Attivista instancabile e poetessa dell’anarchia

L’11 febbraio 1888 nasce Virgilia D’Andrea

dal «Dizionario biografico degli anarchici italiani» (*)

   Nasce a Sulmona (L’Aquila) l’11 febbraio 1888 da Stefano e Nicoletta Gambascia, insegnante elementare. Rimasta prematuramente orfana, viene affidata dai parenti a un collegio di religiose che le impongono una educazione rigidamente dogmatica a cui riesce in parte a sfuggire rifugiandosi nella lettura. Leopardi, Carducci, Ada Negri sono gli unici compagni di una giovinezza solitaria; nulla entra della vita esterna al convento nell’immaginario delle collegiali fino al 1900, quando le suore costringono le ragazzine a pregare per la morte del re Umberto assassinato a Monza dall’anarchico G. Bresci. È il primo incontro di Virgilia D’Andrea con l’anarchia, filtrata attraverso la parole delle suore che definiscono Bresci “un pazzo ed un criminale”. Nel 1909, conseguito il diploma di maestra elementare, deve lasciare il collegio e entrare in quel mondo, fuori dal cancello dell’istituto, di cui niente conosce. È sola, e la solitudine diviene sempre più un tratto caratterizzante della sua vita, un sentimento al quale spesso dovrà abbandonarsi, anche negli anni a venire. A Napoli consegue la licenza per insegnare e inizia a lavorare in alcuni paesini vicini a Sulmona; ama quei luoghi pieni di silenzi e di pace, dignitosamente poveri, dimenticati – come lei stessa sottolineerà in «Torce della notte» (New York 1933) – dalla classe dirigente nazionale, tanto che quando quelle terre nel gennaio del 1915 sono devastate da un violento terremoto «non l’ombra di un re, di un duca o di una principessa reale, passò per qualche ora fra quelle rovine». Il 1915, anno in cui l’Italia entra in guerra, è per D. il momento della svolta: il conflitto delle decimazioni, degli orfani, dei mutilati, l’infame massacro di tante giovani vite la portano a fare la scelta dell’impegno politico attivo, contrassegnato da interventi a convegni e conferenze contro la guerra imperialista di cui sollecita una rapida fine auspicando un immediato ripristino delle libertà. In questi anni conosce alcuni esponenti del movimento anarchico abruzzese e si avvicina con entusiasmo all’ideale dell’anarchia. Nel 1917 proprio un compagno abruzzese, l’avvocato M. Trozzi, l’accompagna all’Impruneta a conoscere Armando Borghi, indiscusso leader del movimento e del sindacato anarchico, qui internato per aver sostenuto posizioni antinterventiste dopo le agitazioni della Settimana rossa. È un incontro importante sia sul piano pubblico che su quello privato, l’inizio di una vita insieme fino alla morte. Da questo momento le forze di polizia di tutta Italia iniziano a seguire la D. nei suoi spostamenti perché, come scrive nel 1918 il prefetto di Campobasso, «benché non consti che la D’Andrea sia all’altezza di dirigere un movimento sindacalista anarchico […] attraverso la lettura delle lettere che al Borghi pervengono, e da questi sono spedite ai suoi compagni, si rileva che l’accennata donna costituisce il centro di diffusione più fedele dei propri divisamenti». Ben presto D. smentisce il prefetto circa le sue capacità organizzative, infatti essendo Borghi internato ad Isernia e sottoposto a rigido controllo da parte delle forze dell’ordine, è lei ad aiutarlo a mantenere viva «Guerra di classe», il periodico dell’Unione sindacale italiana e a mantenere i contatti con il movimento. Nel 1919, terminata la guerra i due anarchici possono lasciare il confino e tornare alla politica attiva; comincia un giro da un luogo all’altro dell’Italia centro settentrionale per fare propaganda, incontrare i compagni, cercare nuovi proseliti. Nel dicembre dello stesso anno si tiene a Parma un importante convegno dell’Unione sindacale italiana in cui viene riaffermata la totale autonomia dalla Cgdl; nell’occasione D. viene inserita nella segreteria della centrale sindacale rivoluzionaria. Dal 1920 la sede milanese dell’Unione sindacale italiana, in via Mauri 8, diviene anche l’abitazione di D., di Borghi e di E. Malatesta, da poco rientrato in Italia. È in quei giorni di vita in comune che si cementa l’amicizia tra Malatesta e D., amicizia fondata sulla reciproca stima, sulla condivisione di ideali di vita e di militanza politica, sulla scoperta di una forte vicinanza intellettuale. La vita di D. trascorre freneticamente tra conferenze, interventi in pubbliche manifestazioni, scrittura di testi per «Guerra di classe» e «Umanità nova», organo dell’Uai, e altre prose che poi verranno raccolte nel volume «Tormento» (Milano 1922). Per il rientro di Malatesta scrive «Il ritorno dell’esule», ma è soprattutto il mondo del lavoro quello che interessa D. È del 1920 un dattiloscritto «La presa e la resa delle fabbriche» in cui vengono descritti i lavoratori in lotta che D. incita all’azione di difesa dei propri diritti e di rivendicazione di una vita migliore. Sono gli anni del dopoguerra, della mancata riconversione e della forte disoccupazione, dell’idea della rivoluzione possibile così come era avvenuto in Russia. È di questo momento la lirica «Resurrezione», che D. dedica ai “ribelli della Rhur”, in cui rievoca l’antica ribellione di Spartaco offrendola ai lettori come esempio di coraggio per le insurrezioni moderne. Il 27 ottobre del 1920 D. conosce per la prima volta il carcere: deve rispondere dei reati di cospirazione contro i poteri dello Stato, di incitamento all’insurrezione, di istigazione a delinquere e di apologia di reato. Quando il 