Arosio-Maimone, Bradley, Bussi, Canaletti, de Giovanni, Dickens, Silvis

7 recensioni giallo-noir di Valerio Calzolaio

Charles Dickens

«Nero Dickens»

traduzione di Marisa Sestito

Marsilio

206 pagine, 15 euro

Londra. 1836-1866. Il grande scrittore inglese Charles Dickens (Landport, 7 febbraio 1812 – Gad’s Hill 9 giugno 1870) narrò anche storie del mistero, nove sono ora raccolte nell’interessante volume “Nero Dickens”, tradotto da una delle sue migliori studiose, Marisa Sestito, ordinario a Udine, che ha pure ben curato introduzione, biografia, note, bibliografia. Sette sono propriamente racconti interpolati, “inserted tales”, capaci di incunearsi fra viaggi e avventure dei personaggi dei suoi romanzi. Scritti lungo tutto un creativo trentennio (mai usciti insieme) si costruiscono intorno a temi duri, linguaggio passionale (in prima persona), presagi oscuri, influssi spettrali, finali drammatici. Il nero prima del noir.

 

Erica Arosio e Giorgio Maimone

««Non mi dire chi sei. Il caso Giuditta»

Tea

352 pagine, 15 euro

Milano e Vedano Olona (tre chiese, una stazione, un cimitero, una manciata di case). Primavera-autunno 1962. Marlon ha appena compiuto 42 anni, Greta sta per compierne 37. Si trovano a indagare su una bella ragazza scomparsa incappata in un intrigo epocale e son guai. Mario Longoni, ex partigiano, ex pugile e comunista ha maturato un gran fiuto di detective, ormai socio dell’avvocatessa penalista di successo. Greta Morandi, folti capelli rossi e lentiggini ovunque, intelligente affascinante colta, aveva un ricco padre fascista, mangia poco e gira in bicicletta. Vive un intenso amore con l’avventuriero giramondo Tom Dubini e si accompagna talora con il nobile sposato avvocato 35enne Stefano Solbiati, di pelo rosso e di padre destrorso anche lui. È Virginia Valsecchi, la contessa madre di Stefano, a voler ritrovare una certa Giuditta Broggi di Vedano Olona, 21enne che lavorava a Milano da due anni come commessa in una merceria, sparita nel nulla da qualche settimana. Marlon parte per la provincia, Greta “scuficchia” un poco in città. Tracce ce ne son poche, sembra possa essere viva. Il fatto è che morti e crimini le girano intorno, c’è di mezzo la Triade, primi passi dell’operazione Stay-behind poi divenuta torbidamente nota come Gladio. Marlon si fa aiutare da vecchi e nuovi amici, rischia più volte la vita e non finisce lì.

Seconda storia di genere per il duo di giornalisti milanesi Erica Arosio (da «Gioia») e Giorgio Maimone (da «Il Sole-24 ore») in terza al presente alternata sui due investigatori (in diretta i flussi di pensieri di lei), in prima e corsivo il diario di Giuditta, ogni tanto qualche dialogo fra i cattivi. Il titolo è connesso alle origini e alla personalità della scomparsa, sono meno scontate di quel che dicono. I sottofondi politico, storico e culturale sono descritti nei cruciali particolari. Ognuno degli oltre sessanta capitoli (a parte i brevi brani del diario) ha un verso di canzone circa dell’epoca, pur se Marlon preferisce il jazz di Dave Brubeck e di Miles Davis (sta arrivando pure Dylan). Greta e Stefano vanno spesso al cinema prima che a letto. In via Cerva poi la radio è sempre accesa, imprescindibile l’appuntamento con “Anacleto, il gasista” di Franco Parenti. E, soprattutto, aleggia l’attivismo energetico di Enrico Mattei, fino al tragico epilogo con i servizi protagonisti. Un vino schietto e sincero non manca mai, quello del contadino, uno Spanna del 1958, il Chianti, il Raboso e via degustando. Segnalo per Marlon (e non solo) l’impossibile abitudine alla bellezza, a pagina 83. E il compianto amico Mario Dondero, a pag. 138. Segnalo purtroppo altresì una pagina saltata, due 305 e nessuna 205.

