Astafieff, Beccaria, Gatrell, Mankell, Norwich, Wess e Autori Vari

7 recensioni di Valerio Calzolaio

Henning Mankell

«L’uomo della dinamite»

traduzione di Alessandra Albertari e Alessandra Scali (originale 1973)

Marsilio

174 pagine, 16 euro

Svezia. 1888-1969. Nel giugno 1911 il 23enne Oskar Johansson, alto e muscoloso, occhi azzurri e capelli biondi, lavora già da ormai sette anni come brillatore: è il più giovane nella squadra impegnata alla costruzione della galleria centrale della ferrovia. Un sabato pomeriggio un innesco della dinamite fa cilecca, tocca a lui controllare, la montagna esplode e dilania il suo corpo, l’occhio sinistro, la mano destra, mezzo pene, il rene, la vescica. Lo danno per morto, sospirando di sollievo perché non aveva moglie e figli. Sopravvive. Nessuno allora conosceva Elly, coetanea, capelli castani e occhi verdi. La ritroviamo ancora innamorata insieme a lui su un’isola dell’arcipelago nel maggio 1962, narra lei, un operaio di sinistra militante contro gli sfruttamenti e le discriminazioni. Ecco l’imperdibile esordio letterario del mitico Henning Mankell (1948-2015), una storia magnifica: «L’uomo della dinamite», pubblicato in Italia per la prima volta (con prefazione autorale del 1997).

 

Katia Astafieff

«Le incredibili avventure delle piante viaggiatrici»

traduzione di Sara Prencipe

Add editore

200 pagine, 16 euro

Pianeta umano. Millenni e secoli fa. Il tè è un arbusto, siamo da lungo tempo abituati a consumarne piacevolmente le foglie. La particolare specie si chiama Camellia sinensis, appartiene alla stessa famiglia e allo stesso genere delle camelie, non è arrivata in Inghilterra e in Europa per caso. Nota in Cina e là quasi esclusivamente coltivata per millenni, importata in Occidente dai mercanti portoghesi e olandesi sin dal XVII secolo, fu poi letteralmente rubata a metà del XVIX secolo dagli inglesi. La pianta era già da tempo nei loro gusti e commerci: per circa duecento anni la Compagnia inglese delle Indie Orientali aveva in India il monopolio della coltivazione del Papaver somniferum (papavero da oppio) e lo forniva ai cinesi in cambio del tè, monopolizzato dall’impero cinese. A un certo punto della storia commerciale, gli inglesi decisero di gestire autonomamente le migliori tecniche di produzione e di procurarsi pertanto le migliori piante per coltivarle nella “loro” India. Allo scopo usarono una spia. Serviva un individuo competente di Cina, coraggioso e pronto a tutto. Lo trovarono subito: Robert Fortune (1812-1880), rinomato geniale botanico britannico che nel 1843 aveva pubblicato il racconto di un primo soggiorno nella Cina settentrionale, lungo tre anni, inviato dalla Royal Horticultural Society e ben accolto. Gli diedero una sostanziosa cifra e partì nel 1848, la missione consisteva nell’andare di persona a raccogliere semi e piante dove crescevano gli alberelli migliori nelle regioni della Cina meridionale. Si travestì, viaggiò là molto in barca, divenne ladro gentiluomo, constatò che l’arbusto era coltivato ovunque, scoprì che l’unica differenza fra il tè nero e il tè verde consiste nel processo di fermentazione, erborizzò e raccolse anche altre specie, ebbe una rocambolesca vita di successo. Tre anni dopo ventimila piante del tè arrivarono a destinazione e vennero coltivate nei contrafforti dell’India. Oggi è la bevanda più consumata, dopo l’acqua, prima di caffè, birra, vino.

