Arpaia, Burdekin, Leone, Lerner, Santolini, Zanarini e Monti-Redi

7 recensioni di Valerio Calzolaio

Katharine Burdekin

«La notte della svastica»

traduzione di Alfonso Geraci; con una nota finale di Domenico Gallo

originale inglese 1937 (prima ed. italiana Editori Riuniti 1993)

Sellerio

326 pagine, 15 euro

L’inglese Katharine Penelope Cade Burdekin (1896-1963) è una scrittrice finora poco conosciuta in Italia. Pubblicò dieci romanzi per una casa editrice socialista fra il 1922 e il 1940, poi non trovò più un editore (per altri sei) e un altro libro uscì postumo nel 1989 per una casa editrice femminista, tutti esplicitamente antifascisti e contrari alla morale convenzionale. Dopo i primi, dal 1934 scelse uno pseudonimo maschile, Murray Constantine, col quale anche “La notte della svastica” fu firmato, ambientato settecento anni dopo il trionfo del Nazismo in un pianeta dominato da due imperi, il tedesco e il giapponese, in piena Guerra Fredda, quando il nuovo Credo aveva deificato Hitler. Eppure uscì prima del 1940 e della seconda guerra mondiale! Ammoniva sul conflitto fra dittatura e verità, fra superstizione e scienza, oltre che sui nessi fra violenza e sessualità maschile, fra totalitarismo e sessismo. Una rimarchevole meritoria riscoperta, utile la bio-bibliografia in fondo.

 

Bruno Arpaia

«Il fantasma dei fatti»

Guanda

Usa, Europa e Italia. Prima. Il 3 settembre 1978 Tom K il Greco riceve cautamente nella sua casa di vacanza prossima al Grand Lake o Lac Grand in Québec due agenti della Cia provenienti dalla sede centrale a Washington, il capo George e un altro giovane addetto. Il 61enne è solo, la moglie già ripartita, pure le tre figlie tornate nelle rispettive residenze. Lo interpellano per cercare di capire cosa dirà nei giorni successivi alla Hsca, la House Select Committee on Assassinations, la Commissione della Camera dei Rappresentanti che sta indagando ancora sugli omicidi di John Kennedy e Martin Luther King. Era stato chiamato a giugno ma si era detto indisponibile, non ha lasciato mai nulla per iscritto, devono proprio parlarci di persona. Forse. Un uomo chiamato Thomas Hercules Karamessines risulta davvero come professionale dirigente dell’Agenzia, nato a New York il 25 luglio 1917 da una famiglia di origini greche, fin dal 1942 arruolato nei servizi segreti e subito freddamente operativo in Grecia durante la guerra mondiale e poi la guerra civile. Presto si traferì in Italia, tornato in patria seguì o guidò tutte le operazioni coperte della Compagnia, sia nei casi del Vietnam e del Cile che rispetto alla cattura di Che Guevara. Forse in gran parte visse così. Nel nostro Paese era stato capo della stazione Cia di Roma dal 1958 al 1963, e, proprio in quel periodo, ebbero tragicamente luogo quattro vicende umane che avrebbero ridimensionato e azzerato il grande ruolo italiano nell’elettronica, nel nucleare e nelle biotecnologie e compromesso una prestigiosa autonomia energetica e politica. Vi erano in vario modo coinvolte personalità straordinarie: Enrico Mattei, Mario Tchou, Felice Ippolito, Domenico Marotta. Forse il declino fu in parte risultato di una qualche cospirazione internazionale? Karamessines avrebbe potuto dirci qualcosa a riguardo (sulla base delle tante incerte tracce emerse nei decenni seguenti)? Chi può dirlo? Appare coraggioso e utile che qualcuno ci abbia finalmente provato con serietà e acume.

Bruno Arpaia (Ottaviano, 1957) pubblica nel 2020 una gran bella storia! In esergo Antonio Muñoz Molina nel metodo e, soprattutto, il Leonardo Sciascia investigatore su Majorana nel merito: «Abbiamo avuto, al di là della ragione, la razionale certezza che, rispondenti o no a fatti reali e verificabili, quei… fantasmi di fatti che convergevano su uno stesso luogo non potevano non vere un significato». E che ci fosse un significato era ed è anche l’opinione del sobillatore di Arpaia, il più bravo giornalista scientifico italiano, un altro Greco, Pietro (Barano d’Ischia, 1955). Il romanzo ha infatti due trattazioni parallele con personaggi del tutto differenti ma entrambe in prima persona: da una parte l’agente inesperto racconta il plausibile colloquio canadese in cui vengono ricostruiti tanti accertati casi storici della geopolitica internazionale dal (fattivo) punto di vista dell’intelligence americana (spesso divisa all’interno e con risvolti presidenziali), con doviziosa attenzione a quelli italiani (da De Lorenzo a Gelli); dall’altra parte l’autore ricostruisce l’evoluzione per quasi undici anni del tarlo contagioso trasmessogli dall’amico saggista in un dopocena del 27 giugno 2008 a spasso per Chianciano, con le successive ricerche accurate documentarie e bibliografiche alla ricerca di sensati espedienti narrativi, inframezzate dalle attività personali della ricca vita relazionale o professionale (scrittore, traduttore, operatore culturale) e delle relative precarie soddisfazioni finanziarie. Per esteso è citato il lucido articolo pubblicato da Arpaia su Repubblica il 25 ottobre 2014: «L’inesorabile scomparsa dello scrittore medio». Era stato scritto (come questo romanzo) da un vero grande scrittore. Molti dei suoi precedenti testi fanno parte del racconto, quelli scritti in corso di contagio (l’interesse per la fisica quantistica, la cultura che si mangia, il futuro delle migrazioni da deserti e siccità incipienti) e i pregressi (anni di piombo, Walter Benjamin), come anche le traduzioni dallo spagnolo e i suggerimenti di cari colleghi giornalisti e scrittori (spiccano D’Avanzo e Taibo II). I progressi delle ricerche sono accompagnati dalla citazione di saggi, documenti e ricostruzioni, per una bibliografia completa ma non burocratica. Si cena greco (ovviamente), prima del Crown Royal Black. Loro beati, George canticchia Pete Seeger, Tom preferisce opere liriche e inni patriottici.