 

Alan Bradley

«La morte non è cosa per ragazzine»

traduzione di Stefania Bertola

Sellerio

408 pagine, 15 euro

Bishop’s Lacey (fittizia England). 1950. Flavia, 11enne di nobili origini, occhi azzurri e freddi, udito sopraffino, talento per la chimica (si è pure attrezzata un magnifico laboratorio), vive nelle antiche magione e tenuta di Buckshaw, a sud del villaggio e gira con la fida bicicletta Gladys. La madre Harriet è morta in un’escursione in Tibet dieci anni prima. Il babbo Haviland, colonnello con baffetti, è un filatelico collezionista di francobolli in ristrettezze finanziarie, le sorelle maggiori Ophelia Feely 17enne e Daphne Daffy 13enne, ferocemente scherzose, la fanno fuggire spesso nel bosco e nei dintorni, dove incontra strane persone. Investiga su un assassinio con l’aiuto del bell’ispettore Hewitt. Graziosa la serie Flavia De Luce’s Mysteries iniziata nel 2009 dallo scrittore canadese esperto d’ingegneria elettronica Alan Bradley (Toronto, 1940). Questo è il secondo degli 8 (6 già in italiano), appena ripubblicato, «La morte non è cosa per ragazzine», come sempre in prima persona.

 

Maurizio de Giovanni

«Pane. Per i bastardi di Pizzofalcone»

Einaudi

334 pagine, 19 euro

Napoli. Fine giugno 2016. In una stretta viuzza senza uscita, proprio Downtown, qualcuno spara alle spalle del Principe dell’Alba. Muore così il fornaio Pasquale Pasqualino Granato, uscito come al solito per assaggiare un panino della prima infornata mattiniera, fatta con il lievito madre del giorno prima, sana abitudine già del nonno e del padre (quasi come da copertina). Arrivano Lojacono e Romano del vicino commissariato di Pizzofalcone, ma vengono cacciati dal famoso potente sostituto procuratore Buffardi della Direzione distrettuale antimafia e dalla Squadra Mobile: tempo prima l’assassinato aveva assistito a un delitto della criminalità organizzata riconoscendo il tatuaggio del figlio del capo del clan Sorbo (anche se poi aveva ritrattato la testimonianza), sono certi che siano coinvolti loro. Lojacono ha osservato la scena del crimine con esperienza e acume, non gli sembra sia opera di killer professionisti, convince il commissario Palma, i colleghi e poi il magistrato Laura Piras (con la quale ha oltretutto una complicata relazione sentimentale) a chiedere la co-assegnazione dell’indagine, pur mettendo a rischio il loro stesso posto di lavoro, sono una squadra di reietti chiamati a sostituire poliziotti corrotti, sempre a rischio di chiusura. Buono e tranquillo, Granato si era separato tre anni prima da Loredana, insegnante alla scuola media, troppo dedito solo al lavoro; non avevano figli ma uno piccolo e bravo ne ha la sorella Filomena Mimma, sposata con Fabio Marino, ormai comproprietario del forno e preoccupato che l’antiquato eccelso schema produttivo non regga più sul mercato. Altre indagini incombono: lo stalking di una bellissima a uno bruttissimo, i suicidi assistiti, gli affetti di ciascun agente.

