Antonio Moresco a cavallo fra le città dei vivi e dei morti

Chissà se è importante che sia Marte-dì

«Sono venuto a scrivere questo romanzo d’addio». Così Antonio Moresco in apertura del romanzo (Giunti: 280 pagine, 15 euri) che infatti si chiama «L’addio». Parla di sé e infatti nomina il suo «Gli increati» e aggiunge: «ho bisogno di tornare sotto terra, da dove sono venuto, ho bisogno di ricongiungermi a quella dolorosa libertà e a quella forza, a quella parte di me stesso dalla quale non mi sono mai separato e che è rimasta sempre là ad aspettarmi».

Non conoscendo «Gli increati» – o altri libri di Moresco – ho letto «L’addio» senza sapere in partenza se fosse un libro da Marte-dì, cioè sui sentieri del fantastico/ fantascienza. Il dubbio non è del tutto sciolto ma importa … a chi?

«Mi chiamo D’arco e sono uno sbirro morto»: ad aprire il libro è questa frase. Non si

tratta di un espediente in stile «Viale del tramonto» di Billy Wilder. Nella «città dei morti» D’arco vive e lavora, presso la centrale di polizia, «da tre anni»… per modo di dire «perché qui non ci sono gli anni». Ed è a questo punto che un misterioso Lazlo lo contatta per un’indagine: D’Arco dovrà capire perché «i bambini della città dei morti si sono messi improvvisamente a cantare».

Che gli sbirri morti restino in contatto con quelli vivi può sorprendere (*) ma che il viaggio fra le due città – dei vivi e dei morti – si possa fare in entrambe le direzioni stupisce anche D’Arco. Lo accompagnerà un bambino tra misteri, confini, «cose che ne nascondono altre», armi, domande a cascata, «corpi cuciti» e tanti orrori che però Moresco & D’Arco decidono di non raccontare come pure non diranno «le beghe tra i vari corpi di sbirri […] la ricerca del dna dalle tracce di sangue, di sperma, dalle cispe, dai peli delle ascelle, del culo». Annuncia D’Arco che nel libro non troveremo neppure «le frasi fatte» ma obietta il mio polemico amico Severo De Pignolis che un paio gli sono scappate.

Un noir dunque, con pizzichi di fantascienza. Se vi aggradano le definizioni rigide, questa potrebbe andare. Io – come di consueto – nulla dirò della trama, delle soprese o del finale.

Nelle cinque pagine che aprono «L’addio», Moresco parla di un romanzo-congedo. In questo senso: «Essere scrittore non è per me uno status. Uno scrittore può ritenere, a un certo punto della sua vita, di avere concluso la sua missione». Poi però, «mentre stavo facendo un lungo cammino nel cuore della Sardegna», ecco l’apparizione e ispirazione di questo romanzo. Non so dunque se ci saranno altri libri, altri cammini sardi.

Di certo questo libro mi ha spiazzato. Leggerlo mi ha “preso” però avrei – un po’ vilmente? – preferito che a raccontarlo fosse Johnny (**) ma lui si è sottratto con un’affermazione incontrovertibile: “costa troppo anche l’e-book, mi fanno incazzare gli editori vampiri”.

Un giooooooooooooooooovane e stimabilissimo amico considera Moresco uno dei “nuovi” autori italiani più interessanti da leggere: se cessa di scrivere… vuol dire che io lo scoprirò andando a ritroso. Per me «L’addio» è un “a ritrovarci”.

(*) uno sbirro a cavallo fra vivi e morti era di recente in una “mini serie” Bonelli: l’ho segnalata qui: «Hellnoir», sia lode a Pasquale Ruju

(**) se non sapete chi è Johnny Sheetmetal e quali meraviglie dona, con ritmo quasi mensile, alla “bottega” andate in “cerca” e digitate…

 

danieleB
Un piede nel mondo cosiddetto reale (dove ha fatto il giornalista, vive a Imola con Tiziana, ha un figlio di nome Jan) e un altro piede in quella che di solito si chiama fantascienza (ne ha scritto con Riccardo Mancini e Raffaele Mantegazza). Con il terzo e il quarto piede salta dal reale al fantastico: laboratori, giochi, letture sceniche. Potete trovarlo su pkdick@fastmail.it oppure a casa, allo 0542 29945; non usa il cellulare perché il suo guru, il suo psicologo, il suo estetista (e l’ornitorinco che sonnecchia in lui) hanno deciso che poteva nuocergli. Ha un simpatico omonimo che vive a Bologna. Spesso i due vengono confusi, è divertente per entrambi. Per entrambi funziona l’anagramma “ride bene a librai” (ma anche “erba, nidi e alberi” non è malaccio).

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