Annunciando la fine del dominio

no-tavdi Alexik (da http://illavorodebilita.wordpress.com/)

Da sempre il potere ha un’avversione istintiva contro chi ha occhi per vedere il futuro e parole per raccontarlo.

Da sempre, per questo, detesta i poeti. Così come li odiavano i carcerieri di Nazım Hikmet, cantore di alberi, di amori e di rivolte. Come li odiava Rodolfo Graziani, viceré d’Etiopia, colui che ordinò di uccidere tutti i cantastorie di Addis Abeba, colpevoli di annunciare la fine del dominio italiano.

Probabile che oggi i poeti non li amino troppo nemmeno alla Procura di Torino, così allarmata dal potere sovversivo della parola. Da quelle parti contengono a stento lo scandalo: “Non lo sa, questo Erri De Luca, che la libertà di espressione è un lusso concesso solo ai poeti di corte ? Perché non si limita a far rime melense con fiore e cuore, invece di piazzarsi come un mattone dentro un muro di gente che blocca un’autostrada?”

In Procura temono che sia la lotta a riscrivere il diritto, a riportarlo dal chiuso sepolcrale dei codici nelle mani vive della gente. Il Diritto, quello con la D maiuscola, all’integrità del territorio, alla propria storia, alla vita e alla bellezza.

In Procura hanno deciso che la parola è un sabotaggio. E hanno ragione, perché il primo passo per combattere un’oppressione è quello di nominarla. Temono un attacco condotto sul loro stesso terreno, perché chiamare le cose per nome è un attentato semantico al codice penale. Significa cambiare il senso dei reati dire che:

Terrorismo è militarizzare una valle, intimidire i suoi abitanti a colpi di manette, porte sfondate, teste rotte e gas venefici.

Saccheggio è arricchire gli appaltatori delle grandi opere con le risorse negate ai malati negli ospedali, ai vecchi privi di assistenza, ai disoccupati privi di futuro.

Devastazione è abbattere foreste secolari, sventrare montagne piene di amianto.

Amianto è una parola che in Procura a Torino conoscono. Ne hanno contato i morti a migliaia per l’Eternit di Casale Monferrato, Rubiera, Bagnoli e Cavagnolo.

Sostengono però che per condannare un padrone, miliardario e contumace, è necessario che, prima, la strage si compia.

“Chi sono dunque questi valligiani, che assieme ai loro poeti maledetti, non solo vogliono Giustizia ancora prima di essere ammazzati, ma pretendono addirittura di impedirlo? Ignorano forse che la giustizia bisogna sudarsela ?

Che per poterla richiedere bisogna prima morire sull’altare dello sviluppo (peraltro, in maniera statisticamente significativa), e che tocca pure mettersi in fila? Sapessero da quanto tempo aspettano giustizia gli avvelenati della Solvay, o quelli della Michelin o gli ultimi arrivati … i 400 accoppati dalla Tirreno Power di Vado Ligure ! Per loro si, possiamo tollerare l’elegia del canto funebre, ma solo a cose fatte. 

I Valsusini aspettino composti il loro turno, ché un disastro ambientale non si improvvisa mica dall’oggi al domani. Il mesotelioma, poi, è un tumore paziente, sa attendere anche 30 anni. La loro giustizia postuma sarà un problema delle Procure del futuro“.

Non concepiscono in Procura che i valligiani vittime non vogliano proprio diventarlo. Che contestino ai tribunali il monopolio della “giustizia a posteriori”, quella incapace di resuscitare i morti, i boschi e le sorgenti.

Mentre i loro cantori, con la schiena dritta e gli occhi asciutti, guardano lontano e annunciano la fine del dominio.

Redazione
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