Partita a scacchi nel Pacifico

di Antonio Fantozzi

«Rocco? Rocco? Ho un racconto per te, di quell’Antonio che ti ho detto», dice il commissario Ernesto Donadei, cioè io. Si intitola… Partita a scacchi nel Pacifico

Si chiama Tom Hanks, ed è nato il 9 marzo del 1943, a Chicago. Ma sì, dove ci sono i macelli dove ci lavorano gli ex schiavi negri come Danny Glover e John Dos Passos. Dos Passos non è nero ma essere schiavi non dipende solo dal colore della pelle. Cazzo il giorno che ci hanno liberati! Si stava meglio assai in piantagione a raccogliere cotone.
Si diceva di lui che fosse  un bambino difficile, e poi un ragazzo difficile, e poi un uomo difficile. Oggi, a sessantadue anni, è un vecchio difficile. All’età di sei anni si trovò per le mani una scacchiera e tutto il resto, più un libretto di istruzioni. Il bianco va in basso a destra, al contrario della dama, e poi, in fila, torre, cavallo, alfiere, re, regina, alfiere, cavallo e torre, e davanti otto pedoni. Lesse il manuale e lo imparò a memoria. Il re e la regina si muovono in tutte le direzioni, l’alfiere in diagonale, il cavallo scarta… Cominciò a giocare con la sorella, ma non c’era storia. Mise via la scacchiera e divenne triste, cupo e infine tetro.
Checciai, Madonna del Carmine? Checciai?, gli chiedeva la madre ansiosa. Checciai che ti annuvola che mi pari nu temporali? Fiolo benedetto ce vui diri a tu matre checciai dintra a tanta capa santa? Che mi viene o sconforto e o suspirone.
Niente, dovette ritirar fuori la scacchiera. Gli scacchi lo avevano stregato. Allora cominciò a giocare da solo, ma anche così vinceva sempre lui, da un certo punto di vista, oppure…
Fiolo mio benedetto, ti giochi na partitina solo soletto? Accussì tu vinci sempre, epperò anco sempre perdi. Te credo che a forza de perde poi diventi tristo e te fa male assai. Guarda me che tu patre m’ha lasciata che ciavevi du anni. Epperò me so’ tirata su, me so’ fatta forza, so’ ‘ndata a scola, so’ diventata maestra e po’ infirmiera e po’ dottora. Fiolo mio benedetto, te ce vuole un maistro.
E così, a tredici anni, il nostro piccolo Tom cominciò a frequentare la casa di John Collins, maestro di scacchi, a New York dove la famiglia si era trasferita. Tom, il piccolo ebreo per parte di madre, diventa un campione. E nel 1972, a Reykjavik, in Islanda, conquista il titolo mondiale battendo l’allora campione Boris Spassky. Ma la storia non è così semplice, e la vita lo è ancora meno.
E’ il periodo della Guerra Fredda, e i sovietici hanno dominato gli scacchi dalla fine della seconda guerra mondiale, e adesso il campione è un americano, anche se di madre russa, ebrea, e indagata fin dal 1940 dall’FBI. E’ una bella botta di propaganda.
Fiolo mio benedetto, che t’avivo ditto? Epperò hai da stari attinto assai, che a saliri si fa pristo, ma caderi è n’attemo.
Henry Kissinger applaude e si dedica con rinnovata energia al progetto di colpo di stato in Chile e, mossa dopo mossa, l’11 settembre dell’anno dopo, 1973 anno del Signore, bang!, Scacco Matto.
La nuova stella Tom Hanks eclissa lo stesso presidente degli Stati Uniti, la sua immagine compare ovunque, neanche fosse una star di Hollywood. La federazione scacchistica degli Stati Uniti triplica il numero degli iscritti, e a Disneyland si costruisce una scacchiera gigante in suo onore. E nelle fabbriche, nell’ora di pausa, puoi vedere gli operai giocare a scacchi, e gli impiegati nelle banche, e la gente comune nell’ombra dei parchi, e… Nelle stalle si selezionano vacche pezzate bianche e nere e maiali nei porcili. Lo stesso traffico cittadino si trasforma in una colossale partita a scacchi, strisce pedonali a scacchi, semafori in bianco e nero, nuovi quartieri costruiti a scacchiera e chi più ne ha più ne metta. C’è persino un architetto giapponese che sta costruendo due torri gemelle nel centro di Manhattan.
