Antonio Caronia e la morte della fantascienza

di Giuliano Spagnul

«La fantascienza è una costellazione di immagini che passano di opera in opera, e così facendo si amplificano, si arricchiscono, si trasformano». [nota 1]

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Che cos’è un genere letterario se non l’amplificazione massima di questo passamano di immagini di opera in opera? La fantascienza, come genere letterario popolare di massa, è forse il migliore esempio di questa specie di evoluzionismo per assemblaggio, per variazioni, che una volta accettate entrano a far parte di un sistema di regole condivise. Stare alle regole ma allo stesso tempo innovarle, cioè tradirle. La fantascienza è piena di leggi, di regole, di teorie; tutte devono sottostare a una logica di plausibilità. Cioè, per quanto astruse, devono avere una loro coerenza interna, una loro logica; se mai opposta a quella che noi consideriamo veramente tale, ma comunque costruita secondo dei criteri, che non vanno trasgrediti senza una motivazione coerente (compatibile) a quella logica stessa. Certo, questa è una visione del genere fantascientifico che lascia ampi spazi a ogni tipo d’inventiva, da quella più elaborata e sofisticata a quella più grossolana e commerciale. Con buona pace del “novum” assai selettivo proposto da Darko Suvin [nota 2].

«Per quelli di noi» scrive Antonio Caronia che negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso leggevano la letteratura di consumo cercandovi qualcosa di più sottile di una trama ben congegnata, di qualche emozionante battaglia di cannoni a neutroni o di poteri psi, di qualche ingegnosa descrizione di tecnologie o paesaggi alieni, era la fantascienza in quanto tale a incarnare la letteratura del ‘novum cognitivo’, e non solo le sue punte più alte o in qualche modo eccentriche. Prima che Suvin arrivasse a illuminarci (e non lo dico affatto con disprezzo né paradossale ironia) con le sue teorie cesellate fra strutturalismo e post-strutturalismo, eravamo già convinti che la fantascienza fosse una narrativa dotata di un particolare potenziale cognitivo: in altri termini, che leggendo la fantascienza si potesse capire meglio la società, e anche che si potesse agire più efficacemente dentro la società». [nota 3]

La fantascienza tutta, in quanto tale: scienza fantastica, scienza che fantastica su se stessa, che si immagina, si pensa e produce fantasie scientifiche. E’ tutto questo «in quanto tale a incarnare la letteratura del ‘novum cognitivo».

L
a scienza che produce tutto questo è una scienza che col suo legame, sempre più stretto, con la tecnologia aveva raggiunto nel secolo scorso un livello straordinario di potenza ma non al punto da eliminare la distanza che separa il presente così com’è dal futuro così come potrebbe essere. Cioè c’è uno iato, una separazione che ancora persiste nella fase del capitalismo maturo del secolo scorso tra un presente ricco di potenzialità e un futuro pronto a realizzarle, oppure al contrario (ma sono le facce di una stessa medaglia) un presente ricco di incognite e un futuro catastrofico.
«Era evidente che la fantascienza non poteva sopravvivere, né nella sua forma ‘ottimista’ né in quella di ‘testimonianza’ della crisi, all’avvento della nuova fase del capitalismo iniziata sin dalla metà degli anni Settanta. I generi della letteratura popolare sono, più di altri, fenomeni storici contingenti, che nascono e muoiono in simbiosi con i processi sociali. La fantascienza come genere letterario è morta, quindi, nel momento in cui la società non riusciva più a ‘progettare il proprio futuro’, nel momento in cui l’emergere di un’economia del segno, del simbolico (già presagita da Baudrillard nel pieno degli anni 1970) accelerava e ristrutturava i processi sociali dilatando l’attimo singolare in una dimensione estesa e onnicomprensiva, sino a inglobare passato e futuro in un ‘eterno presente’. Una letteratura pensata e declinata al futuro non ha più nulla da dire, e quindi impallidisce e si stempera, nella società del “tempo reale”». [nota 4]