Maurizio De Giovanni (Napoli, 1858) offre alle tante lettrici e lettori il miglior romanzo della sua ottima (seconda) serie Einaudi, giunta in tre anni al quinto romanzo, a gennaio 2017 anche su Rai Uno. Una decisiva stimolante chiave critica sta nella dedica: “A Ed McBain. Il più grande di tutti”. Dopo un volume contemporaneo (ben diverso dalla serie Ricciardi) uscito per Mondadori nel 2012, su consiglio e guida del grande Severino Cesari, coinvolgendo pochi fidati amici, l’autore scelse di narrare in terza varia storie collettive (criminali e private) di una “squadra” di poliziotti di servizio nel cuore della sua città, ispirandosi a quello straordinario autore americano (1926-2005). Certo Ed (o Evan o Salvatore che dir si voglia) aveva ruotato New York di 90° gradi e cambiato nome a ognuno dei cinque “quartieri”, oltre che alle innumerevoli aree delle migliaia di incroci Avenue-Street; descriveva un police procedural con decine di poliziotti in squadre di due investigatori organizzati all’americana; dovette ben presto capire che c’era un agente preferito dal pubblico e che non poteva farlo morire. Qui i toponimi sono proprio della magnifica città che conosciamo (quattro universi in poche centinaia di metri quadrati, i Quartieri Spagnoli, piazza Martiri, via Chiaia, lungomare Partenope); non si uccide (volutamente e per ora) causa mafia; il protagonista di trascorsi siciliani resta il punto di partenza. E, tuttavia, sia la serie che l’ultimo sono sapientemente pervasi dallo spirito dell’87° distretto: il titolo ha una parola sola (che viene declinata poi in tutti i possibili significati), si parte da un vitale cadavere, l’indagine coinvolge tutto il commissariato (a partire dalla riunione di prima mattina), siamo a pochi mesi dalla storia precedente (anche se le date editoriali hanno evidentemente intervalli più lunghi), a tratti parlano il clima e i ritmi della Città, elegie e drammi shakespeariani aleggiano in azioni, reazioni, dialoghi. E il tono, i registri emotivi sono insieme gialli e rosa, tragici e umoristici, noir e culturali, con risultati sempre maturi e alti, senza corsivi. De Giovanni possiede notevoli qualità letterarie sue proprie, in «Pane» raggiunge un picco. Conferma anche uno specifico obiettivo “dimostrativo” della colta scrittura “di strada”: come ovunque, anche a Napoli si uccide forse più per la famiglia che per la camorra. E qui siamo al compimento: due magistrati seguono le due diverse piste, esplicitamente. Ora tocca al passo successivo: lasciare spazio alla fantasia del genere, per gli intrecci oltre che per le passioni (ah, Giulia!): purtroppo si uccide per troppe cose e casi. Viva l’artigianale lievito madre. Piras si rifà a Proust. Sempre vino bianco col pesce. Barry White al supermercato, Pisanelli con Vivaldi.

 

Piernicola Silvis

«Formicae»

Sem, Società Editrice Milanese

444 pagine per 17,50 euro

Provincia di Foggia. Autunno 2016. Viene ritrovato il cadavere di Livio Jarussi, un bimbo scomparso due anni prima a Manfredonia, quando stava per compiere 11 anni. Da poco tempo l’assassino lo ha buttato dentro una fossa in una collinetta di spazzatura vicino Siponto, per poi chiamare padre Leonardo, un monaco del convento di San Giovanni Rotondo, presentandosi come zio Teddy; la vittima viva indossava la maglietta di Teddy Bear. Sul cadavere viene trovato un foglietto con un messaggio rivolto a Bruni. Così viene richiamato al commissariato di zona Gianlorenzo Renzo Bruni, l’investigatore capo della seconda divisione del Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato, inviato in Puglia a seguire il caso fin dall’inizio, senza successo. Renzo saluta moglie e figlio, si fa accompagnare dall’amico assistente Massimo Rio Riondino e ricomincia le indagini. Ora arriva pure una busta indirizzata sempre a lui ancora da zio Teddy con strane parole e viene ucciso Alex Burresha (9 anni), albanese che viveva a Foggia. Conosciamo subito chi uccide, oltretutto si va a confessare dal monaco: è Diego Pastore, 33enne commesso nella farmacia del padre don Gegè, consigliere comunale ammanicato con la criminalità organizzata, che sospetta di lui, come la madre casalinga invadente. Diego non si è mai laureato (un anno a Camerino, dove aveva studiato il padre), carino, abbigliamento curato alla moda, discreto cuoco e ordinato feticista, maltrattato nell’infanzia è terrorizzato dal sesso e impotente vicino ad altri, si eccita con filmati tipo snuff movies, pratica fanaticamente la religione, va in psicoterapia da un anno per sindrome di Ekbom (sensazioni di presenze di insetti nel proprio corpo). Lo prenderanno prima che uccida ancora?

