Arabia spaziale?

di Doriana Goracci

 

Fantastica questa Arabia Saudita. Potenti barbuti uomini che fino a quattro anni fa hanno vietato alle donne di guidare da sole e oggi (pensate un po’) annunciano regalmente che nel 2023 sarà lanciata nello spazio una donna-missione esplorativa, cioè un’astronauta femmina (non so quale esplorazione faranno per confermare il suo genere). L’annuncio: «Il programma astronautico saudita, che è parte integrante dell’ambiziosa Vision 2030 del Regno, invierà astronauti sauditi nello spazio per aiutare a servire meglio l’umanità. Sarà la prima donna araba e musulmana a compiere una spedizione spaziale. La missione sarà compiuta in collaborazione con Axiom Space, una società privata di voli verso la stazione spaziale internazionale».  Nel 2021 avevano indicato la donna prescelta come astronauta, Noura al Matroushi: «è un’ingegnere e astronauta degli Emirati. Selezionata nell’aprile 2021, si è allenata con il NASA Astronaut Group 23 di astronauti per lavorare come specialista di missioni internazionali. È ingegnere meccanico, con laurea presso l’Università degli Emirati Arabi Uniti. Ha partecipato alle Olimpiadi Internazionali di Matematica del 2011 ad Amsterdam, Paesi Bassi . Ha anche studiato nel 2014 alla Vaasa University of Applied Sciences (VAMK) in Finlandia e ha studiato coreano alla Hanyang University di Seoul, in Corea del Sud . Dal 2016 lavora come ingegnere di tubazioni presso la National Petroleum Construction Company degli Emirati Arabi Uniti».

L’accordo è stato firmato fra la commissione spaziale saudita e la società. «Rientra nel piano Vision 2030, voluto dal principe Mohammed Bin Salman, che mira a ridurre la dipendenza dal petrolio e a creare posti di lavoro, incentivando il ruolo delle donne…. qualche giorno fa con la nomina di una donna a capo della commissione per i diritti umani, fortemente soppressi nel regno dei Bani Saud».

Il 21 giugno 2017 il monarca saudita Salman stupì il mondo nominando come erede  al trono il figlio 31enne Mohammed bin Salman per un Paese come l’Arabia Saudita per anni guidato da ultrasettantenni. E’ vero che il principe ha creato e sta portando avanti la Saudi Vision 2030, ma è anche vero che «un rapporto dell’ONU del 19 giugno 2019, redatto da Agnès Callamard, accusa il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman di essere responsabile dell’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi».  Come è vero che il principe è amico personale di Matteo Renzi.

In Arabia Saudita il 97,1% delle donne ha completato gli studi primari, l’84,2% gli studi secondari, il 68,9% ha conseguito una laurea. Il 19,9% dei componenti del Parlamento è composto da donne, lo 0% dei ministri sono donne. Riguardo l’emancipazione femminile nel 2021 la sua posizione sale al 147º posto (su 156 Paesi analizzati) con un punteggio di 0,603 su 1,000

Nell’aprile 2021 la 19enne Hadeel Al-Harithi è stata data alle fiamme e uccisa da suo marito e suo fratello solo per aver avuto un account Tiktok attivo.

Come riferisce Globalist «l’Arabia Saudita – quella del Rinascimento di renziana memoria – è quel Paese che da un lato “permette” alle donne di guidare l’auto, dall’altra compie esecuzioni di massa. L’ultima e agghiacciante, quella del marzo 2022 quando furono uccise 81 persone in una volta sola.»

Vediamo come e dove sono andate a finire tre donne “attiviste” arabo-saudite, fra le decine di attiviste legate al “Women to Drive Movement”. Loujain al-Hathloul, Aisha Al-Mana e Madeha al-Ajroush sono state arrestate nel maggio 2018 con l’accusa di «tentare di destabilizzare la monarchia» per aver condotto fra l’altro campagne che rivendicavano il diritto delle donne alla guida. Madeha al-Ajroush e Aisha al-Mana sono state rilasciate dopo pochi giorni.

