Apologia di Bill Hicks

Schermata 2015-03-31 alle 11.26.45di Riccardo Dal Ferro

It’s just a ride

Ogni epoca ha il suo Socrate: caustico, dubitante, polemico, inattuale. Guai a chi si figura Socrate come un vecchio avvizzito e ricurvo su un bastone, egli sarebbe stato a proprio agio su un palcoscenico di una Stand Up Comedy americana di anni ‘90 a lanciare improperi contro Bush e la musica pop. Socrate avrebbe avuto i capelli lunghi fino alla spalla, un paio di tea-shades a richiamare una genealogia che parte da John Lennon fino a toccare Ozzy Osbourne, una sigaretta in mano “and the -f- word” sempre in bocca.

La nostra epoca ha avuto il suo Socrate, come una trasfigurazione, come una reincarnazione, e il suo nome è Bill Hicks, un redneck acculturato e privo di qualsiasi atteggiamento yuppie che rendeva così odiosa la società statunitense in quei decenni bui fatti di perbenismo pro-file e cattolicesimo bombarolo. Niente di diverso rispetto all’oggi.

Se, come abbiamo detto oggi durante questa riscoperta filosofica nella Bottega del Barbieri, filosofia è l’arte di porre le domande adatte, credo che pochi altri personaggi nel corso del secolo passato possano essere definiti “filosofi” come Bill Hicks. E poco male se i deboli di cuore faticano a star dietro alla sua cantilena polemica e violenta contro ogni tipo di preconcetto culturale o scientifico. Le domande, ci risponderebbe lui, sono solo per chi ha il pelo sullo stomaco.

Ovviamente, il vero Socrate è figlio del proprio tempo e contemporaneamente inattuale per eccellenza. Comprende così a fondo i meccanismi della sua società da risultare insopportabile al contemporaneo. Il suo sguardo va così oltre la superficie dei problemi da toccare corde che i suoi compagni non sanno nemmeno di avere. L’inattuale non è colui che vive in un’epoca futura (o passata), è quello che vive così autenticamente il presente da diventarne la voce più onesta. L’inattuale non critica per il gusto dell’acidità. Il suo semplice vizio di porre domande denuda magnificamente i limiti e le menzogne di un presente sempre troppo spostato avanti o indietro rispetto allo sguardo più lento dei contemporanei. L’intelligenza di Bill Socrate Hicks non sta certo nella sua cultura, nelle letture che ha fatto, nell’eloquenza che lo contraddistingue. La sua è l’intelligenza del dubbio, quell’intelligenza tanto insopportabile quanto sarebbe alla portata di qualunque essere pensante sulla faccia della Terra. L’intelligenza di osservare una certezza e smascherarne le aporie, di ascoltare (per davvero) un punto di vista e saperne giocare le alternative. Da Socrate a Hicks, passando per (perdonerete tutti i distinguo cui ora non voglio né posso prestare attenzione) Giordano Bruno, Gesù di Betlemme, Jonathan Swift e Ipazia, la storia dell’intelligenza va di pari passo con la storia del dubbio che smaschera, della domanda che disvela, dell’ironia che frantuma. Risuona costantemente di quel “It’s just a ride” che parla la lingua della nostra epoca, l’inglese, ma trova nel latino di Giordano Bruno o nell’italiano antico di Dante il suo reincarnato spirito di disincanto, unico motore del sapere e della conoscenza. E così, anche gli argomenti si trasformano, dalla politica e la religione di Ipazia alla pornografia e i mass-media di Hicks; dall’inferno della Divina Commedia all’inferno della TV americana; dai demoni di Gesù ai figli di Satana di Bill.

Qualcuno in platea ora dirà: “Che blasfemia, Dante messo a fianco di Bill Hicks” ancora una volta perché, da contemporanei, riteniamo che il metodo espressivo del poeta fiorentino sia di natura più alta rispetto allo slang feroce e grottesco del comico statunitense.

Ma, una volta di più, si tratta di miopia.

La filosofia è l’arte di porre domande, di dare voce al dubbio, all’obiezione. La forza sovrumana e umanissima di dichiarare il proprio dissenso rispetto ai crimini (intellettuali e materiali) del nostro tempo. E non si tratta del “mezzo” col quale si propaga la filosofia, in barba a tutti i MacLuhan dell’universo, perché è la domanda che modifica il mezzo stesso, ribaltando la convinzione secondo cui “il medium è il messaggio”.

Socrate è colui che, attraverso l’esercizio dell’umiltà e della leggerezza, modella (o sconvolge) la propria audience, il proprio pubblico, modificando i presupposti stessi della comunicazione e del mezzo espressivo. Socrate è colui che, attraverso il giusto equilibrio tra saggezza e ironia, mette a tacere il consenso e si prenota una tazza di cicuta calda, consapevole di non avere colpa in quel processo così sarcastico e assurdo. E i Meleto di ogni epoca giungono a cavallo, a capo di un’orda di perbenisti e sacerdoti, pronti a far trionfare l’ordine sconvolto da questi disturbatori di una quiete pubblica che è, nella realtà dei fatti, una tempesta privata.