Sentenza inesorabile, che ha suscitato solo scandalo tra quei fans appassionati incapaci di capire che il loro eterno lamento sull’incomprensione del valore letterario di cui è vittima la fantascienza potrebbe finalmente trovare la pace con il superamento del genere stesso. Cioè con l’esplosione dei contenuti che gli sono propri in tutti gli ambiti dell’industria culturale; un’invasione massiccia capace di rendere obsoleti gli steccati che hanno sempre circondato la fantascienza come genere. Un po’ come quell’alieno, Lord Running Clam del romanzo «Follia per sette clan» di Philip K. Dick, che muore e si rigenera in svariate nuove spore. La fantascienza muore e morendo trasmigra «nei nuovi generi che si preparano e già vivono nella narrativa, nel cinema, nei videogiochi, dalla fantasy al noir» [nota 5] Che tutto questo abbia comunque costituito, di fatto, scandalo per i fans nostalgici della sindrome da fortino assediato era prevedibile; meno scontato immaginarlo da parte di un addetto ai lavori, un critico, se mai pure accademico, come Salvatore Proietti, che senza menzionare Caronia, sul numero 31 della nuova serie di «Robot» scrive: «Da quasi vent’anni, il potere culturale italiano sente la necessità di reiterare il rituale della cancellazione della SF dal quadro letterario. Il mantra fa così: Dick e Ballard l’hanno resa obsoleta, e Gibson le ha dato il colpo di grazia. (…) Per l’establishment culturale nostrano, invece di ammettere l’ennesimo errore, è stato molto più comodo l’annuncio di morte». [nota 6]

Che dire? Se non che è vero, Dick e Ballard hanno reso obsoleta la fantascienza, ma in ben altro senso di quel che vuol far credere Proietti. La fantascienza «ci piace anche considerarla, oggi, definitivamente morta e defunta. Non per una nobilitazione in estremo, sulla scia della ‘morte dell’arte’ ecc., ma per ribadire il suo essere legata a doppio filo alla fame di futuro che l’ha vista nascere. Con l’esaurirsi del futuro, per effetto del suo amalgamarsi completo col presente, la fantascienza perde a sua funzione di sentinella, monolite ai confini dell’infinito, termometro della possibilità di futuro ancora. L’idea di futuro è un’idea ormai troppo radicale, in odore di sovversione per poter essere tollerata nel mondo dell’oggi perpetuo. E se il cyberpunk definisce simbolicamente un termine plausibile del genere SF, un’altra data potrebbe sancire ancor meglio questa ipotetica fine, il 2 marzo 1982 con la morte di Philip K. Dick. Cos’è l’opera di Dick se non il rimasticamento e il rigurgito di tutta la letteratura di SF? Dick, lo scrittore che ambiva ad essere ‘scrittore’ e che ha dovuto ripiegare suo malgrado (per nostra fortuna) a guadagnarsi il pane con stupidi racconti di SF. In questo modo ha rimanipolato tutto il genere senza restituire nulla ad esso, ma creando un’opera autonoma, capace di un pensiero fecondo generatore di potenzialità ancora tutte aperte se non ancora da esplorare. E’ insomma l’autore che ha saputo fare della SF una cassetta degli attrezzi, l’ha usata lui stesso e l’ha lasciata in eredità a tutti noi. Sancire la fine della SF ha lo scopo per noi di rendere viva la sua potenzialità vivificante, sorta di spray-ubik per creare, fare realtà. E’ possibile discutere del prodotto filmico Avatar o della pratica dei trapianti d’organo senza (consapevoli o meno) essere immersi in quell’enorme ragnatela culturale rappresentata dai romanzi, fumetti, pubblicità, prodotti per la tv, rotocalchi ecc. di fantascienza del secolo scorso? Quanto hanno inciso e quanto incideranno ancora nella nostra capacità di fare mondo, nel bene e nel male? Così come soltanto per ‘un individuo le cui trasformazioni fossero prevedibili, potrebbe essere considerato immortale’ [nota 7] altrettanto vale per un prodotto culturale. La fine apre all’inizio, la morte alla vita». [nota 8]

