano i gruppi di manifestanti che si attardavano negli scontri con pattuglie di 5-6 uomini. Due diretti sull’obbiettivo e gli altri intorno a protezione che si facevano strada a colpi di arti marziali.

  • Quale commento? Scusate, mi assento, vado in bagno a vomitare.

  • Mi scuso con Daniele, il mio commento in effetti è poco comprensibile. Volevo dire che il contenuto di cio’ che ho letto sopra (le misure governative in preparazione) mi ha talmente incazzato e disturbato che l’unico commento era andare a vomitare:-)
    Bacioni dal vostro vikkor!!!

  • Vittorio, ti capisco, eppure bisogna prepararsi…

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