Bill Hicks è morto prima che si giungesse al processo e alla cicuta, anche se ci siamo arrivati vicini con la censura del 1993 al David Letterman Show. Gli è bastata un’arringa polemica ed esilarante contro il movimento pro-life e la politica di Bush senior, condita da un’invettiva anti-religiosa che dieci anni dopo Luttazzi avrebbe plagiato con gran vergogna del mondo socratico italiano (ho creduto per molto tempo che Luttazzi fosse il nuovo Socrate, prima di venire a conoscenza della genialità di Bill Hicks). Bill Socrate Hicks è stato l’ultimo filosofo con cui mi sia capitato di parlare, attraverso i suoi show e nei libri che su di lui ho letto. E ho percepito che le sue parole erano una costante messa in discussione del mio sentire, del mio pensare, del mio essere.

E per questo io sono grato a Bill Hicks.

Io sono grato a Bill Hicks perché ha messo la propria geniale spontaneità al servizio del sospetto. Sono grato a Bill Hicks perché ha usato la sua gioventù per dimostrare che non c’è nulla di più importante della risata. Sono grato a Bill Hicks perché è stato l’ultimo alfiere di quell’eredità straordinaria chiamata “dubbio”, e l’ha onorata con un modo di espressione libero, gioioso e autentico.

Credo che a un filosofo non si possa chiedere nulla più di questo, se mai possiamo chiedergli qualche cosa.

Non c’è eredità più preziosa dei dubbi di un uomo, non esiste valore più alto della domanda alla quale, in conclusione di ogni spettacolo, Bill Socrate Hicks dava una risposta più che mai dubitante: “It’s just a ride

E non so cosa ricorda a voi, ma io in quelle parole rivedo la grande riflessione di Giordano Hicks Bruno, quando affermò: “Ogni volta che riteniamo che rimanga una qualche verità da conoscere, un qualche bene da raggiungere, noi sempre ricerchiamo un’altra verità ed aspiriamo ad un altro bene. Insomma l’indagine e la ricerca non si appagheranno nel conseguimento di una verità limitata e di un bene definito. Nello stesso modo la materia particolare, sia essa corporea o incorporea, non assume mai una struttura definitiva, e non essendo paga delle forme particolari assunte in eterno, aspira nondimeno in eterno al conseguimento di nuove forme”.

Tutto insomma è solo una folle bellissima corsa verso la prossima domanda.

https://youtu.be/2ZtqpTqy48I

Riccardo DAL FERRO

4 commenti

  • Francesco Masala

    sono del tutto d’accordo, e però ho una domanda che spero adatta.
    mettiamo un altro filosofo a tenergli compagnia, l’altrettanto grande George Carlin?

    • George Carlin lo amo molto, ma personalmente mi pare che lui sia stato molto meno “rivoluzionario” da un punto di vista espressivo per quanto riguarda la stand-up comedy. Mi spiego meglio: Carlin “recitava” molto di più, Hicks invece era davvero quello che diceva, la sua libertà espressiva non derivava da uno studio, ma dal semplice mettersi davanti a un pubblico e improvvisare. Credo che questo lo metta uno scalino sopra a Carlin, ma ovviamente se ne può discutere! 😉

  • Francesco Masala

    secondo me stanno bene seduti su due gradini a chiacchierare e non si annoiano, noi tutti siamo in fondo alla scala e ci permettono di ascoltare ancora

  • Dimentichi che il primo a parlare di Hicks in Italia fu Luttazzi, in interviste e post. E non sai che le sue citazioni da Hicks (sono cinque in tutto, in un corpus di 18 libri da 150-300 pagine l’uno) sono usate con dichiarato criterio situazionista. In Lepidezze postribolari (maggio 2007, quindi TRE ANNI PRIMA che qualcuno s’inventasse di averlo “smascherato” per deludere quelli del suo pubblico come te, e ci sono riusciti con la complicità bipartisan di Giornale e Repubblica) Luttazzi scrive: “Mi piace usare, a commento ironico su un argomento, battute famose di comici leggendari. Se, parlando di George Bush figlio, uso una battuta di Bill Hicks su George Bush padre, chi se ne accorge coglie al volo il mio giudizio sulla vicenda Iraq: tale padre, tale figlio. E quella battuta assume un significato nuovo, non è più quella di partenza. Più sai, più ti diverti.” Sulle tecniche di Luttazzi ti segnalo questa pregevole “Analisi del joke” fatta in tempi non sospetti dai fan del Forum3000. Leggi, leggi. https://luttazzifans.wordpress.com/2013/09/14/analisi-del-joke-2/

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