Però… Però nel 1975 viene il momento per Tom di difendere il titolo. Contro Anatoly Karpov. Tom esige regole nuove, e più gliene concedono più ne domanda. Alla fine, come recita il proverbio, chi troppo vuole rimane con un pugno di mosche. Beh, forse il proverbio non è proprio così, però il senso è questo. Così Karpov diventa campione per abbandono dell’avversario.
Fiolo mio benedetto, te l’avivo ditto. A li puntamenti ci divi ire puntuali puntuali come l’oroloio di la turri.
A questo punto Tom scompare e lascia gli scacchi per quasi vent’anni. Durante i quali fa un po’ di tutto. La guardia carceraria nel braccio della morte, il miglio verde, come si usa chiamarlo, dove si becca un’infezione dolorosissima alla vescica. E fa la comparsa in qualche film con Denzel Washington e Matt Damon. Intanto il tempo passa.
C’era l’embargo in Iugoslavia, nel 1992. La federazione russa e Slobodan Milosevic in persona invitano il nostro Tom a giocare la rivincita con Spassky, per un premio di oltre tre milioni di dollari. E il presidente americano George Bush, il padre di quell’altro che c’è adesso, lo invita a non andarci. Lo invita è un eufemismo. Glielo ordina. Ogni viaggio in Iugoslavia è interdetto ai cittadini americani.
Fiolo mio benedetto, quanti lacrimuni mi fai versari. In Iugoslavia, fammi nu piaceri, non ciannari.
Ma Tom, testardo come un mulo, ci va, come aveva fatto anni prima con Cuba. E poi i soldi non gli fanno schifo. E così si becca una condanna in contumacia a dieci anni di reclusione e un mandato di cattura internazionale. Però vince di nuovo contro il  campione russo, e poi scompare. Ed è qui che nasce una nuova e incredibile leggenda. Tom parte e lascia la Iugoslavia per chissà quale meta, le Filippine, forse. O il Giappone, per una nuova partita contro il nuovo campione mondiale in carica. A Tokyo al campione mondiale è toccato il bianco. E fa la prima mossa. Pedone di Re in d4, e fa partire il congegno segnatempo. Ora tocca all’avversario. Ora toccherebbe all’avversario. Perché non c’è, non è seduto lì davanti a lui dalla parte dei neri, non è seduto tra il pubblico, non è seduto da nessuna parte, e non è neanche in piedi. Non è in bagno, non è al bar o al buffet o al guardaroba o nel camerino. Lui proprio non c’è. Il campione mondiale dissimula, fa finta di niente, non un gesto, non un sospiro. Il campione mondiale già se la ride. Il campione mondiale rimarrà il campione mondiale. Insomma, l’aereo con Tom decolla e adesso sta là in alto nel cielo e vola verso l’alba di un nuovo giorno. Un aereo che vola contro le regole del tempo. Il tempo ci domina senza pietà, incurante se siamo in salute o ammalati. Viviamo o moriamo in base all’orologio. Ma ci sono nuvole minacciose all’orizzonte, che si avvicinano e si compattano e sono come un muro scuro più nero della notte più nera.
La turbolenza squassa l’aereo, lampi e fulmini, pioggia battente. La carrozza del diavolo spacca il cielo da una parte all’altra. Le saldature digrignano i denti, un assistente di volo barcolla, cade e picchia la testa. Il pilota dirige l’aereo in basso, più in basso, più in basso, ancora più in basso, sotto le nuvole, sotto la pioggia scrosciante.
Tenteremo un ammaraggio. Prepararsi all’impatto!
C’è il buio là sotto. E’ notte e l’oceano è in tempesta. L’aereo sbatte nell’acqua. Spuma bianca di mare in carlinga. Un canotto di salvataggio si gonfia di giallo Van Gogh. L’aereo si spezza e affonda. Onde come giganteschi cavalli pronti a dare scacco matto al povero Tom infilato in un guscio giallo di gomma gonfiata, ora e per sempre. E poi la sabbia di una spiaggia di un’isola del sud del Pacifico. Tom ha perso una scarpa, ha indosso un maglione e non ha un accendino. Le onde si spaccano lontano sulla barriera di corallo. Tom ha fame e sete. Tom impara a spaccare le noci di cocco con schegge di roccia. Tom beve l’acqua raccolta in una foglia.
Fiolo mio benedetto, il mondo cià seti e cienavvrà de più. Ce vole novi litri d’acqua pe’ fanne uni de Coca-Coli.
