Argentina: uomini in gonna contro il femminicidio

di David Lifodi

Il femminicidio non è solo una triste realtà del Messico e dei paesi centroamericani, ma anche dell’Argentina. Gli ultimi dati certi, relativi al 2014, parlano di 277 casi di uccisione delle donne, mentre, almeno fino a settembre 2015, sono stati denunciati ben 51.000 episodi di violenza nei loro confronti. La maggioranza delle vittime ha tra i 19 e i 30 anni.

La sociologa Claudia Hasanbegovic sostiene che finora la risposta dello Stato è stata molto timida, soprattutto in considerazione del fatto che il contesto socio-culturale argentino resta machista e patriarcale. È la stessa società argentina a tollerare e quasi a giustificare la violenza maschile, come se fosse un diritto o una prerogativa dell’uomo. Aldilà di una serie di dichiarazioni di circostanza dei politici di turno, del tipo “in Argentina non tolleriamo la violenza contro le donne”, poco è stato fatto, mentre il femminicidio si caratterizza sempre di più come un fenomeno trasversale, che attraversa tutte fasce sociali e geografiche del paese. L’Observatorio de Feminicidios “Ariana Marisel Zembrano”, che si occupa di raccogliere tutti i casi femminicidio che appaiono sui giornali, sostiene che i casi di violenza resi noti rappresentano solo la punta dell’iceberg, ma soprattutto segnala che, per ogni vittima diretta, ce ne sono almeno sei indirette: i bambini piccoli figli delle donne oggetto di violenza pagano in prima persona a causa di una legislazione poco chiara in materia che permette al femminicida di esercitare comunque un certo potere sugli stessi figli. Inoltre, le denunce per femminicidio finiscono per passare quasi inosservate poiché, in un certo senso, è la stessa società (con l’acquiescienza della stampa) a giustificare i crimini, evidenziando come le donne uccise o vittime di violenza si vestissero in maniera provocante o avessero atteggiamenti ambigui. Nonostante tutto, negli ultimi mesi del 2015 ha avuto un certo successo la campagna Ponete la pollera si sos hombre (“Mettiti la gonna se sei un uomo”): centinaia di uomini hanno sfilato per le strade di Buenos Aires, il 6 novembre scorso, indossando una gonna in solidarietà con le donne vittime della violenza di genere. Spiega ancora Claudia Hasanbegovic: “La tolleranza per la discriminazione e la violenza maschile si esprime nel tentativo della società di giustificare l’ingiustificabile: se una donna va a ballare durante la notte o posta foto ammiccanti sui social network, automaticamente fornisce il classico pretesto riassumibile con una frase ascoltata più volte a tutte le latitudini: se l’è cercata”. Al contrario, evidenzia la sociologa, non si dice mai di un uomo che è stato assassinato “se l’è cercata per il suo modo di vestire o perché restava a ballare fino a tarda notte”. A questo proposito, sono molti i genitori che, oltre a dover sopportare il dolore per le figlie vittime di femminicidio, sono stati costretti ad affrontare ulteriori sofferenze a causa degli articoli sessisti sui giornali che li hanno spinti a non uscire più di casa, in un meccanismo infernale che colpevolizza ancora di più le vittime, fin quasi a ucciderle una seconda volta. In definitiva, secondo una concezione che ogni giorno si consolida sempre di più, donne e adolescenti sono colpevoli a prescindere e così, su certa stampa e per le strade, passa l’idea paradossale che gli aggressori debbano addirittura essere giustificati, come accaduto in un caso in cui il responsabile di aver ucciso una donna sosteneva di essersi semplicemente difeso dalle su aggressioni verbali. Si tratta di una sorta di circolo vizioso in cui le agenzie di notizie sono a loro volta influenzate dalla società: se dall’immaginario sociale non emergesse la domanda su una serie di dettagli che servano per colpevolizzare a prescindere la vittima, i media non si perderebbero nel dare informazioni del genere. Tutto ciò nonostante la Ley de Protección Integral hacia la Mujer contra las Violencias riconosca nella colpevolizzazione delle vittime una forma di violenza mediatica e simbolica. Ciò che manca, nel paese, è la capacità di affrontare una riflessione critica sulla violenza di genere e sui presupposti che la giustificano, mentre su questi aspetti, finora, il confronto è rimasto chiuso solo nell’ambito del movimento femminista argentino senza riuscire ad arrivare all’intera società che, da questo punto di vista, finge di non sentire. E così anche la Convenzione americana per prevenire, sanzionare e sradicare la violenza contro le donne, approvata nel 1994, finisce per rimanere lettera morta di fronte alle difficoltà dello Stato nel regolare una giusta relazione tra i mezzi di comunicazione e la violenza di genere. Inoltre, anche il potere giudiziario spesso permette un processo di revictimización delle vittime, senza curarsi troppo di fornire alle donne vittime di violenza un accompagnamento speciale in grado di sostenerle a partire da quando decidono di sporgere denuncia. Tuttavia, uno spiragli di luce proviene dall’istituzione della Unidad de Registro, Sistematización y Seguimiento de Feminicidios y de Homicidios Agravados por el Género, approvato dai rappresentanti di diciannove province del paese.

Ciò che dovrebbe essere comune non solo all’Argentina, ma a tutto il continente latinoamericano, è un vero e proprio cambio culturale che resta però lontano da raggiungere. La copertura della manifestazione di Buenos Aires in cui gli uomini hanno indossato una gonna è stata letta, ancora una volta in chiave machista e in molti hanno chiesto ai manifestanti se non si vergognassero nello scendere in strada con un indumento femminile, senza percepire il reale obiettivo della campagna Ponete la pollera si sos hombre.

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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