Assange: dopo il reato di tortura, quello di silenzio

 

di Alberto Capece (ripreso da https://ilsimplicissimus2.com/)

fra le parole di Chelsea Manning e quelle di Sigurdur Thordarson nella Bottegadelbarbieri non abbiamo dubbi su quali siano affidabili – FM

 

Mi vengono i brividi quando sento parlare  del giornalismo anglosassone come di una sorta di stella cometa dell’informazione Già tutte le frasi fatte mi imbarazzano, ma poi quelle dette da chi non ha la minima esperienza mi provocano una crisi di rigetto: il giornalismo anglosassone per chi ha avuto modo di frequentarlo è stato sempre pessimo come molte altre celebrate cose di un mondo imperiale che ha imposto come eccellenza i suoi lati peggiori. Il mito del giornalismo anglosassone deriva più che altro dalla tipica pignoleria con cui vengono indicate le circostanze di un evento, cosa che in un certo senso permette di deformalo e manipolarlo a volontà nella convinzione però di essere stati oggettivi. Se il giornalista Mark Twain  scriveva che “il giornalista  distingue il vero dal falso e pubblica il falso” ( in realtà si riferisce qui anche se non soprattutto all’editore) una ragione doveva pur esserci. In realtà ben poco è così parziale e freddamente fazioso della stampa anglosassone. Lo è scrivendo, ma anche non scrivendo: in queste settimane per esempio c’è stato un blackout completo nel mainstream sulla rivelazione del quotidiano islandese Stundin secondo il quale  uno degli atti accusa Usa contro Julian Assange era basato su falsa testimonianza del sociopatico (diagnosticato) e molestatore di bambini (condannato) Sigurdur Thordarson.

Non c’è stata alcuna copertura nei media principali, non una parola sul New York Times, Washington Post, CNN, NBC News, Fox News o NPR e una ricerca in rete per ‘Assange’ o ‘Thordarson’ non evidenzia articoli del mainstream dell’anglosfera neanche come Verge, Wired o Gizmodo. Media Lens che è un organismo che si occupa di indagini sull’informazione riferisce di non aver trovato “un solo rapporto di nessuna emittente o giornale ‘serio’ del Regno Unito”, sebbene in un mondo sano di mente, le rivelazioni di Stundin sarebbero state le notizie principali ovunque, con un’ampia copertura mediatica su BBC News at Six and Ten, ITV News, Channel 4 News , articoli in prima pagina su Times, Telegraph, Guardian e altro ancora”. E il giornalista australiano John Pilger, ha twittato : “Dopo aver guidato la persecuzione di Julian Assange, la ‘stampa libera’ tace uniformemente sulla notizia sensazionale che il caso contro Assange è fallito. Vergogna per i miei colleghi giornalisti”.

Questo silenzio si collega con quello altrettanto assoluto attorno a documenti ufficiali resi noti nel 2019 da Wikileaks in merito ai rapporti di informatori dell’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (OPCW) dai quali emerge come la leadership dell’organizzazione aveva attivamente manomesso le indagini su un presunto attacco di gas di cloro a Douma, in Siria nel 2018 per sostenere la narrativa del governo degli Stati Uniti contro Assad. Un giornalista di Newsweek si è dimesso dal suo incarico durante questo scandalosa censura di fatto e ha pubblicato le email dei suoi editori che gli proibivano di coprire la notizia  sulla base del fatto che nessun altro importante centro di informazione ne aveva parlato. E l’anno scorso Stephen L Miller di The Spectator ha  descritto come si sia formato il consenso  tra la stampa mainstream dopo la sconfitta di Hillary Clinton nel 2016 secondo cui è loro dovere morale essere acritici nei confronti dell’avversario di Trump e sopprimere qualsiasi notizia che potrebbe avvantaggiarli. E’ fin troppo evidente che una volta sdoganata l’idea l’informazione non solo il diritto ma anche il dovere di sopprimere le notizie fattuali e degne di nota per proteggere un’agenda politica, si è arrivati nel mare aperto della propaganda.