Tom trova sulla spiaggia qualche resto del naufragio, un pallone e un paio di pattini. Usa le lame come accette e coltelli. Fabbrica corde. Tom prova ad accendere il fuoco con due pezzi di legno e si spella le mani. Ci riprova e ancora e ancora e c’è un filo di fumo e poi una fiammella. Un falò sulla spiaggia che spruzza coriandoli infiammati in alto nel cielo di sera. Guardate cosa ho creato. Io ho fatto il fuoco. Io-ho-fatto-il-fuoco. Tom cuoce un granchio e lo mangia beato. Il tempo trascorre  ignaro di lui. Tom è magro e abbronzato. Tom costruisce una zattera e due remi. Tom salpa verso il futuro. Tom cavalca la grande onda e la supera. Tom è solo e nudo sulla zattera in mezzo all’oceano, ed è stanco e beve la pioggia di un temporale e si addormenta sfinito. Passa una nave e quasi lo tocca. Passa una nave immensa e lui dorme. Ma una balena affiora e lo spruzza, e lo spruzza e lo spruzza di nuovo e lo sveglia. Tom vede la nave e allunga la mano. Ora Tom è salvo, e la nave lo porta in Giappone.
Fiolo mio benedetto, te sei perso pir strada.
“Pulito, rasato e ben vestito, Tom Hanks aveva l’aspetto di un uomo che ha un appuntamento con un milione di dollari”, scrisse una volta il noto giornalista Raymond Chandler sull’allora noto settimanale Il Candelaio, parlando del campione di scacchi. E così era quel giorno, dopo quattro settimane dal suo salvataggio in mare.
«Il mio nome è Hanks, Tom Hanks. E sono americano. Questo è il mio passaporto».
«Ma che lingua parla questo?», dice il Direttore dell’aeroporto di Tokyo al poliziotto.
«A-me-ri-ca-no», scandisce Tom Hanks.
«Ce l’abbiamo un interprete? Fai venire un interprete. Ma dove l’ha tenuto il passaporto, nell’acqua?».
E arriva l’interprete.
«Dice di chiamarsi Tom Hanks e di essere un giocatore di scacchi americano».
«Allora bisogna chiamare un funzionario dell’ambasciata americana. Su, svelto, vallo a chiamare».
E il funzionario arriva.
«Dice di essere americano. Dice di chiamarsi Tom Hanks. Dice di essere un giocatore di scacchi», spiega il  Direttore al funzionario americano.
«Vediamo. Tom Hanks, eh?», dice il funzionario americano e prende il passaporto e lo controlla.
«Ma dove l’ha tenuto questo passaporto, nell’acqua? E puzza pure di pesce marcio», e dicendo queste parole strappa il passaporto e lo cestina.
«Mai sentito parlare di questo Tom Hanks. E poi dov’è il passaporto? Io non lo vedo», dice  il funzionario americano.
«Allora è un clandestino, e non può entrare in Giappone», dice il Direttore. «Però c’è entrato lo stesso e…».
«Ha violato la vostra legge sull’immigrazione», conclude il funzionario americano.
Il Direttore riflette un momento, perplesso. Guarda il poliziotto, guarda il funzionario americano. Si prende il mento tra l’indice e il pollice. Ancora medita.
«Possiamo trattenerlo qui in aeroporto, per un certo periodo, e attendere che la questione si chiarisca. Intanto potrebbe tentare di scappare, e allora…».
«E allora… No no no, ferrei e severi bisogna essere. Magari si fa degli amici, che so, quel lavorante indiano che spazza il pavimento, quel facchino ispanico, o quel negro che gioca a carte, o magari quell’impiegata afroamericana», dice il funzionario americano al Direttore. «Lo chiuderete in cella da qualche parte e butterete via la chiave». E poi rivolto a Tom: «Scacco matto!».
E così Tom finisce nella cella di un Cpt giapponese, non lontano dall’impianto per la preparazione di combustibile nucleare di Takaimura. E ci resta otto mesi abbondanti.

                                                 [la seconda e ultima parte SEGUE sabato prossimo]

Clelia

2 commenti

  • ginodicostanzo

    W la libertà! 😀
    Niente male! originalissimo.

  • Marco Pacifici

    Me sa che questo è il secondo romanzo dopo “Il Caso”… Commissario Ernesto Donadei…Rocco… Mi è rimasto impresso(piu degli altri che non dimentichero’ facilmente il piu intenso “noir” letto negli ultimi anni…) il passo che racconta di Giuseppe Garibaldi che,finita per legge la tratta dei neri,ando’ in nave in Cina con un carico di guano peruviano e torno’ con un carico di cinesi:inizio’ cosi la tratta dei gialli… Anche questa è controinformazione. CiAo Clelia,CiAo Antonio.

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