Dopo qualche anno d’assenza, torna in libreria il questore Piernicola Silvis (Foggia, 1954), laureato in Giurisprudenza, dirigente dei commissariati di Vicenza, Vasto, Verona, Osimo, Senigallia, poi nelle questure di Ancona, Macerata, infine questore a Oristano e ora nella sua Foggia. In passato aveva pubblicato tre buoni romanzi di genere (usciti nel 2006, nel 2008 e nel 2010), da tempo ragionava su nuove scritture e trame, all’inizio del 2017 arriva il quarto, narrato in parallela, la prima persona sul poliziotto, la terza sull’assassino seriale che sente le formiche, programma omicidi e sfida la giustizia. Il tema è dunque quello del perché talvolta non si riesca a prenderli prima: la famiglia che copre e depista per malinteso affetto, pur non essendo direttamente complice; gli organi d’informazione che orientano e condizionano (spesso male) le indagini, solo per crescere gli ascolti, pur se provocano arresti sbagliati; la Società organizzata del crimine che non sempre ben convive con la delinquenza comune, qualche volta la sfrutta, qualche volta (pedofilia) ne è infastidita, qualche altra vuole addirittura debellarla perché attira corpi di polizia e attenzione mediatica. Non a caso, in tutto il testo aleggia un personaggio multifunzionale (con un ruolo pure significativo in vari episodi, alla fine decisivo), il giornalista infiltrato dai servizi (e dal governo) nel quotidiano “Nuova Puglia” Alessandro Clement, cognome francese e inflessione della Roma bene, una cinquantina d’anni, barba brizzolata, fisico snello e robusto, abbigliamento sportivo, operativo nell’Aise, comparto delle Informazioni per la Sicurezza della Presidenza del Consiglio. Fra cibi tipici, troccoli e pizze un po’ di Nero di Troia. E De André nella suoneria.

 

Angelo Canaletti

«Storie di Pasti Marginali»

Edizioni Creativa

176 pagine, 15 euro

Civitanova e valle del Chienti. 2011-2015. Nella notte fra il 10 e l’11 settembre 2011 due ladri cinquantenni sovversivi tentano l’ennesimo furto ma i due anziani si svegliano; nel buio il vecchio prende la doppietta e purtroppo uccide la moglie. Viene accusato, non ci sono prove certe della presenza dei due balordi. Si tratta di Gino, lento insegnante di matematica fra le nuvole, senza moglie né figli, e di Umberto, più basso e agitato, impiegato postale, sposato in chiesa con due figli, entrambi con storie militanti alle spalle. Sono «Storie di Pasti Marginali» sia il nome del loro commando enogastronomico marchigiano che il titolo del simpatico romanzo noir di Angelo Canaletti (1966). I colpevoli si sanno dal principio ma è il dipanarsi della vicenda (verso un sorprendente epilogo 4 anni dopo) a incuriosire, pur fra inciampi e refusi.

 

Michel Bussi

«Tempo assassino»

