Arminio, Cavalli Sforza, Dalla Vecchia, Khadra con …

… con Macchiavelli, Pitch e Autori Vari

7 recensioni di Valerio Calzolaio

Loriano Macchiavelli

«Funerale dopo Ustica»

Sem editrice

(prima edizione Rizzoli 1989, poi Einaudi 2012)

522 pagine, 20 euro

Cieli sopra Ustica. 27 giugno 1980. Una strage, poco prima del 2 agosto a Bologna. La duplice verità sui mandanti non è certificata. La narrativa ci ha consentito di capire molto e le avventure del bel libro di Loriano Macchiavelli (Bologna, 1934) sono quasi un romanzo. “Funerale dopo Ustica” uscì nel 1989 a firma di Jules Quicher, esperto di problemi di sicurezza in una multinazionale svizzera, 50enne poliglotta sposato con tre figli, autore poi l’anno dopo di Strage (su Bologna), sempre per Rizzoli e con lo stesso pseudonimo (“per vivere in pace”). Il libro inizia con gli antefatti del 1969 e ripercorre oltre un decennio di storia italiana. La recente nota dell’autore in fondo al romanzo spiega che si tratta di “una nuova versione aggiornata e ampliata”, con brani e capitoli sui “segreti emersi nelle successive indagini… che purtroppo non hanno ancora portato alla completa verità”. Chi finora se l’è perso dovrebbe colmare la lacuna. Il maestro Macchiavelli lo merita in tutti i sensi.

 

Luigi Luca Cavalli Sforza

«Il caso e la necessità. Ragioni e limiti della diversità genetica»

Di Renzo editore

(seconda edizione, la prima nel 2007)

132 pagine, 13 euro

Vita sul pianeta. Da quando c’è, come è. Nel 1970 comparve Les hasard et la necessité di Jacques Monod, sui due meccanismi fondamentali dell’evoluzione, già descritti da Darwin (prima della genetica): caso, ovvero mutevoli, rari e spontanei cambiamenti ereditari; necessità, ovvero la selezione naturale che favorisce in modo tutto automatico chi è più in grado di continuare la specie. Forse si sottovalutavano un poco altri due fattori importanti: la deriva genetica e la migrazione, entrambi poi molto studiati da uno straordinario scienziato e genetista italiano, Luigi Luca Cavalli Sforza (1922-2018), che riutilizza quell’eccellente titolo, “Il caso e la necessità”, per riassumere sinteticamente i risultati delle proprie e altrui ricerche in materia: lo Human Genome Diversity Project, le relazioni con il linguaggio, la svolta della diffusione demica dell’agricoltura, l’albero dell’evoluzione umana e la demografia, il razzismo ovvero la ricerca di una purezza impossibile, il futuro.

 

Yasmina Khadra

«Il sale dell’oblio»

traduzione di Marina Di Leo (dal francese)

Sellerio

258 pagine, 14 euro

Algeria. Primi Sessanta. Adem Naït-Gacem insegna aritmetica e scienze in una primaria a El Affroun. Rientrando vede nell’ingresso una valigia, la moglie Dalal è seduta in camera e gli parla, ha deciso di lasciarlo, c’è un altro ma non ci è andata a letto, non riesce più a restare, lui la schiaffeggia (per la prima volta), lei è irremovibile, se ne va. La sorella maggiore di Adem prova subito a consolarlo, ma di colpo tutti i mali del mondo si accampano intorno alla sua solitudine. L’uomo lascia la scuola, diventa un vagabondo sempre più ostile, irritabile e indisponente, diffidente e rassegnato, in miserabile compagnia di varia umanità: un vecchio cieco, uno psichiatra, un nano. “Il sale dell’oblio” è il colto raffinato romanzo esistenziale in terza persona (una vita senza amore e senza amicizia) di Yasmina Khadra, ex militare nato nel Sahara francofono, testimone dei conflitti algerini (qui termina col colpo di stato del 1965), pseudonimo femminile di Mohammed Moulessehoul (1955).

