Armin Theophil Wegner: immagini contro il negazionismo

Deportati 1915A centanni dal genocidio degli armeni in Turchia: un percorso di informazione e riflessione, secondo post (*)

di Alexik

“ I malati e i vecchi, nonché i bambini, cadevano lungo la strada per non più rialzarsi. Delle donne sul punto di partorire, erano obbligate sotto la minaccia delle baionette o della frusta d’andare avanti fino al momento del parto, poi venivano abbandonate sulla strada per morirvi d’emorragia. Le ragazze più attraenti venivano ripetutamente violentate. E quelle che potevano si suicidavano. Delle madri divenute folli gettavano i loro figli nel fiume per porre fine alla loro sofferenza. Centinaia di migliaia di donne e di bambini soccombevano a causa della fame, della sete…

Mi hanno raccontato che Gemal Pascià, il carnefice siriano, ha proibito, pena la morte, di scattare fotografie nei campi profughi. Io conservo le immagini di terrore e di accusa legate sotto la mia cintura… So di commettere in questo modo un atto di alto tradimento, e tuttavia la consapevolezza di aver contribuito per una piccola parte ad aiutare questi poveretti mi riempie di gioia più di qualsiasi cosa abbia fatto”.

Deportati morenti a Deir es Zor - 1916.

Deportati morenti a Deir es Zor – 1916.

Questa è la testimonianza di Armin Theophil Wegner, militare paramedico tedesco distaccato in Medio Oriente durante la prima guerra mondiale, nell’ambito della alleanza fra l’Impero Ottomano e la Germania.  Nel corso della campagna mesopotamica del 1915-1916 Wegner fu testimone oculare del genocidio del popolo armeno.

Nonostante i divieti, riuscì a scattare centinaia di fotografie nei campi dei deportati, raccolse lettere di supplica per le ambasciate, scrisse un diario, raccolse appunti, riuscendo a far giungere a destinazione parte del materiale. Scoperta la sua attività clandestina, nel novembre del 1916 venne espulso dalla Turchia e richiamato in Germania, dove si adoperò per diffondere le notizie sulla tragedia degli Armeni, con conferenze e pubblicazioni.

Due ragazzini morti 1915-16

Due ragazzini armeni morti di fame -1915-16.

Profetico, Armin Wegner sull’infelicità che avrebbe inflitto anche in futuro il nazionalismo turco  ai popoli dell’Anatolia:

… io non accuso il popolo semplice di questo paese il cui animo è profondamente onesto, ma io credo che la casta di dominatori che lo guida non sarà mai capace, nel corso della storia, di renderlo felice, perché essa ha distrutto totalmente la nostra fiducia nelle loro capacità di incivilire ed ha tolto alla Turchia, per sempre, il diritto all’auto-governo“.

Tornato in Germania, Wegner militò nell’Internazionale dei Resistenti alla Guerra. Testimoniò a favore di Soghomon Tehlirian, l’armeno che uccise a Berlino Mehmed Tal’at Pascià,  l’ex ministro dell’interno dell’impero ottomano, uno dei maggiori responsabili del genocidio.

Armeni impiccati nelle vie di Costantinopoli.

Armeni impiccati nelle vie di Costantinopoli.

Nel 1933 si oppose alle politiche antisemite. Scrisse ad Hitler rammentandogli che la persecuzione non riguardava solo “il destino dei nostri fratelli ebrei, [ma anche] il destino della Germania”. Per questo venne arrestato dalla Gestapo, torturato e incarcerato. Conobbe i campi di concentramento di Oranienburg, Börgermoor e Lichtenburg. Dopo il suo rilascio fuggì a Roma sotto falsa identità, e vi abitò fino alla morte nel 1978. Nel 1995 le sue ceneri vennero tumulate a Yerevan, nel “Muro della memoria”.

Alla cerimonia era presente Pietro Kuciukian. Questo è il suo ricordo, riportato nel bellissimo saggio “I testimoni del genocidio e i giusti“:  “Nel 1995 mi ero recato In Armenia Assieme a Mischa, il Figlio di Armin Wegner. Durante la cerimonia della tumulazione delle ceneri di Armin Wegner nel “Muro della Memoria” di Dzidzernagapert, la “collina delle rondini” a Yerevan, la capitale dell’odierna Armenia, il figlio fu circondato da una folla riconoscente e commossa. Tra la calca ad un tratto si fece largo un vecchio possente con una folta barba. Riuscì ad arrivare fino a Mischa, gli afferrò le mani e,

Campo di deportazione - 1915.

Campo di deportazione – 1915.

inginocchiandosi davanti a lui, disse con impeto: “Mi inchino davanti alle ceneri e al ricordo di Armin Wegner e davanti a suo figlio. Il popolo armeno non dimenticherà mai tuo padre come non dimenticherà tutti coloro che lo hanno aiutato a ricostruire il suo passato. Mi inchino particolarmente davanti a tuo padre. Eterno rimarrà il suo ricordo, eterno”.

Eppure il governo tedesco, all’epoca del genocidio degli Armeni del 1915 fu, non solo alleato del governo dei Giovani turchi, ma anche ispiratore del genocidio. Il “figlio di un popolo nemico” era in Armenia a rendere omaggio al milione e mezzo di morti senza sepoltura e gli armeni manifestavano la loro riconoscenza ad una persona che rappresentava una nazione che era stata connivente con il crimine di “lesa umanità”. In quel momento di fronte all’abbraccio tra un tedesco e un armeno, vedevo con chiarezza che la memoria dei giusti e dei testimoni, riguardava l’identità dei sopravvissuti, la condizione esistenziale delle nuove generazioni, ma soprattutto la possibilità di riconciliazione tra i popoli”.

Mischa ci svela quanto sia costato al padre il prezzo della memoria:

Deportati

Deportati armeni nel deserto.

Avete mai pensato cosa significa vedere l’uomo morire una, dieci, cento, mille, diecimila, centomila, un milione di volte? Di vederli con i vostri occhi, lì davanti a voi, vedervi strappare un pezzetto di vita da ognuno di loro, morire con loro e non morire, ma essere destinati a portare la memoria dentro di voi per il resto dei giorni? Urlare nel sonno, urlare per una vita intera, l’unica liberazione possibile per una possibile sopravvivenza. Il deserto dell’Anatolia . Mio padre è morto tante volte, nei deserti dell’Anatolia prima, nei campi di concentramento poi, nei libri bruciati dai nazisti a Berlino, sulla stele in ricordo degli uomini di letteratura morti in esilio. E’ morto ogni volta che la dignità dell’uomo è stata calpestata, e con lui muore ogni volta un pezzo di me stesso, un pezzo di umanità, un pezzo di tutti noi”.

Ma non muore la sua opera. I documenti che ci ha lasciato sul genocidio armeno, e soprattutto le centinaia di foto raccolte nel Museo del Genocidio di Yerevan, sono un argine invalicabile per i tentativi di negazionismo a cui oggi, a 100 anni di distanza, ci tocca ancora assistere.

(*) Dal 17 aprile ogni giorno (alle 16, ma non solo) troverete uno o più post sulla storia armena, sul genocidio del 1914, sulla diaspora, sui nodi storici che pesano sull’oggi. E’ il contributo della nostra piccola redazione per far sì che il ricordo non duri un giorno o una settimana… come spesso accade nelle commemorazioni ufficiali. Abbiamo disegnato, attraverso una dozzina di post, un affresco che pensiamo possa essere utile. Se qualcuna/o vuole aiutarci ad allargarlo, a proseguirlo… benissimo, si faccia sentire. (*db per la redazione*)

alexik

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