Del resto dopo un anno e mezzo di pandemia nel quale nessun media maistream nell’intero occidente ha scritto una sola riga di verità preferendo avvilirsi in un affabulazione ottusa e servile di sciocchezze, dati palesemente fasulli, tesi assurde e concetti ambigui. il silenzio sulla vicenda Assange e la prova delle accuse fasulle grazie alle quali viene torturato è quasi un fattoi naturale almeno fino a quando questa informazione da campo di concentramento non verrà a sua volta soppressa perché ormai inutile ai padroni che ha così diligentemente servito.

da qui

Redazione
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5 commenti

  • DUE AGGIORNAMENTI

    1 – qui la puntata di Presa Diretta (di Riccardo Iacona) su Assange:
    https://www.raiplay.it/video/2021/08/Presa-Diretta—Julian-Assange-processo-al-giornalismo—30082021-fb121490-c62e-4ceb-915f-8df443ee0ae2.html

    2 – in rete Patrick segnala che a Roma si sta organizzando una manifestazione (in piazza Montecitorio) l’8 settembre per sollecitare il Parlamento a discutere la proposta di legge del deputato Pino Cabras (“L’Alternativa C’è”) che accorda a Julian Assange l’asilo politico in Italia. La proposta di legge ha poche possibilità di essere approvata (gli USA non lo permetterebbero mai) ma basta la discussione sul provvedimento in Parlamento per mandare alle autorità britanniche il messaggio: “Attenti a come trattate Assange — il mondo sta guardando”. Spero che Patrick e altre/i ci aggiorneranno. Intanto ecco l’evento Facebook: https://facebook.com/events/s/sit-in-per-assange-davanti-al-/816628652370402/

  • SEGNALO
    Assange ostaggio del cinismo occidentale
    di Franco «Bifo» Berardi (*)

    Pioveva fitto fitto quando uscii dalla stazione di Knightsbridge quel pomeriggio d’inverno di qualche anno fa. Camminai veloce fino all’ambasciata ecuadoriana. Davanti al cancello mi aspettava Srecko Horvat. Insieme entrammo, passammo i controlli del poliziotto dell’ambasciata, poi una guardia ci introdusse in una sala dove Julian Assange ci attendeva.

    Aveva chiesto a Srecko di conoscermi e io ero felice di andarlo a trovare.

    Gli avevo portato un pacchetto di tortellini bolognesi, e lui aprì il pacchetto e si mise a mangiarli crudi. Gli spiegai che doveva metterli in una pentola di acqua bollente. Lui mi disse che aveva letto And phenomenology of the end, e mi chiese di fargli una dedica.

    Poi parlammo per un po’. Di filosofia naturalmente. Io proposi che il tema del nostro incontro fosse la verità in regime di velocità assoluta, e di sovraccarico dell’attenzione: il potere, il segreto e l’enigma.

    Pedante come sono cercai di spiegargli che lui stava scontando la colpa di avere creduto nell’efficacia della verità. La verità non serve a niente quando la soggettività sociale non è capace di comprenderla. Gli dissi anche che stava scontando la colpa di avere creduto nella democrazia, una parola che vuol dire qualcosa soltanto quando la società possiede la forza per imporre l’eguaglianza e la pace.

    Lui rispondeva che aveva solo fatto il suo lavoro e il suo lavoro era dir la verità, e che per dirla occorre usare ogni stratagemma e ogni tecnica.

    Continuo a credere che la sola colpa di Julian Assange sia quella di avere preso sul serio le parole che stanno a fondamento della democrazia liberale: verità trasparenza e democrazia. La filosofia di Wikileaks si fonda su una fiducia incrollabile nella trasparenza e nell’efficacia della verità.

    Qui sta la forza di Wikileaks, qui sta la sua debolezza.

    L’azione di Wikileaks si fonda sulla presunzione puritana che il linguaggio sia uno strumento del vero o del falso, così che gli enunciati possono essere definiti come veri o falsi, buoni o cattivi. Ma questa presunzione ci permette raramente di cogliere significato nell’infosfera iper-veloce che toglie alla mente collettiva la possibilità di elaborazione cosciente.

    La mera identificazione del vero e del falso talvolta può produrre degli errori politici: quando, nel 2016, WIkileaks rivelò che il partito democratico stava manipolando le primarie per eliminare il candidato scomodo e favorire Hillary Clinton, fece un’azione moralmente legittima, e anche ineccepibile dal punto di vista professionale. Ma in quel contesto politico la verità finì probabilmente per favorire il Re del Falso, Donald Trump che in effetti vinse le elezioni.

    L’astratta adorazione della verità può produrre effetti paradossali, e in nome della purezza si può essere strumentalizzati dai cinici più abietti.

    Assange è costretto da dieci anni a vivere in condizioni di detenzione, e lo stato americano vuole catturarlo per giudicarlo con una legge del 1917 che identifica l’informazione in tempo di guerra con lo spionaggio militare.

