Ballerini, Olmi, Pennac, Valzania, Walsh e il duo Di Pasquale-Stassi

recensioni di Valerio Calzolaio

Sergio Valzania

«Sparta e Atene»

Sellerio (prima edizione 2006)

154 pagine, 12 euro

Grecia. V secolo a. C. Una grande civiltà, il conflitto fra stili di vita di due città-Stato, l’inizio della decadenza, mille prime storie e storiografie scritteci su. Già alleate contro l’invadenza persiana (Erodoto lo narrò scientificamente a suo tempo), con qualche sintesi di troppo Sparta era frugale tradizionale conservatrice, Atene più rivolta alla vivace bellezza, alla “democrazia” e all’espansione commerciale (anche via mare). Scoppiò la guerra del Peloponneso. Sergio Valzania ricostruisce in “Sparta e Atene” perché e come, i primi anni partendo da Tucidide, transitando per la pace di Nicia dopo dieci, la successiva vittoria (spartana) a Mantinea dopo altri tre, la spedizione (ateniese) in Sicilia, le riprese della guerra con vari intrecci (corinzi, beoti, persiani), fino alla resa di Atene e la successiva crisi anche di Sparta. Innumerevoli i riferimenti storici a Socrate Platone Aristotele Senofonte Alcibiade Lisandro, presenti nell’immaginario anche contemporaneo.

Alessandra Ballerini

«La vita ti sia lieve»

Melampo (4a edizione)

222 pagine, 15 euro

Carceri, Cie, case d’accoglienza, centri antiviolenza, mari mediterranei. 2001-2013. Il 21 luglio 2001 era osservatrice per il Genoa Social Forum davanti alle urla della scuola Diaz, il 14 gennaio 2013 ancora a Contrada Imbriacola di Lampedusa a visitare per professione e passione i 231 profughi rinchiusi. L’avvocata Alessandra Ballerini (Genova, 1970) frequenta i drammi contemporanei con la paura delle persone perbene, senza filtri e senza ideologie, cercando di essere utile a prevenire, diminuire, scovare menzogne e violenze. Il suo bellissimo libro “La vita ti sia lieve” è insieme diario politico, giornalismo narrativo, griglia critica su cronache quotidiane riferite a diritti umani e migranti: eventi e personalità di cui abbiamo letto, ascoltato, visto, affrescati attraverso parole, sguardi, sentimenti, odori, colori, spunti che toccano dentro e insegnano molto. Dedicato a Don Andrea Gallo, al fianco delle sue 56 storie (“fascicoli aperti”) Erri De Luca e Fabio Geda.

 

Rodolfo Walsh

«Operazione massacro»

traduzione di Elena Rolla

La nuova frontiera

204 pagine, 16 euro

Argentina. 1957. Esce il libro “Operazione Massacro” di Rodolfo Walsh, 60 anni fa, una pietra miliare. A fine 1956, giocando a scacchi, il grande giornalista e scrittore di origini irlandesi e infanzia tormentata (nato il 9 gennaio di 90 anni fa a Choele Choel, mille km a sudest di Buenos Aires) viene a sapere di un crimine di stato del giugno precedente, una fucilazione nei dintorni della capitale. Inventa il giornalismo investigativo, poi lo rielabora con grande stile letterario. Walsh era povero e aveva fatto di tutto, ben presto ogni mestiere dell’industria editoriale (scrivendo noti polizieschi), accompagnò i primi anni di Cuba dopo la rivoluzione, tornato in patria si avvicinò alla resistenza marxista del popolo peronista, poi alle organizzazioni guerrigliere, entrò in clandestinità con la dittatura militare (sempre scrivendo), fu ucciso il 25 marzo 1977, 40 anni fa. Prologo “in 36 vignette” di Paco Ignacio Taibo II e postfazione di Alessandro Leogrande, acuti e toccanti.

 

 

Paola Olmi

«Marco e l’arcobaleno»

Sorbello

122 pagine, euro 18

Una città marchigiana. Di questi tempi. Marco Milani è uno studente quattordicenne “con problemi”: da un decennio convive con una forma d’asma, costretto spesso a ricoveri, sempre seguito da adulti, spesso evitato dai coetanei; ora in prima superiore sembra stare meglio. I genitori Romolo ed Helena sono originari della Romania. Narra in prima con garbo e sensibilità delle vecchie storie e della nuova malattia della mamma, dei problemi di lavoro, dei compagni di classe, degli insegnanti, del terremoto. La giornalista Paola Olmi (Macerata, 1962) prosegue la sua opera di medicina narrativa, il racconto di come la quotidiana condizione di salute rende in ogni campo diversamente abili noi e gli altri. “Marco e l’arcobaleno” è il secondo bel romanzo, dopo quello più schiettamente autobiografico, con protagonista Anna cui viene diagnosticato un tumore al seno.