 

Giancarlo Narciso (a cura di)

«Come d’Arco scocca. Il castello di Arco attraverso i secoli in tredici racconti»

Borderfiction edizioni

376 pagine, 15 euro

Arco, lago di Garda. Forse da più di un millennio. Il castello d’Arco, costruito su uno sperone roccioso sopra un magnifico paesaggio, ha segnato la Storia del Tirolo Meridionale, straordinaria opera di ingegneria militare. Tredici bravi scrittori sono stati chiamati a raccolta per raccontarne momenti e abitanti salienti. In “Come d’Arco scocca” Barozzi, Cappi, Colitto, Patrizia Debicke, Gori, Leoni, Gian Luca Margheriti, Giancarlo Narciso (ideatore e curatore), Porazzi, Saffi, Claudia Salvatori, Giada Trebeschi hanno ridato vita a personaggi reali come Cubitosa, rinchiusa a languire in cella sulla torre, o Antonio, trucidato nel cortile (che continua a infestare da fantasma), oppure rievocato eventi clamorosi (folli imprese, difese e saccheggi) e fasi storiche di illustri transiti o frequentazioni. Su tutti i testi un’accurata opera di revisione e consulenza è stata svolta dal professor Turrini e dall’architetto De Franco, a garanzia di un fertile intreccio tra fiction e no fiction.

 

Aldo Dalla Vecchia

«Diabolik dietro la maschera. Indagine sul Re del Terrore»

prefazione di Gabriele Acerbo

Graphe editore

102 pagine, 9 euro

Milano. Primi Sessanta. Le due colte sorelle Giussani, Angela (1922-1987) e Luciana (1928-2001) inventarono Diabolik in b/n, un protagonista ladro e assassino, eroe indimenticabile e perpetuo del fumetto nero, con immediato enorme successo. Già nel 1964 il produttore Dino De Laurentiis e il regista Mario Bava ne trassero un film, siamo nel 2022 e sono attesi i due sequel di quello uscito a dicembre 2021 a cura dei fratelli Manetti Bros. Il giornalista e autore televisivo Aldo Dalla Vecchia racconta nel completo saggio “Diabolik dietro la maschera” vita e miracoli del mitico criminale. Dalla nascita del nome (“C’era una volta una kappa”) all’archivio (“diaboliko”) scopriamo informazioni e particolari sulla prima casa editrice Astorina e le successive; sui caratteri, gli affetti, l’antagonista (alla pari) e i comprimari del personaggio; sulle sue evoluzioni e sull’evoluzione cartacea e multimediale; sui risvolti culturali e sui frequenti emuli. Esaurienti note, citazioni e bibliografia.

 

Tamar Pitch

«Il malinteso della vittima. Una lettura femminista della cultura punitiva»

Edizioni GruppoAbele

112 pagine, 14 euro

Istituzioni della giustizia. Ovunque. Legalità e onestà sono state e ancora sono le parole d’ordine di molte forze politiche negli ultimi decenni. Insieme hanno contribuito a costruire un senso comune, diciamo così giustizialista, o meglio forcaiolo, secondo cui deve marcire in galera chiunque sia sospettato di violare qualche legge, magari a fin di bene, per esempio quando la legge violata viene ritenuta ingiusta. La giustizia penale è selettiva per definizione (dipende dal tipo di azioni e comportamenti definiti reati e dal percorso istituzionale attraverso cui solo alcuni dei relativi colpevoli vengono condannati e detenuti), eppure viene invocata come la soluzione di tutti i problemi, oltre a concretizzarsi praticamente come classista e razzista. La “deriva punitivista” risulta abbastanza recente e non solo italiana. Nel primo dopoguerra della ricostruzione, per sicurezza si intendeva soprattutto la “sicurezza sociale”, ossia la titolarità e l’effettivo godimento di garanzie rispetto alla salute, all’istruzione, alla vecchiaia, al lavoro e alla casa, assicurate in via di principio (generale e pubblico) attraverso l’erogazione di risorse e servizi verso tutti, pagate da tutti con le tasse e le imposte. Nel successivo lungo perdurante periodo della crisi economico e finanziaria vi è stato un progressivo slittamento di attenzione dai “criminali” alle loro “vittime”, la sicurezza come diritto individuale e privato, contro le nuove ansie e incertezze del precario atomizzato vivere urbano. Ecco i progetti di urban safety nel Regno Unito, in Francia, negli Stati Uniti, in Italia e in tutta l’Unione, differenti fra loro ma accomunati dalla paura della criminalità metropolitana e dall’idea pervasiva di una sicurezza privata come fine (non mezzo) di vita umana associata, un tessuto di atomi da ripulire sterilizzare sorvegliare, mettendo in ombra la questione del legame sociale fra diversi, in parte tali anche per tante diffuse ingiustizie e crescenti diseguaglianze (compresi molti poveri e immigrati).