La biologa francese, viaggiatrice, scrittrice e direttrice aggiunta dei giardini botanici di Grand Nancy (Università di Lorraine) Katia Astafieff (1975) propone un originale spigliato saggio di divulgazione scientifica etnobotanica su dieci coppie d’avventura: una specie di pianta, connessa geograficamente a un antico ecosistema, viene storicamente relazionata a un singolo individuo sapiens, o a un paio di noi, nomadi del sapere e cercatori d’oro verde, cruciali (fra tanti) per farla divenire poi globalmente familiare a tutti. Dieci viaggi nella geografia e nella storia dunque, con stile avvincente, dotti dati e citazioni, qualche aneddoto e brevi finestre di approfondimento. Il tè per primo. Seguono: il frutto tondeggiante (Fragola, fraisier) riportato dal Cile da un corsaro seducente (nel 1714, il francese Amédée-François Frézier, 1682-1773, per caso la pronuncia è la stessa); la Peonia “più bella” (selvatica o ibrida?) trasferita ancora dalla Cina a tempo di rock con l’austriaco Josef-Franz (indi americano) Joseph Rock (1884-1962); l’ascesa e il declino di una radice canadese (il Ginseng americano) e i meriti del chirurgo della Marina francese Michel Serrazin (1659-1734, naturalizzato canadese in Québec); il caso fortunato di un albero (Hevea brasiliensis) dell’Amazzonia, utile alle piscine, agli ospedali e… alla linea, e dell’astuto ingegnere francese in Guyana François Fresneau de la Gataudière (1703-1770) che ricavò gomma naturale o Caucciù dalle note secrezioni di lattice; l’avventura fumosa di un’erba non particolarmente ortodossa (il tabacco, Nicotiana tabacum) riportata dal Brasile dal diplomatico francese Jean Nicot (1530-1600) e “scoperta” dal curioso monaco André Thevet (1516-1590); il favoloso destino del piccolo frutto verde (kiwi, Actinidia chinensis) e dell’astuto gesuita Pierre Nicolas Le Chèron d’Incarville (1706-1757); l’indagine su una pianta venuta dal freddo, il Rabarbaro e sul biologo tedesco Simon Pallas (1741-1811); il fiore più grande e puzzolente (Rafflesia) per due inglesi, l’amministratore coloniale Thomas Stamford Raffles (1781-1826) e il naturalista girovago Joseph Arnold (1782-1818); l’altissima conifera americana Sequoia sempervirens in compagnia del chirurgo e naturalista scozzese Archibald Menzies (1754-1842). In fondo bibliografia scelta e indice di nomi (piante, luoghi, ecosistemi, persone). Migrando, esplorando e viaggiando, la specie meticcia ha reso meticcio quasi ogni ecosistema: è scientifico, oltre che divertente, saperlo.

 

John Julius Norwich

«Il Mare di Mezzo. Una storia del Mediterraneo»

traduzione di Chiara Rizzuto (originale 2006)

Sellerio

1100 pagine, 20 euro

Mediterraneo. Dagli Egizi alla fine della prima guerra mondiale. Nel 1961 il visconte di Norwich John Julius Cooper (1929-2018) lavorava per il ministero degli Esteri e capitò con la moglie in Sicilia, innamorandosi dell’isola e del mare di cui era centro e che circa 7 mila anni fa diede origine alla civiltà occidentale che oggi conosciamo. Dopo decenni di studi e ricerche pubblicò un volume storico (con poca geologia ed ecologia) ora tradotto in «Il Mare di Mezzo»: le dimensioni relativamente modeste, la forma circoscritta, il clima mite, la provvidenziale fertilità, le coste frastagliate del versante europeo e asiatico, tutto questo si è combinato in modo da creare un ambiente unico e protettivo in cui diversi popoli hanno avuto la possibilità di svilupparsi e fiorire, pur con vari conflitti. Di volta in volta una culla e una tomba, un collegamento e una barriera, una benedizione e un campo di battaglia, da un po’ soprattutto un parco giochi (per questo si è fermato a un secolo fa).

 

Ludger Wess

«Atlante dei batteri. Un mondo di bellezza contagiosa»

traduzione di Angela Ricci, cura di Gianluca Deflorian

Marsilio

280 pagine, 18 euro

Pianeta. Da miliardi di anni. La Terra è il pianeta dei batteri. Un centimetro cubo di suolo terrestre ne contiene circa un miliardo, un cucchiaio d’acqua prelevata da uno stagno un milione e un metro cubo d’aria un migliaio. Animali e piante vanno e vengono, i batteri invece restano e finora sono sopravvissuti a tutte le catastrofi della storia del pianeta. Hanno avuto origine almeno 3 miliardi e 800 milioni di anni fa (le prime forme di vita di esseri unicellulari risalgono a 4,5 circa, poi evolvono i procarioti come i batteri) probabilmente in sorgenti calde sul fondo degli oceani, separatamente dagli archeobatteri o Archei, un terzo dominio evolutivo, prima degli eucarioti (circa 1,9) ovvero piante e animali. I batteri hanno, come noto, una stupefacente capacità di resistenza e ricchezza di varietà. Ancora oggi la maggior parte vive nelle acque dei mari o sottoterra (anche a una profondità di cinque chilometri sotto la crosta) e tanti vivono di noi, in noi e con noi animali umani sapiens, che li abbiamo “scoperti” solo 350 anni fa, grazie ai primi microscopi, poi denominandoli (dal greco) “bastoncini” e imparando presto anche a studiarne almeno alcuni, anche tramite coltivazione e colorazione. Le stime parlano di un numero globale di batteri oggi esistenti che oscilla da 4 a 6 quintilioni: finora sono stati scoperti e descritti meno dell’un per cento delle specie presenti. Fatichiamo a non considerarli organismi primitivi, quando invece sono autonomi e persistenti, con sistemi (forme, strutture, parti) complessi e specifici, taluni con rilevanti funzioni motorie di orientamento, movimento e migrazione, seppur con poca energia e ridotto campo d’azione. Pure batteri non imparentati fra loro si scambiano geni ed esiste un trasferimento genico orizzontale (verso non batteri). A oggi conosciamo circa 14.000 tipi di batteri, di cui 1.400 sappiamo che provocano malattie.