    All’inizio del secondo decennio del secolo, mentre la guerra infinita di Bush continuava a mietere vittime civili e alimentava nuovi fronti di terrore, Wikileaks denunciò quello che oggi, dopo la disfatta, appare evidente a chiunque voglia vedere: che le truppe americane uccidevano civili e giornalisti, che i governi fantoccio sostenuti dagli Usa in Afghanistan erano corrotti e impopolari, insomma che la guerra contro il caos produce soltanto altro caos, perché il caos si alimenta della guerra.

    Se le autorità americane, invece di perseguitarlo lo avessero ascoltato dieci anni fa, quando gli Afghan Papers furono pubblicati, forse il povero Biden si sarebbe risparmiato l’umiliazione che lo sta trascinando verso il nulla.

    Quando Wikileaks inondò di verità l’infosfera, i giornalisti di tutto il mondo si fermarono ad ascoltare, e titolarono le prime pagine con le rivelazioni che provenivano dai computer di Julian Assange e dei suoi amici, perché Assange aveva fatto quello che ogni giornalista dovrebbe fare.

    Se il giornalismo si misura con gli effetti prodotti dalle indagini e dalle rivelazioni, allora non c’è dubbio che Julian Assange è, semplicemente, il più grande giornalista di tutti i tempi, mentre quelli che hanno titolato i loro giornali “siamo tutti americani”, coloro che hanno preso per buone le parole di Dick Cheney e Donald Rumsfeld o di Powell che all’ONU mostrava una bottiglietta con polverina bianca, dovrebbero solamente vergognarsi.

    In questi venti anni il cinismo è dilagato nell’informazione occidentale, ma a quanto pare alla lunga il cinismo non vince le guerre. Ora sarebbe il momento di rimediare.

    Chi potrà mai più credere nella parola di coloro che hanno tradito la fiducia delle donne afghane e degli alleati europei? di coloro che firmarono un trattato con l’Iran per poi cancellarlo?

    Per rimediare all’infamia occorre un processo culturale di riflessione, di autocritica, di rifondazione. Saprà farlo l’America di Biden, che però è anche il paese di Black Lives Matter?

    Io non so se esista ancora una coscienza americana, se esistano forze intellettuali capaci di rigenerare quel paese. Se esistono ora dovrebbero mobilitarsi perché cessi la persecuzione di Assange.

    Non so se nel Partito Democratico le persone ragionevoli e decenti (che ci sono, per quanto minoranza) sono in grado di fermare la macchinazione che mira a uccidere un uomo che ha fatto il suo dovere di giornalista, che ha creduto nella democrazia e che ha usato gli strumenti della tecnologia e dell’informazione per denunciare una guerra criminale e perdente.

    Ma se sono in grado di farlo, dovrebbero battersi perché lo stato americano abbandoni la sua meschina inutile vendetta, e ritiri la richiesta di estradizione.
    (*) pubblicato ieri (in prima pagina) sul quotidiano “il manifesto”

  • OGGI manifestazione s Roma per Julian Assange in piazza di Monte Citorio dalle 11 alle 14.
    Pino Cabras (di L’Alternativa C’è) ha depositato alla Camera una mozione per la concessione di asilo politico a Assange. Ma la mozione rimane bloccata in una commissione. La manifestazione è per sbloccarla.
    Dettagli qui: https://www.peacelink.it/pace/a/48738.html

  • Julian Assange, un caso di guerra giudiziaria
    di Enrico Calamai (*)

    Il gruppo «Italiani per Assange» ha organizzato ieri, 8 settembre 2021, una manifestazione a Montecitorio, alla quale hanno partecipato, tra gli altri, alcuni dei parlamentari promotori della mozione per il riconoscimento dello status di rifugiato politico al giornalista australiano.

    Assange, in pratica privo di libertà personale dal 2012 , si trova attualmente in un carcere di massima sicurezza inglese. Vi sono motivi per ritenere che, dopo tanti anni e colla prospettiva del carcere a vita se viene estradato in USA, sia a rischio di un grave crollo psicofisico.

    Sotto le apparenze di un processo, si cela in realtà una extraordinary rendition, resa particolarmente difficile dalla autorevolezza del personaggio, conosciuto nel mondo intero per aver fondato WikiLeaks, riuscendo ad utilizzare la tecnologia informatica per illuminare il cono d’ombra in cui i governi occidentali si erano fino allora ritenuti liberi di portare a termine le peggiori efferatezze, nella convinzione che mai sarebbero venute a conoscenza dell’opinione pubblica internazionale.