 

Gianni Zanarini

«Silenzio»

Doppiavoce

70 pagine, 11 euro

Musica e poesia. Vibrazioni sempre intermittenti. Il “Silenzio” che talora percepiamo (soprattutto di questi tempi) non è riconducibile a un’assenza di increspature, a un vuoto di sensazioni, a una pura assenza di suono, al negativo di un positivo sonoro. Il silenzio si trasforma, non è semplicemente uno sfondo, bensì un’esperienza percettiva. I poeti scrivono sia le parole che i silenzi (al plurale), in parte tutti gli scrittori. I musicisti compongono sia le note che i silenzi (quasi ma non del tutto eguali), in parte tutti gli artisti. Gli interpreti creano suoni e silenzi. A loro volta, ascoltatori e lettori sono attivi creatori di emozioni e significati di suoni e silenzi. Insomma, segni e vuoti sono sempre intrecciati, bisogna riflettere bene per entrare nel cuore della musica. Lo spiega con notevole cultura interdisciplinare l’insigne fisico Gianni Zanarini (Bologna, 1940), già docente anche di Acustica musicale, nella collana “La parola alle parole” diretta da Ugo Leone.

 

Ben Lerner

«Topeka School»

traduzione di Martina Testa

Sellerio

380 pagine, 16 euro

Topeka, Kansas. 1997. Adam Gordon segue l’ultimo anno di liceo alla “Topeka High School”, possiede una gran parlantina ed è campione di retorica (vera e propria disciplina agonistica). I genitori prima vivevano nella sofisticata New York, entrambi lavorano in una prestigiosa clinica psichiatrica, il padre Jonathan riesce a far parlare ragazzi disagiati che faticano ad aprirsi, la madre Jane si occupa del ruolo della donna nel patriarcato ed è anche una celebre scrittrice femminista. Gli otto capitoli di “Topeka School” alternano le tre personalità familiari, in terza persona Adam (che pure ripercorre l’adolescenza dell’autore), in prima persona i due genitori. Il settimo è ancora su Adam, come pure l’ottavo ma con un’ambientazione contemporanea e Adam-Ben padre. Il sensibile poeta e scrittore Ben Lerner (Topeka, 1979) si è affermato per importanti premiate raccolte di poesie, prima di dedicarsi, soprattutto nell’ultimo decennio, a romanzi introspettivi a cavallo tra verità e finzione.

 

Ugo Leone

«Acqua»

Doppiavoce

64 pagine, 10 euro

Pianeta Terra. Da circa 4,5 miliardi di anni. Ne siamo fatti al 70 per cento, è il principale alimento quotidiano, condiziona in vario modo le giornate di ogni sapiens (e di ogni altro fattore biotico), ne parlano tutti e ne scrivono quasi tutti, non poteva mancare nella collana La parola alle parole: “Acqua”. Se ne occupa uno dei docenti di politiche ambientali più competenti ed esperti d’Italia, Ugo Leone (Napoli, 1940), che si sofferma su cose e argomenti cruciali ma di minore diffusione. Parte dall’inizio, dalla formula chimica e dalla storia della vita, poi affronta inframezzando citazioni letterarie e scientifiche: il ciclo dell’acqua, la biodiversità nella distribuzione, i fiumi e i mari, gli inquinamenti, reali dinamiche e pericoli di indisponibilità, l’umano problema della mancata adduzione, l’idropolitica globale e locale, le infrastrutture e le dighe, l’acqua dal sole, il ghiaccio in un bicchiere. Non a caso, la dedica è «in ricordo di Giorgio Nebbia».