traduzione di Alberto Bracci Testasecca

Edizioni e/o

512 pagine, 16 euro

Nord Ovest della Corsica; baia di Calvi e penisola della Revellata. Agosto 2016; e 27 anni prima e 27 anni dopo. L’avvocato 42enne Clotilde Clo Idrissi in Baron torna con marito biondo e figlia 15enne nel camping dei Tritoni dove era stata in vacanza nel 1989, lei 15enne con genitori e fratello maggiore. Finalmente! È la prima volta da allora. Quell’estate la loro Renault Fuego rossa precipitò da una curva a strapiombo sul mare, il burrone di venti metri conosciuto come Petra Coda, non si sa come lei era sopravvissuta, orfana, cresciuta dai nonni materni in Normandia. Il padre era il figlio del mitico Cassanu, famiglia antica e potente, proprietario di ottanta ettari incontaminati di natura, gran parte di quella bellissima area. Clo è sempre stata energica ed elegante, bella ed esile, appena 1,48, capelli neri, sorriso sexy; non aveva più rivisto il lato corso della sua identità, soprattutto il nonno di 89 anni e la nonna Lisabetta di 86, lei unica erede in linea diretta. Appena arriva cominciano ad accadere cose strane: riceve una busta con un breve messaggio della madre (ancora viva?) contenente riferimenti e frasi che nessun altro avrebbe potuto conoscere; subisce il furto del portafoglio da una cassaforte che nessuno sconosciuto avrebbe potuto aprire; Orsu il tuttofare del campeggio usa gli strofinacci alternandoli nel secchio proprio come faceva sua madre un tempo e ha un labrador che si chiama come il bastardino che aveva nella casa di Tourny con i suoi; una mattina trova apparecchiata una colazione per quattro identica a quella che facevano in famiglia; scopre sorprendenti evoluzioni e riscopre vecchi amori; e così via. Poi i crimini diventano più violenti e rischia molto.

Il professore di geografia all’università di Rouen e direttore di ricerca al Cnrs francese Michel Bussi (Louviers, 1965) pubblica ottimi gialli di successo da una decina d’anni (avendoli cominciati a scrivere ben prima). L’ultimo è ambientato lontano dalla Normandia e dedicato “agli amici dell’adolescenza che durano tutta la vita”, “come se il tempo che passa fosse innocente e siamo noi a sbagliare quando lo accusiamo e lo chiamiamo assassino”. La narrazione sull’oggi è in terza al passato, si alterna con il diario di Clo ragazzina riletto dall’uomo che lo ha requisito e ha deciso di farla pagare a tanti per come erano andate le cose. Il diario inizia il 7 agosto 1989, Clo posa il mazzetto sul parapetto ove precipitarono il 12 agosto 2016, poi tutto prosegue in parallelo fino alla fatidica data del 23 agosto, il tramonto sul Mediterraneo. Il congegno giallo è molto complesso, ben strutturato su due livelli temporali con due diverse schiere di possibili “colpevoli”, un meccanismo investigativo appassionante e originale, se proprio si vuole solo un po’ troppo costruito (per lettori complici). Rimarchevole il numero di significativi coprotagonisti come il gigante disabile barbuto Orsu, mal detto Hagrid, orfano e muto, un lato devastato dalla nascita (occhio fisso, guancia atrofizzata, spalla storta, braccio pendente, gamba rigida) o la magnifica preda predatrice italiana Maria Chiara. Il tema ricorrente è familiare, le impossibili relazioni di coppia. Si capisce molto pure sui delfini e sul santuario dei cetacei di quel biodiverso mare. Canzoni d’epoca (possibilmente in cuffia) e sempiterno gran vino locale Clos Culombu (bianco, rosato, rosso, bollicine).

 

Redazione
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2 commenti

  • Ho letto il libro di Canaletti, Storie di Pasti Marginali. Si sviluppa nella città in cui vivo. io l’ho comprato per questo. Letto in un giorno! Intrigante e scritto davvero bene. La vostra recensione mi sembra un po’ frettolosa anche se si lascia andare a qualche complimento. Sia la storia, che non riesci a mollare, sia i personaggi, sono condotti e prendono forma in modo magistrale. complesso nelle argomentazioni politiche e allo stesso tempo fluido nel linguaggio e appassionante nel fornire colpi di scena e conclusione inaspettata. Mi sento di consigliarlo. Grazie.

  • Angelo Canaletti

    In effetti i refusi segnalati da Calzolaio, ci sono. Grazie comunque per la tua considerazione e grazie a Valerio Calzolaio per l’attenzione dedicata al libro. Angelo canaletti

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