Ma ancor di più, se Antonio Caronia ha così insistito sulla morte della fantascienza, quasi a farne un vero e proprio “mantra”, non è solo per quel che dovrebbe essere un’ovvia consapevolezza, cioè che i generi sono prodotti storici e quindi mortali e quindi prima o poi soggetti a morire, ma per segnalare, evidenziare il pericolo di un depotenziamento di quella carica critica e per certi versi anche eversiva che la fantascienza, nella sua peculiarità di genere culturale popolare contiene al suo interno. Una fantascienza vista nella sua dimensione più larga, come puro veicolo di tematiche legate al connubio di scienza e tecnica, senza legarla a una ben precisa fase storica, la costringe irrimediabilmente entro il recinto dell’utopia consolatoria. Una visione che pensa al futuro quando il futuro non c’è più è consolatoria. Quel genere letterario, che ha prosperato col nome di fantascienza per più di mezzo secolo all’interno del Novecento, mantiene oggi un interesse che travalica il puro documento se difende la sua specificità, la sua incarnazione dell’immaginario alla macchina tecnologica del capitalismo maturo novecentesco. All’interno di questo la fantascienza parla e ci dice di noi, del nostro corpo, dell’altro, del rapporto natura-cultura e di tant’altro. Il poi è un’altra storia e se vogliamo cercare di cominciare a capirlo, questo poi, è «più importante marcare e definire gli elementi di discontinuità piuttosto che quelli di continuità». [nota 9]

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RIPRESO da ANDROMEDA: http://andromedasf.altervista.org/antonio-caronia-e-la-fantascienza/

    N O T E

1 Antonio Caronia, Risposte alla “tavola rotonda” sulla fantascienza, 1992 https://www.academia.edu/318211/Risposte_a_un_questionario_sulla_fantascienza

2 «La fantascienza si distingue attraverso il dominio o egemonia narrativa di un “novum” (novità, innovazione) finzionale convalidato dalla logica cognitiva». Da Darko Suvin, «Le metamorfosi della fantascienza. Poetica e storia di un genere letterario», Il Mulino, Bologna 1985 pag. 85, citato in A. Caronia, «La FS è morta, viva la FS!», 2009 https://www.academia.edu/298069/La_fantascienza_%C3%A8_morta_viva_la_fs_

3 A. Caronia, ibidem

4 A. Caronia, «Universi quasi paralleli», Cut-Up Ediszioni Roma 2009, introduzione pag. 7-8

5 A. Caronia, «La FS è morta, viva la FS!», cit.

6 «Robot numero 31, nuova serie, primavera 2013, pagina 54

7 Gilbert Simondon, «L’individuazione alla luce delle nozioni di forma e d’informazione», Milano, Mimesis 2011, vol. 1 p. 321-2

8 «Nei labirinti della fantascienza, Guida critica a cura del collettivo “Un’Ambigua Utopia”», Nuova edizione a cura di Antonio Caronia e Giuliano Spagnul, Milano, Mimesis 2012, Introduzione di A. Caronia e G. Spagnul pag. 15 http://un-ambigua-utopia.blogspot.it/2015/01/nei-labirinti-della-fantascienza.html

9 A. Caronia, Risposte alla “tavola rotonda” sulla fantascienza, 1992, cit.

(*) Le persone più attente – e/o maniache di fs – sanno che, pur se c’era grande stima umana e politica, esisteva un disaccordo fra me e Riccardo Mancini (all’epoca scrivevamo quasi sempre insieme, firmandoci erremme dibbì) da una parte e Antonio dall’altra su alcune questioni: per esempio sul valore di Gibson e sull’etichetta cyberpunk. Ma ovviamente era/è un gran piacere discutere e/o litigare con chi – Antonio e Giuliano, per dirne due – nel proprio bagaglio culturale ha idee invece di formulette imparate a memoria. Se poi la base di partenza è che “la fantascienza è morta, viva la fantascienza” potrei mai essere in disaccordo? (db)

 

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