Argentina: prosegue la detenzione illegale di Milagro Sala

Contro la dirigente della Túpac Amaru è in atto un vero e proprio accanimento giudiziario. La deputata del ParlaSur rischia fino a otto anni di carcere

di David Lifodi (*)

L’accanimento giudiziario dello stato argentino nei confronti di Milagro Sala non accenna a diminuire. Non solo la dirigente della Túpac Amaru e deputata del ParlaSur rimane in carcere, ma di recente è stato incriminato anche il suo compagno, mentre una dei suoi avvocati difensori, Elizabeth Gomez Alcorta, è stata a sua volta denunciata dai giudici della Corte federale di Jujuy per “usurpazione di titoli e onori”.

L’arresto e la detenzione di Milagro Sala, avvenuta lo scorso 16 gennaio per aver occupato la piazza di fronte al palazzo del governatore provinciale Gerardo Morales, assieme ai movimenti sociali, per protestare contro il licenziamento dei lavoratori delle cooperative associate alla Túpac Amaru, fanno parte della sporca guerra condotta dal presidente Mauricio Macri nei confronti dei movimenti sociali argentini. Nonostante una serie di aspetti arbitrari legati all’arresto di Milagro Sala, dalla detenzione alla persecuzione politica, passando per la violazione dei diritti umani e per gli evidenti casi di intimidazione nei confronti dei suoi avvocati difensori (come accaduto anche a Luis Paz), si vocifera che la donna rischi almeno otto anni di carcere su pressione del governatore di Jujuy Morales.

Al di fuori dell’Argentina, tra i comitati più attivi per la liberazione di Milagro Sala c’è quello italiano, che alla fine di giugno aveva scritto una lettera al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella per sollecitarlo a sollevare il caso in occasione della visita in Argentina che era in programma lo scorso 7 luglio per i festeggiare i duecento anni dell’indipendenza del paese. Nella lettera, sottoscritta da personalità del mondo della cultura, della politica e dell’associazionismo, si evidenziava come la detenzione di Milagro Sala fosse di natura politica e rappresentasse una chiara violazione dei diritti umani perché sancita in maniera evidentemente arbitraria dal governatore Morales e dal presidente del paese Mauricio Macri nell’ambito di una profonda rivisitazione (in peggio) delle politiche per i diritti umani divenute, in epoca kirchnerista, un fiore all’occhiello per l’intero paese. Purtroppo, il tour latinoamericano del Presidente della Repubblica si è interrotto prima di arrivare in Argentina, poiché in Messico Mattarella è stato raggiunto della notizia relativa alla strage di Dacca ed ha deciso di tornare in patria dato a causa del coinvolgimento di molte vittime di origine italiana. Tuttavia la lettera esortava Mattarella ad invitare Mauricio Macri a liberare Milagro Sala, anche se difficilmente il Presidente della Repubblica sarebbe riuscito ad ottenere risultati concreti. In una recente intervista di Horacio Verbitsky al governatore Gerardo Morales per Página/12, in cui il giornalista argentino sottolineava l’importanza di una giustizia realmente indipendente per esprimersi sul caso, Morales si è limitato a rispondere a monosillabi, rifiutando in pratica qualsiasi concessione a proposito della detenzione della donna. Il governatore ha più volte accusato Milagro Sala di aver rubato tutto, riferendosi probabilmente al lavoro della Túpac Amaru che, grazie ai sussidi ricevuti nell’era kirchnerista, ha potuto costruire ospedali, scuole, quartieri e dar vita a centinaia di cooperative. E ancora, a proposito della presenza di Milagro Sala all’acampada di fronte al palazzo di governo di Morales per scongiurare i licenziamenti dei cooperativistas, voluti da Macri con il beneplacito dello stesso Morales, da cui poi è derivato il pretesto per l’arresto della donna, il governatore ha accusato più volte la Tupac Amaru e i movimenti che la sostengono di aver bloccato le strade per 50 giorni, di essersi resi protagonisti di violenze e di aver addirittura commesso degli omicidi. Tuttavia, alla richiesta formulata da Verbitsky a Morales di presentare delle prove, il governatore ha sempre eluso la risposta, ripetendo come un disco rotto le solite accuse.

La strategia di Morales è chiara: ogni volta che si avvicinano i termini che permetterebbero a Milagro Sala di essere scarcerata, viene formulata un’altra accusa per tenerla in carcere. La battaglia per far scomparire la Tupac Amaru risale addirittura al 2009, quando Gerardo Morales era senatore e uomo di spicco del giustizialismo insieme Guillermo Jenefes, anch’esso di orientamento giustizialista e imprenditore legato alla comunicazione. Quest’ultimo trovò il modo per far diventare il fratello, Sergio Jenefes, giudice del Tribunale Supremo tra le proteste delle organizzazioni popolari e, in particolare, della Túpac Amaru, per aver ricoperto l’incarico di sottosegretario dello Sviluppo sociale all’epoca della dittatura. Definita già allora da Morales come “contrappeso ai poteri economici”, la Túpac Amaru rispose elencando tutti i possedimenti di Morales dal suo ingresso in politica, dall’acquisizione di un hotel a terreni utilizzati per la monocoltura della soia a Jujuy e Córdoba. Fu allora che scoppiò definitivamente la guerra tra il Partido Justicialista e l’Unión Cívica Radical e la Tupac Amaru, divenuta, nel corso degli anni, una spina nel fianco per Morales, fin quando, nell’ottobre 2013, una manifestazione del Frente Unidos y Organizados por la Soberanía Popular, a cui partecipava anche Milagro Sala, fu attaccata a colpi di armi da fuoco. Morales si affrettò a definire l’accaduto come una resa dei conti tra gruppi legati alla mafia, ma emerse che nel gruppo di assalitori, il cui scopo era quello di uccidere Milagro Sala, salvata da due militanti che le fecero scudo e rimasero feriti dai proiettili, Cristian Mario Llanes, dell’Unión Cívica Radical.

Di fronte alle accuse di Gerardo Morales a proposito della presunta sottrazione di fondi della Tupac Amaru, per la quale ancora non è stato in grado, insieme a Macri, di portare prove certe, e delle dure condizioni di carcerazione della donna, tra i principali responsabili vi è anche il ministro della Giustizia Germán Garavano, per il quale, evidentemente, la giustizia non è uguale per tutti.

(*) tratto da Peacelink – 25 luglio

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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