30 dicembre successivo esce di prigione è tutto fuorché una donna vinta: continua ostinatamente la sua attività di propaganda antigovernativa e provvede, da sola e con pochi mezzi, a far uscire «Umanità nova». La lirica «Non sono vinta», composta nei giorni della detenzione, mostra il suo forte carattere: nessuna esitazione, se le sbarre frenano le sue azioni, la sua parola, le sue poesie volano più in alto dei confini di una cella. La poesia come espressione di trasmissione degli ideali diviene una costante dell’agire della D., tanto che Malatesta, nella prefazione a «Tormento», non esita a definirla la poetessa dell’anarchia: «Ella si serve della letteratura come d’un arma; e nel folto della battaglia, in mezzo alla folla ed in faccia al nemico o da una tetra cella di prigione, o da un rifugio amico che dalla prigione la sottrae, lancia i suoi versi come una sfida ai prepotenti, uno sprone agli ignavi, un incoraggiamento ai compagni di lotta». Nel 1923 D. è con Borghi a Berlino per partecipare al congresso sindacale internazionale del movimento anarchico; il soggiorno berlinese è denso di incontri, nuove conoscenze, attività, ma segna anche l’inizio dell’esilio e della malattia che la porterà alla morte. Non può rientrare in Italia perché su di lei pende una nuova denuncia per “istigazione a delinquere” a causa della pubblicazione di «Tormento». Con Borghi si reca prima ad Amsterdam, poi a Parigi. Qui D. vive un periodo di serenità nell’ambiente dell’antifascismo, alloggia nel Quartiere Latino, in rue de Malebranche; si iscrive alla Sorbona e fonda e dirige, tra il 1925 e il 1927, la rivista «Veglia». Come lei stessa scrive nell’editoriale del primo numero «Veglia» vuole essere «la rivista di tutti gli anarchici, si propone di lavorare per una salda unione spirituale fra tutti noi, unione tanto necessaria per la difesa dell’essenza vitale dell’anarchismo». La rivista propone articoli che spaziano dalla più stretta attualità alla storia del movimento anarchico e sono spesso corredati da fotografie. A Parigi, nel 1925, pubblica anche la raccolta di scritti «L’ora di Maramaldo», dove confluiscono i suoi scritti sul fascismo delle origini e sul primo squadrismo, su Mussolini, ma anche sulla vita parigina, città che celebra nei versi «Nel covo dei profughi». Nel 1928 lascia Parigi per raggiungere negli Stati Uniti Borghi che vi si era trasferito nel 1926. Le autorità italiane si fanno premura di comunicare immediatamente a quelle americane che si tratta di una pericolosa propagandista e organizzatrice di attività radicali. Subito D. si mostra per quello che è: un’instancabile attivista del movimento anarchico; la salute, un po’ migliorata la sostiene nel giro di conferenze che inizia per tutti gli Stati Uniti. Scrive a Malatesta nel 1932: «Io continuo a lavorare, pur se la salute si mantiene delicatissima; ma sono rimasta sola a sbrigarla la propaganda orale, e gli Stati Uniti sono immensi. Come accontentarli tutti? Alle volte sono tanto fisicamente stanca; ma nuovi oratori purtroppo non sorgono ancora, mentre essi sarebbero così necessari!». Ogni sua parola, ogni sua lezione, ogni suo spostamento è sistematicamente segnalato alla polizia italiana e vanno ad arricchire il suo fascicolo personale di “pericolosa rivoluzionaria”. D. è dotata di un’oratoria chiara ed efficace, affronta con competenza e approfondimenti personali i temi classici dell’anarchismo: la libertà, la lotta all’oppressione da qualunque parte provenga, l’individualismo, la società rinnovata. Anche i suoi scritti, tra cui numerosi interventi su «L’Adunata dei refrattari», colpiscono per lucidità d’esposizione unita a una rara capacità di sintesi, dove il filo conduttore è l’idea forte della continuità storica del pensiero e dell’azione rivoluzionaria: in tutte le epoche – afferma D. – vi sono stati uomini capaci di lottare contro i vincoli oppressivi e i falsi moralismi; queste lotte hanno rappresentato sempre la via del progresso umano. L’azione, la lotta contro quanto e quanti comprimono e opprimono le libertà degli individui è il compito fondamentale e la funzione storica degli anarchici, con l’obiettivo di far sorgere una società libera, felice, senza privilegi. D. individua nella società a lei contemporanea due grosse menzogne: la religione e la patria. La religione è condanna del progresso inteso come ragione libera di esprimersi, di esercitare i suoi diritti di critica e di libera indagine; la patria, intesa come stato, vincola l’uomo a interessi egoistici e contrari al vero significato della parola, vale a dire il naturale aggregarsi dell’uomo in società dal nucleo più elementare, quello famigliare, al villaggio alla città. Il vero sentimento di patria è quello che risponde ai princìpi della solidarietà umana senza distinzioni di frontiere. Simbolo per eccellenza dell’antiprogresso è il fascismo che limita tutte le libertà, opprime le coscienze, impedisce il libero sviluppo del pensiero umano. Gli spostamenti continui, le conferenze, il lavoro di scrittura minano sempre più il fisico malato di D. che nel 1932 subisce un primo intervento chirurgico in seguito a una crisi emorragica. I dolori non le impediscono di continuare di lavorare alla redazione di «Torce nella notte», il suo ultimo libro. Il 1° maggio 1933 l’acutizzarsi della malattia, un cancro all’intestino retto, costringe D. al ricovero in ospedale dove è sottoposta a un nuovo intervento chirurgico; dopo 10 giorni di sofferenze, muore a New York il 12 maggio 1933. (F. Tarozzi)