    L’informazione, come cerniera tra politica e opinione pubblica, è andata acquisendo sempre maggior peso nel corso del XX secolo e nei primi vent’anni del XXI. Già Goebbels diceva, riferendosi alle possibilità offerte dalla radio, che una menzogna ripetuta un milione di volte diventa verità; inversamente, possiamo dire che una verità taciuta un milione di volte diventa menzogna. Non è un caso che la Soluzione Finale sia stata segreto di Stato gelosamente custodito fin dalla sua programmazione e nel corso della sua realizzazione fino alla fine della guerra. Ciò aveva anche offerto un alibi per non prendere posizione a quella parte dell’opinione pubblica che pure non poteva non avere idee in proposito: se fosse stato vero, la stampa lo avrebbe riportato.

    Analogamente, in Argentina, il segreto che avvolgeva la caccia all’uomo scatenata dai militari dopo il golpe del 1976, permetteva di eliminare la generazione di giovani impegnati che sarebbero diventati la futura classe dirigente del Paese, imbevuta di ideali democratici. La desaparición rendeva irrappresentabile e di conseguenza negabile, la metodologia scelta per l’eliminazione fisica di tutti gli eventuali oppositori, sia presenti che futuri. Ancora una volta, l’opinione pubblica rimase indifferente, anche di fronte alla crescente evidenza di quanto stava accadendo e così fecero pure i governi occidentali, tra cui quello italiano, che della tutela dei diritti umani facevano la propria bandiera ideologica.

    Julian Assange con Wikileaks, Chelsea Manning, Edward Snowden ed altri whistleblowers – ultimo Daniel Hale condannato solo poche settimane fa, poco prima del ritiro Usa da Kabul, a quattro anni di galera come «traditore» per avere avuto il coraggio, come militare dell’intelligence dell’aviazione Usa, di rivelare i target civili dei micidiali droni – sono riusciti a svelare i crimini contro l’umanità portati a termine da Stati Uniti, NATO e Paesi occidentali con le guerre degli ultimi vent’anni, sempre avviate all’insegna di altisonanti ideali di democrazia e diritti umani, ma in realtà finalizzate a imporre gli interessi geostrategici ed economici del blocco occidentale, oltre che da sbocco agli armamenti prodotti dal sistema militare industriale. Una politica cui partecipa anche l’Italia malgrado l’art. 11 della Costituzione, che, come noto, ripudia la guerra.

    Julian Assange non ha commesso alcun crimine. Perseguirlo con pretestuosità da guerra giudiziaria maschera il tentativo di punire un giornalista che ha svolto in maniera genialmente innovativa il proprio sacrosanto diritto/dovere di informazione a livello mondiale, anche al fine di evitare che il suo esempio possa venir seguito da altri. Ad essere in gioco è quindi, oltre alla sua persona, che andrebbe in ogni caso tutelata, la libertà di espressione, la possibilità di una stampa che svolga la funzione pubblica dell’informazione nel modo più completo possibile, la consapevolezza di un’opinione pubblica che viene attualmente strumentalizzata in maniera ondivaga, senza disporre di reali elementi per valutare quanto si decide a livello politico, per quali motivi e con quali modalità di attuazione.

    Assange è un politico di prim’ordine, perseguitato perché la sua deontologia professionale lo ha messo in rotta di collisione con la realpolitik delle potenze occidentali. Proprio per questo va tutelato ed ha pieno titolo all’asilo politico da parte di un Paese come l’Italia, che si dice rispettoso dei diritti umani.

    Il gruppo «Italiani per Assange» ha lanciato la petizione “Libertà per Julian Assange” su change.org.
    (*) pubblicato sul quotidiano “il manifesto” del 9 settembre

  • UN AGGIORNAMENTO IMPORTANTE (da Patrick del gruppo “nowaroma”)

    Ieri abbiamo consegnato la lettera per Assange all’ufficio della Commissione Europea (Ursula von der Leyen) a Roma.
    Per vedere le immagini, cliccare qui e poi scorrere giù fino a “Foto di eventi passati”:
    http://www.peaceandjustice.it/assange/assange2.htm
    Per le altre foto (Stefano Montesi), cliccare qui:
    https://www.gettyimages.it/search/2/image?events=775717487&family=editorial&editorialproducts=all
    SOPRATTUTTO aggiungete i vostri nomi alla lettera per la von der Leyen, firmando la petizione qui:
    https://www.change.org/EUforAssange
    E diffondete questo link quanto potete, grazie!

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