Lo scrittore e giornalista scientifico tedesco Ludger Wess (1954) è uno dei massimi esperti di batteri. Dopo aver studiato chimica e biologia a Münster, ha svolto ricerche ed esperimenti scientifici nel campo della biologia evolutiva molecolare a Brema, dedicandosi poi a pubblicare articoli e saggi aggiornati in materia. Il recente godibile “atlante” consiste in una corposa introduzione al mondo dei batteri e poi nella selezione di 50 specie, esaminate nel dettaglio, per farci capire meglio. Raccoglie i batteri in sei differenti gruppi: alcuni di quelli da record, per grandezza di diametro il Thiomargarita namibiensis (0,75 millimetri) o per lunghezza l’epibatterio-Eubodtrichus dianeae (120 micrometri, 120 milionesimi di metro); quelli da ambienti estremi di vita, come temperature inferiori ai -50 gradi la Colwellia psychretythraea o superiori a 120 gradi Celsius il Methanopyrus kandleri; quelli originari di regioni (biotopi) forse non terrestri o con materiali abiotici (“artificiali”), come il Deinococcus radiodurans, resistente a potentissime radiazioni; quelli che si riproducono con cibi “esotici”, come lo Shevanella oneidensis, che rilascia e trasferisce gli elettroni direttamente sui composti metallici; quelli da considerare nostri preziosi “aiutanti”, soprattutto per alimentarci, come Lactococcus lactis e Acetobacter aceti; quelli che costituiscono pericolose minacce, come Bacillus anthracis, Versinia pestis, Legionella pneumophila, Escherichia coli e così via, ammalandoci. Per ogni specie l’autore scrive un riassunto di forma, diametro, locomozione, segni particolari e alcune pagine di informazioni biografiche e scientifiche, chiare e garbate. Il testo è accompagnato da foto (una per ogni gruppo) e da belle illustrazioni colorate di Falk Nordmann (una per ogni specie). La versione italiana del testo ha avuto un’ottima revisione scientifica.

 

Peter Gatrell

«L’inquietudine dell’Europa. Come la migrazione ha rimodellato un continente»

traduzione di Anna Tagliavini e Maria Baiocchi

Einaudi

608 pagine, 36 euro

Europa. 1945-2019. Dalla fine della seconda guerra mondiale, tutti i principali sviluppi nell’Europa sono legati alla migrazione. Migrazione, non immigrazione. Anche a prescindere dalle emigrazioni, parlare di “migrazione” significa sia considerare anche i frequenti regolari viaggi di ritorno e comunque l’intenzione di non bruciare i ponti con il Paese d’origine, sia valutare le traiettorie interrotte, i tragitti fra destinazioni diverse, gli affetti e gli interessi collocati contemporaneamente in più luoghi o ecosistemi umani. La migrazione verso l’Europa per motivi economici ebbe un ruolo centrale in tutti i Paesi e lungo tutti i settantacinque anni presi in considerazione. Almeno altrettanto significativa fu la migrazione interna ai singoli Stati europei: campagna-industria, periferia-metropoli, sud-nord o nord-sud. Ebbero inoltre un rilevante peso gli sforzi compiuti da tante nazioni per offrire ospitalità e protezione ai rifugiati, soprattutto a partire dalla Convenzione delle Nazioni Unite varata nel 1951, che all’inizio riguardava esclusivamente le popolazioni sfollate in seguito a eventi verificatisi in Europa prima di allora. Brutali processi di trasferimenti forzati, di pulizie etniche, di tentativi di fuga e di ritorni dalle ex colonie si susseguirono per anni. Il continente visse intensi prolungati periodi di progresso economico, di miglior tutela sociale e d’incremento dei consumi, cui contribuirono i migranti, rendendolo più diversificato e cosmopolita. La libertà di circolazione divenne una pietra angolare della cooperazione europea, pur condizionata da opzioni di interesse nazionale, anche in relazione con il blocco separato dalla Cortina di Ferro (a sua volta con propri importanti flussi migratori). E non mancarono mai da nessuna parte dinamiche di discriminazione legate ai migranti, di violenza inflitta da gruppi e singoli residenti ai nuovi arrivati. Quel che accade oggi non è una novità.

