Argentina: un ricordo di monsignor Angelelli…

… ucciso dalla dittatura.

di David Lifodi

Il 4 agosto 1976, nel primo pomeriggio, monsignor Enrique Angelelli si stava dirigendo verso La Rioja per consegnare all’arcivescovo di Santa Fe, Vicente Zaspe,un dossier sull’assassinio di due suoi collaboratori, Carlos de Dios Murias e Gabriel Longueville, uccisi dalla dittatura militare il 18 luglio dello stesso anno: durante il viaggio l’auto di Angelelli fu avvicinata a velocità sostenuta da un veicolo che fece finire fuori strada la vettura del monsignore. Si consumò così, con un incidente premeditato dagli alti vertici militari del regime, con la collaborazione delle gerarchie ecclesiastiche argentine, l’omicidio di Angelelli, figlio di immigrati italiani, nato il 18 luglio 1923 nella provincia di Córdoba e giunto a La Rioja nel 1968, quando in Argentina era sorto da poco il Movimento dei Sacerdoti per il Terzo Mondo (Mstm).

Fin dall’inizio della sua attività pastorale, Angelelli aveva iniziato a lavorare nelle villas miserias nel segno di un Cristo operaio che stava a fianco degli emarginati e dei movimenti in lotta per la terra e per la difesa delle risorse naturali: “il pastore dà la vita per il suo gregge”, amava ripetere ogni volta che interveniva per partecipare ad un conflitto sociale. È per questo che, ben prima del colpo di stato del 24 marzo 1976, il monsignore era entrato nel mirino dell’Alleanza Anticomunista Argentina e dei settori più conservatori della Chiesa, che osservavano con costante preoccupazione il suo impegno a fianco dei contadini e del sindacato dei minatori, che aveva contribuito a far nascere. Già nel 1971 gli era stato imposto il divieto di celebrare le messe radiofoniche, uno strumento utilissimo per la diffusione della pastorale operaia, poi lo accusarono di fare propaganda marxista tra i fedeli. Nell’agosto 1972, a seguito dell’arresto di due suoi collaboratori, accusati di nascondere le armi della guerriglia e poi riconosciuti innocenti, Angelelli sospese la messa dopo l’Offertorio e si diresse al Tribunale Superiore di Giustizia della provincia di La Rioja insieme al popolo per chiederne la liberazione. Nell’ottobre 2012 i pm Darío Edgar Illanes e Carlos Gonnella scoperchiarono il ruolo svolto dalla gerarchia ecclesiastica argentina nell’omicidio di Angelelli e denunciarono, una volta di più, il ruolo attivo, e ormai universalmente noto, che ebbe buona parte della Chiesa argentina nella repressione dei desaparecidos. Dietro all’incidente programmato a tavolino che costò la vita al monsignore, stavano Rafael Videla (da poco scomparso, era recluso nel carcere bonaerense di Campo de Mayo), il ministro dell’interno Harguindegui, che ricevette a domicilio il dossier di denuncia di Angelelli (scomparso subito dopo l’incidente) ed era stato incaricato di eliminare tutti i religiosi impegnati per la giustizia sociale, Benjamín Menéndez, uno dei capi dell’esercito, Fernando Estrella, vice comandante della Forza Aerea, e il commissario Juan Carlos Romero: per tutti la consegna era quella di dimostrare che si era trattato di un incidente casuale. Il giornalista argentino Horacio Verbitsky su Página 12, ma anche su alcuni quotidiani italiani, ha più volte evidenziato i legami tra i militari e la Chiesa argentina, sottolineando come fossero stati proprio i prelati a indicare al regime come comportarsi agli occhi del mondo per il caso dei desaparecidos. Il 10 aprile 1978 si svolse un incontro tra Videla e la commissione della conferenza episcopale argentina, il cui leader era proprio quel Vicente Zaspe a cui Angelelli intendeva consegnare il dossier sull’uccisione dei due sacerdoti che collaboravano con lui. Insieme a Zaspe c’erano i cardinali Juan Aramburu e Raúl Primatesta, quello che aveva deciso l’allontanamento di Angelelli dalla provincia di Córdoba e che, con estrema disinvoltura, sostenne che per i desaparecidos non andava utilizzato il termine “prigionieri politici”, perché avevano a che fare direttamente con la guerriglia. Fu lo stesso Videla, in una dichiarazione rilasciata alla stampa, a ribadire che erano stati i vescovi a consigliare i militari sulla maniera di trattare la questione dei desaparecidos. Contro Angelelli furono messi in atto una serie di avvertimenti in stile mafioso: prima l’omicidio dei sacerdoti Gabriel Longueville e Carlos de Dios Murias, i cui cadaveri furono trovati con evidenti segni di torture, poi la settimana successiva, il 25 luglio 1976, fu la volta di Wenceslao Pedernera, un collaboratore laico del monsignore freddato sulla porta di casa di fronte alla sua famiglia. Angelelli aveva capito che il prossimo sarebbe stato lui, ma nonostante tutto non smise di lottare per i suoi ideali di giustizia sociale, fedele al suo motto: “Per servire, bisogna tenere un occhio attento al Vangelo e l’altro al popolo”. Grazie al defunto presidente argentino Néstor Kirchner, che aveva annullato le leggi Punto Final e Obediencia Debida, il caso Angelelli è stato riaperto: già nel 1986 il giudice Aldo Morales aveva stabilito che l’incidente in cui era rimasto coinvolto il monsignore era un omicidio premeditato, ma nel 1990 arrivarono le leggi che sancivano l’impunità per i militari a rendere impossibile l’attività investigativa e giudiziaria su Angelelli e su tutti i desaparecidos. La causa era stata aperta nel 1983 da Padre Antonio Pinto, che viaggiava con il monsignore al momento dell’incidente e del tutto casualmente si salvò. Nella vicenda Angelelli fu coinvolto anche il nunzio apostolico Pio Laghi, così intimo della dittatura da concedersi lunghe partite a tennis con il militare Emilio Massera. María Elena Coseano, cugina del monsignore, e Luis Miguel Baronetto (del Centro Tiempo Latinoamericano), hanno evidenziato che fu lo stesso Videla a riportare una confidenza del nunzio apostolico: “Presidente, può dormire tranquillo, per la Chiesa la morte di Angelelli è frutto di un incidente”. Menéndez, Romero, Estrella e Harguindeguy, i carnefici del monsignore, hanno beneficiato degli arresti domiciliari.

La pastorale sociale di Angelelli era stata profondamente influenzata dalla conferenza dell’episcopato latinoamericano di Medellín del 1968, che apriva all’opzione preferenziale per i poveri, e ancor di più avrebbe impresso una svolta in senso progressista l’incontro di Puebla nel 1979: il monsignore non poté assistervi, eliminato da una dittatura feroce e ossessionata dall’anticomunismo, ma resta un martire popolare dell’America Latina. Se oggi Enrique Angelelli fosse ancora in vita starebbe di nuovo dalla parte del “torto”, quella che combatte contro la dittatura economica che ha tentato, e prova tuttora, a sostituirsi alle (talvolta fragili) democrazie del continente.

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