 

Enzo Di Pasquale e Fabio Stassi

«I ricordi hanno le gambe lunghe»

Ernesto Di Lorenzo

302 pagine, 23 euro

Viterbo-Orte-Roma, Kalamet. Il bibliotecario Fabio Stassi (Roma, 1962) e il maestro Enzo di Pasquale (Castellammare del Golfo, 1960), entrambi bravi scrittori, si inviano lettere, una quindicina ciascuno. “I ricordi hanno le gambe lunghe” è il loro ricco denso “epistolario narrativo”. Il primo invia mail dalla linea ferroviaria che lo porta al lavoro, il secondo da Kalamet (Grecia?) dove tiene un corso di scrittura creativa. Parlano dei nonni migranti, di musiche e isole, di Argentina e America, molto della Sicilia che hanno in comune, di tante letture ovvero della reciproca carta d’identità dei libri letti. “Sai, Vincenzo, Nonna Lupe non usava mai la parola «emigrati», ma al suo posto quest’altro termine: desterradi… Sradicati, strappati dalla terra… Non si cresce in un luogo, si cresce in una lingua…”. Diritto di restare e libertà di migrare.

 

Daniel Pennac

«Il caso Malaussène. Mi hanno mentito»

traduzione di Yasmina Melaouah

Feltrinelli

280 pagine per 18,50 euri

Dalle parti di Parigi e del Sud Vercors, Prealpi del Delfinato (sotto il Grand Veymont, 2346 m slm). Verso il settembre 2016. In rue des Archers (?) una banda rapisce Georges Lapietà, uomo d’affari, ex ministro e consulente del gruppo LAVA. La lista di chi si era inimicato è lunghissima, a cominciare dagli 8.302 dipendenti mandati a spasso quando ha chiuso le filiali che aveva rilevato per la cifra simbolica di un euro con la solenne promessa di non toccare i posti di lavoro. Come riscatto vengono chiesti 807.204 euro, cifra corrispondente all’assegno che stava per intascare come paracadute d’oro per quei licenziamenti. Benjamin Malaussène lo scopre tramite gli organi d’informazione, lui non ne sa niente e si trova lontano. Come capro espiatorio dipendente tuttofare delle Edizioni del Taglione ha avuto l’incarico di mettere al sicuro in un luogo segreto, un’inaccessibile area montana che solo lui ben conosce, lo scrittore Alceste Fontana, che ha appena pubblicato “Mi hanno mentito” e sta completando il seguito (“La loro grandissima colpa”), racconti senza metafore dei pessimi comportamenti della propria stessa famiglia, otto fratelli (tre femmine e altri quattro maschi) e due genitori che li hanno adottati. Ben parla via skype con i nipoti Mara e Nange e con il figlio Sigma, volontari di belle Ong in tre varie lontane parti del mondo. Agogna solo di poterli presto riabbracciare, alla rentrée. Fatto sta che, pochi giorni dopo, due bravi poliziotti sottraggono alla legge i sequestratori per scarrozzarli con l’ostaggio (in un veicolo rubato da un collega) e nasconderli in un orfanatrofio per ordine di un giudice istruttore che non ha intenzione di deferire l’evento. Non è che l’ideale colpa sarà di Malaussène? Ca va sans dire!

Daniel Pennac (Casablanca, 1944) riesce nel (quasi) impossibile. Venti anni dopo fa tornare protagonisti di una storia contemporanea i personaggi che lo hanno reso amatissimo e famoso in parte del mondo (compresa l’Italia); abbiamo memoria di avventure mirabolanti, di amorevoli storie noir, di fiabe ironiche e horror, di empatiche figure inevolvibili, di significati multisenso e impatti multisensoriali. La scommessa è ardua: chi le ricorda forse inizia a leggere con perplessità e diffidenza. Una prima questione è risolta dal Repertorio iniziale, una decina di pagine con il centinaio di personaggi citati o evocati, qualche luogo e qualche archetipo, non c’è bisogno di altro per essere aggiornati. Poi il testo comincia in terza persona, il rapimento dello squallido ridicolo in bermuda e canna da pesca; segue Ben in prima persona (come sempre), accanto al tipo da proteggere, certo antipatico ma ogni lavoro va accettato; poi un’altra prima, proprio Alceste, lo scrittore braccato che vuol raccontare solo l’effimero reale, convive con la calamita Ben e ne è (quasi) l’esatto opposto. Si tratta di sensate innovazioni narrative, coerenti con gli sviluppi della trama. Si susseguono dialoghi scoppiettanti e colpi di teatro, scene poetiche in luoghi tradizionali, situazioni drammatiche trattate con la consueta levità. La narrazione diverte proprio perché ha più livelli di lettura e di comprensione, del resto ognuno resta all’oscuro di una parte della propria vicenda umana. Anche chi non ricorda le vecchie storie scopre un grande autore, un’incantevole fantasia non ripetitiva. Cruciale è Verdun, la giudice muta Talvern, minuta sorella urlante di Ben, moglie di un enorme professore panettiere: “vivere significa passare il tempo a riempire i due piatti della bilancia”. Segnalo il manifesto dei rapitori, a pag. 152-153. E tante parole bretoni. Come di consueto, son sfaccettati i silenzi, pure saturi e logorroici. Il commissario in pensione Rabdomant sta scrivendo un libro sul Caso (l’errore giudiziario), se ne parla spesso; dunque questo è solo l’inizio, come si evince dal titolo francese (Le Cas Malaussène. I. Ils m’ont menti), dalla vignetta finale e dall’incerta spietata condizione di Lapietà.

Redazione
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