L’illustre giurista, filosofa e sociologa Tamar Pitch (Siena, 1947) da quasi un cinquantennio si occupa di criminalità nelle università di tutto il mondo, con occhio sempre attento ai diritti fondamentali e alle discriminanti di genere. Riassume e aggiorna qui (con ricche citazioni, note e spunti blbliografici) i “malintesi” attorno ai termini legalità e giustizia, per cui ci si divide solo fra colpevoli e vittime (da cui il titolo). Probabilmente la definizione di legalità (almeno da Hobbes in poi) è chiara e assodata ma oggi rischia di essere fuorviata da due fenomeni: la feticizzazione dei suoi aspetti penali da una parte, l’iperproduzione di regole diverse dalle norme generali e astratte, invece amministrative, quantitative e tecniche, dall’altra, con la conseguenza che ciascuno e ciascuna siamo percepiti come individui assoluti e isolati. Anche la giustizia non dovrebbe divenire sinonimo di giustizia solo penale concependo la pena come retribuzione (“hai fatto del male, devi essere punito”). Altre forme di giustizia vengono prodotte e praticate da tanti e tante che, incuranti della repressione, si prodigano per salvare i migranti in mare e sui nostri confini, si oppongono a opere che distruggono l’ambiente, manifestano per la sicurezza del lavoro. L’agile lucido testo è strutturato in sei parti: lo scenario (gli ultimi trent’anni in Occidente); siamo tutti vittime (e quindi dobbiamo fare comunità solo per prevenire attentati alla nostra identità o, comunque, reprimere i rei, potenziali e reali)?; la criminalizzazione della marginalità sociale (fenomeno antico); l’uso politico del potenziale simbolico del penale; la criminalizzazione del dissenso sociale e politico (fenomeno almeno altrettanto antico, praticato anche con l’esilio); legalità e giustizia (appunto complessive). Lungo tutto lo scritto ricorrono opportunamente nessi e spunti relativi al movimento femminista, un centrato (indispensabile) punto di vista (da cui il sottotitolo).

 

Franco Arminio

«Atleti»

HarperCollins editore

84 pagine, 14 euro

Aree interne. Primi anni Novanta. Il grande cantore Franco Arminio (Bisaccia, 1960) scrisse queste poesie una trentina d’anni fa, furono pubblicate su varie riviste e in un volumetto di poche copie, edite ora in una versione riveduta e corretta, insieme ad altre più recenti sempre di tema sportivo, da cui pure il titolo complessivo: “Atleti”. In esergo la passione sportiva in versi: “Le Olimpiadi/ per me erano un lavoro./ Vedevo tutto, dai tuffi/ all’equitazione, amavo i pugili cubani/ le ginnaste rumene/ le nuotatrici della Germania Est./ Vedere certe gare per me era/ anche un modo di viaggiare:/ la maratona dei keniani mi portava sugli altipiani,/ il salto con l’asta/ era meglio che andare al circo./ Amavo i campioni e pensavo/ alle loro terre, sentivo la forza/ dei muscoli e dei luoghi.” Tempo dopo: “Volevo fare il giornalista sportivo,/ viaggiare, raccontare grandi imprese/ e ripartire./ Questi sono i miseri resti,/ le prove/ di come una vocazione/ può fallire.” Mirabile.

 

Redazione
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