L’ottimo storico inglese Peter Gatrell (4 giugno 1950), professore di storia economica all’Università di Manchester si considera primarily a historian of population displacement in the modern world e ne ha ben donde, vista la mole di ricerche e saggi dedicati ai fenomeni migratori, in particolare quello forzato, in particolare quello dell’Est. Qui esamina il nostro aperto fluido continente nei tre quarti di secolo dopo il 1945, anno globalmente periodizzante. Sa di non poter offrire una storia lineare ed evenemenziale; che tutti i migranti hanno affrontato notevoli ostacoli burocratici ed economici; che la migrazione è oggi divenuta un campo di battaglia politico e culturale. La “barca” europea tuttavia non è una fortezza sovraffollata e comunque è stata costruita anche dai migranti: l’autore lo ricorda giustamente di continuo. Il bel volume inizia con undici mappe, memento preliminare indispensabile per capire come eravamo e quanto siamo cambiati nei confini degli Stati e dell’Unione. Segue una trattazione ripartita in cinque periodi e corredata da un paio di inserti fotografici: Pace violenta, Guerra Fredda, ricostruzione (1945-1956); Decolonizzazione, lavoratori ospiti e sviluppo economico (1956-1973); Odissee in Europa (1973-1989); Riordinare l’Europa e gestire la migrazione (1989-2008); Dove va l’Europa, dove vanno i migranti (2008-2019). Le fonti evidenziano quanto possa essere vasta la gamma delle motivazioni che inducono a migrare, ogni volta con un complesso carico emotivo, individuale e collettivo. Nei vari capitoli che compongono ogni parte si affrontano dettagliatamente le vicende della geopolitica, prestando attenzione e cura sia ai popoli in movimento che alle comunità di arrivo e valorizzando le opportunità e gli intrecci che hanno arricchito i più. Inquietudini e paure sono comprensibili per ognuno dei soggetti in campo, alla prova dei fatti i benefici sono quasi sempre prevalsi, reciproci e comuni. Il testo è denso e compatto, consapevolmente si parla meno delle emigrazioni dall’Europa e della recente dimensione Onu dei Global Compact.

 

Gian Luigi Beccaria

I “mestieri” di Primo Levi

Sellerio

132 pagine, 12 euro

Primo Levi (Torino, 1919-1987), ebreo e partigiano, fu chimico e scrittore prima e dopo Auschwitz, di cui ci ha lasciato indimenticabile memoria. Con curiosità e grazia, sensibilità e dottrina, praticò pure un terzo amato mestiere: fu linguista, filologo, dialettologo. Il linguista e saggista Gian Luigi Beccaria (Costigliole Saluzzo, 1936) racconta in un delizioso volumetto la mescolanza di scienza, arte e linguaggio chiaro, ovvero tutti I “mestieri” di Primo Levi. Dopo il capitolo introduttivo si affrontano tre cruciali argomenti: il parlare chiaro (in un’intervista del 1976 Levi mostrò fastidio per l’esibizione linguistica e per i venditori di gergo), il sistema periodico (la chimica è antifascista perché è disciplina in cui le parole corrispondono alle cose), le due culture (sia tecnici che letterati svolgono lavori sotto il segno del fare, lavori anche pratici, un tutt’uno per gli umani sapienti). Tante citazioni puntuali e tante accurate note arricchiscono la godibile lettura.

 

AA. VV.

«Parigi. The Passenger. Per esploratori del mondo»

vari traduttori

Iperborea

192 pagine per euro 19,50 euro

Parigi. Ora. C’è sempre una ragione nuova per visitare la capitale francese dall’accecante forza centripeta, facendosi accompagnare da altre visioni e altri racconti della città. “Parigi. The Passenger” è una raccolta di inchieste, reportage letterari e saggi narrativi che ne formano il ritratto contemporaneo, testimonianza di vari scrittori, giornalisti, esperti locali e internazionali. Qui troviamo: De Ruyter (un architetto), Ludivine Bantigny (una storica), Aw, Melilli, Alice Pfeiffer, Samar Yazbek, McAuley, Ciriez e Samba, Blandine Rinkel, Chambaz, Teresa Bellemo, Kaoutar Harchi. Ognuno tratta un argomento (gli inediti sono la maggior parte), spesso da un punto di vista dell’osservatore nato altrove e d’altra lingua, oggi cruciale a leggere meglio Parigi: Beaubourg, le rivolte del 2018, i bistrot, le comunità asiatiche e l’antropologia migratoria, l’identità femminile più o meno “autoctona”, l’eleganza nera, il dipartimento Seine-Saint-Denis. A corredo ottime schede informative.

 

Redazione
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