 

Francesca Santolini

«Profughi del clima. Chi sono, da dove vengono, dove andranno»

Rubbettino

102 pagine, 12 euro

Ecosistemi invivibili. Prima, ora e ancora. Ormai da decenni i “Profughi del clima” sono più dei rifugiati politici e le migrazioni originate da problemi ambientali la maggioranza delle migrazioni forzate. La giornalista esperta di questioni climatiche Francesca Santolini (Roma, 1977) riassume in un agile godibile volume informazioni e prospettive sul nesso tra effetti dei cambiamenti climatici antropici e fuga più o meno lenta di umani dai luoghi di nascita. Gli ecosistemi presi in esame sono significativi: Sahel, Bangladesh, aree secche, aree costiere, Alaska, Kiribati e le 43 isole-Stato, Siria, l’intera Africa. La narrazione è giornalistica divulgativa, niente note, citazioni di libri e testimonianze di esperti come intercalare del testo, nodi giuridici e scenari futuri per sollecitare piena consapevolezza e azioni coerenti. Talora lo stile provoca qualche superficialità terminologica e comparativa. Ottima prefazione di Marco Impagliazzo, postfazione di Giampiero Massolo.

 

Manuela Monti e Carlo Alberto Redi

«DNA. La vita in tre miliardi di lettere»

Carocci

180 pagine, 15 euro

Fattori biotici. Ovunque ci sono. Il DNA è la molecola, con struttura a due eliche a spirale antiparallele avvolte da proteine e quattro basi costitutive, che veicola le informazioni genetiche di tutti gli organismi viventi, vegetali o animali o batteri che siano; lo si sa da poco e saperlo ha cambiato praticamente tutto, con avanzamenti tecnici e applicativi degli umani saperi (innanzitutto biologico, medico, giuridico, filosofico). In particolare, la biologia è divenuta la scienza della sintesi del vivente, configurando nuovi diritti fondamentali (come quello al sapere scientifico, a eliminare gli ostacoli giuridici, economici e culturali che impediscono alle persone di godere delle conquiste della conoscenza) e nuovi doveri (come quello di informarsi correttamente per la vita sociale). All’origine siamo tutti figli della polvere di stelle e tutti deriviamo da LUCA (Last Universal Common Ancestor), si è formato prima l’uovo, mentre la gallina è un’invenzione dell’uovo per propagarsi meglio, poi della riproduzione del vivente si è occupato proprio l’acido desossiribonucleico, usato con l’acronimo inglese scritto maiuscolo. Due ottimi scienziati italiani riassumono in un agile chiaro volume tutto quel che è bene conoscere per alfabetizzarsi sul DNA: la scoperta, la struttura, l’origine, la funzione, l’esclusivo RNA, le tecniche, le conseguenze delle tecniche, la manipolazione, le banche, il DNA antico, oltre il DNA, inserendo utilmente in fondo il glossario essenziale (una cinquantina di termini essenziali), la sintetica bibliografia (una novantina di testi o saggi, con sitografia), gli indici dei nomi e analitico, un grazioso origami colorato del DNA.

La biologa ricercatrice Manuela Monti (Pavia, 1976) che insegna  Biologia delle cellule staminali, e il biologo professore Carlo Alberto Redi (Pavia, 1949) che insegna Zoologia, operano entrambi nelle sedi universitarie della loro città, hanno rimarchevoli collaborazioni internazionali e contribuiscono da anni alla pubblicistica scientifica con rigore e coerenza. Nei paragrafi interni ai vari capitoli si e ci dilettano prendendo spunto da ricostruzione storiche ed episodi curiosi per facilitare una narrazione godibile e stimolante. Ovviamente James Watson è più volte citato, dagli spunti biografici al 1951, quando 23enne fa il postdottorato alla stazione zoologica di Napoli e poi conosce Francis Crick, fino poi alle discutibili stravaganti affermazioni sull’Africa, sulle donne, sul razzismo. Interessante la parte dedicata alle differenze fenotipiche (come il colore della pelle) e fisiologiche (come la suscettibilità) tra gli individui della specie umana, che comunque non sono mai grandi e mai possono configurare razze: la variabilità genetica resta altissima (circa l’85%) anche in piccoli gruppi all’interno di ciascuna popolazione. L’invenzione della razza è un potente mezzo di validazione di interessi e poteri di pochi: è nei processi di assoggettamento degli individui e nelle forme di organizzazione sociale che ne derivano che si trova il “cuore di tenebra” del razzismo (come dello schiavismo e dell’olocausto). Non a caso, i due autori, insieme a molti altri studiosi, hanno proposto di abolire l’impiego della parola razza da qualunque atto ufficiale della Repubblica italiana. Opportuni anche i riferimenti a biodiversità e OGM (con tanta buona informazione e ampio corretto esame delle fake news), alle mappe e banche dati (con il progetto sostenuto da Obama nel 2016 per la Precision Medicine Initiative), ai rischi e alle opportunità della manipolazione, ai tanti nessi della genetica con l’amministrazione della giustizia. Meno aggiornato il paragrafo sul DNA antico, ma davvero curioso il caso sulle origini di Cristoforo Colombo (gli autori hanno contribuito a una ricerca italo-spagnola). E ovviamente frequenti sono i richiami (pur generici) al fenomeno migratorio.CalzolaioNONgiallo-marzo

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