Loujain al-Hathloul il 1º dicembre 2014 è stata arrestata e detenuta per 73 giorni dopo aver tentato di attraversare con la sua auto il confine dagli Emirati Arabi Uniti verso l’Arabia Saudita, sfidando il divieto di guida femminile nel regno.Il 4 giugno 2017 è stata arrestata per la seconda volta all’Aeroporto Internazionale di Dammam-Re Fahd, con conseguente nuova detenzione. La ragione dell’arresto non è chiara e non le è stato concesso di farsi assistere da un avvocato o di avere un contatto con la sua famiglia. Nel 2018 è stata arrestata per aver violato norme sulla “sicurezza nazionale”. Secondo l’accusa avrebbe passato informazioni a Paesi nemici dell’Arabia Saudita e parlato con giornalisti e diplomatici, candidandosi per un impiego presso le Nazioni Unite. È stata rinchiusa in carcere e sottoposta a tortura, elettroshock, frustate e abusi sessuali. Nell’ottobre 2020 ha iniziato uno sciopero della fame. Il 28 dicembre 2020 è stata condannata alla pena detentiva di 5 anni e 8 mesi. Il 12 febbraio 2021 è stata scarcerata, ma è rimasta assoggettata a diverse restrizioni, compreso il divieto di uscire dall’Arabia Saudita per cinque anni. Il 16 aprile 2021 è stata insignita del Premio Václav Havel per i diritti umani.

Aisha al-Mana nel 1985 ha fondato Al-Sharika Al-Khalijiah Lil Inmaa (Al-Khalijiah Development Company) la prima azienda in Arabia Saudita gestita completamente da donne, per offrire formazione informatica e tecnica alle donne e creare un centro di ricerca incentrato sulla ricerca per le donne nel mondo del lavoro.
Al-Mana è diventata la prima direttrice ospedaliera in Arabia Saudita nel 1990,  presso l’Almana Group of Hospitals. Ha partecipato a tre diverse campagne per protestare contro il divieto di circolazione. La prima nel 1990, durante la Guerra del Golfo. Poi nel 2011 e nel 2013 nell’ambito del movimento Women to Drive. Ed è stata una delle quarantasei donne ad organizzare una manifestazione a Riyadh il 6 novembre 1990 per protestare contro il divieto del Regno alle donne di guidare: hanno guidato le loro auto in un convoglio fino a quando non sono state fermate e arrestate dalla polizia. Al-Mana e molti altri partecipanti hanno descritto le loro esperienze nel libro del 2011, Il 6 novembre. Nel 2013 ha partecipato a un simposio intitolato «Women, Commercial Inheritance and Family Rule» durante il quale i partecipanti hanno chiesto «un organismo indipendente di natura giudiziaria» per proteggere l’eredità delle donne. Al-Mana dice che «negare alle donne la loro eredità è una delle ragioni principali dietro le faide familiari».

Madeha al-Ajroush è un’attivista, psicologa e fotografa saudita per i diritti delle donne. Nel 1990 ha preso parte alle prime proteste delle saudite contro il divieto alle donne di guidare. Per questo è stata detenuta e ha perso il lavoro e il passaporto. Con la prima guerra del Golfo in corso nel vicino Kuwait «Vedere le donne soldato statunitensi di stanza in Arabia Saudita alla guida ha dato alle saudite la spinta di cui avevano bisogno per agire». Come ulteriore punizione i negativi fotografici di al-Ajroush (in 15 anni) sono stati bruciati dalle autorità saudite. Nel 2013, al-Ajroush ha detto a The Telegraph: «Nel 1990 ero assolutamente terrorizzata. E non c’erano i social media per evidenziare ciò che stavamo facendo e proteggerci». Nel maggio 2018 viene arrestata insieme a Loujain al-Hathloul, Iman al-Nafjan, Aziza al-Yousef , Aisha al-Mana e due uomini coinvolti in campagne per i diritti delle donne. Dopo pochi giorni Madeha al-Ajroush e Aisha al-Mana sono state rilasciate mentre le altre sono rimaste agli arresti.

Ricordo che una coppia in Italia cantava nel 2020, Bella Ciao, sono persiani: veramente cantava solo lui ma lei molto bella agitava la bandiera. Era l’anno in cui si diceva che sarebbe andato tutto bene. Ce lo auguriamo sempre.

Auguri vivissimi alla prima donna astronauta nell’Arabia saudita, alle donne tutte e ai media e agli uomini che le aiutano a camminare, sulla Terra, oltre che nello spazio, libere, altro che fare i guardiani.

 

 

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