http://bfscollezionidigitali.org/index.php/Detail/Object/Show/object_id/1364

 

(*) Per questa «scor-data» abbiamo utilizzato la versione on-line del «Dizionario biografico degli anarchici italiani», uscito in due volumi nel 2003/4. Il progetto ha reso pubbliche le biografie degli anarchici e libertari di lingua italiana attivi fra il 19° e il 20° secolo, proseguendo idealmente quello realizzato fra il 2003 e il 2004 sotto la direzione di Maurizio Antonioli, Giampietro Berti, Santi Fedele e Pasquale Iuso con la collaborazione di oltre un centinaio di ricercatori/ricercatrici e che si era concretizzato nella pubblicazione di due volumi editi dalla BFS, cioè la Biblioteca Franco Serantini. La banca dati di quel primo progetto è stata la principale risorsa per allestire l’edizione online del «Dizionario» che resta aperta alla collaborazione di quante/i vorranno arricchire questa esperienza unica nel suo genere nel panorama italiano. Come scrive il mio amico Claud’Io «qui la storia l’abbiamo scritta noi, quelli dell’ideale che mai ci abbandona. Biografie di noti, meno noti e sconosciuti che sempre hanno lottato e molti dato la vita perché un altro mondo resti possibile. In ogni caso… sempre in direzione ostinata e contraria. Un grazie al Casellario Politico Centrale (CPC) della polizia che ha permesso di ricostruire, oltre ogni più rosea speranza, biografie ed eventi: rileggere e interpretare quanto veniva scritto dagli sbirri è stata un’esperienza unica e a volte esilarante». (db)

http://bfscollezionidigitali.org/index.php/Detail/Collection/Show/collection_id/3

MA COSA SONO LE «SCOR-DATE»? NOTA PER CHI CAPITASSE QUI SOLTANTO ADESSO.

Per «scor-data» qui in “bottega” si intende il rimando a una persona o a un evento che il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna deformano, rammentano “a rovescio” o cancellano; a volte i temi possono essere più leggeri ché ogni tanto sorridere non fa male, anzi. Ovviamente assai diversi gli stili e le scelte per raccontare; a volte post brevi e magari solo un titolo, una citazione, una foto, un disegno. Comunque un gran lavoro. E si può fare meglio, specie se il nostro “collettivo di lavoro” si allargherà. Vi sentite chiamate/i “in causa”? Proprio così, questo è un bando di arruolamento nel nostro disarmato esercituccio. Grazie in anticipo a chi collaborerà, commenterà, linkerà, correggerà i nostri errori sempre possibili, segnalerà qualcun/qualcosa … o anche solo ci leggerà.

La redazione – abbastanza ballerina – della bottega

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