Barconi e suv – Alberto Prunetti

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Di questa cosa dei barconi ho i timpani pieni. Per l’insulto all’intelligenza. Per la logica che evapora col caldo estivo. Per la coazione a ripetere del senso comune, caricato a orologeria dai media. Dico io: vuoi lamentarti dei barconi che arrivano colmi di richiedenti asilo? Va bene, ma fallo in bicicletta. O a piedi. Non col culo sul sedile di un Suv, come ho sentito fare oggi a un tipo che caricava benzina dentro al suo fuoristrada. Diavolo, ma secondo te, perché la gente scappa dall’Iraq o dalla Libia, per sport? Scappano per permetterti di fare il pieno, settecervelli. A ogni pieno che fai, un barcone che viene. Per pompare olio, serve destabilizzare, colonizzare, sfollare. Allora si può pompare. E mettere un bel centone per arrivare alla prossima stazione di benzina, dove potrai continuare a lamentarti dei barconi. Evocandone altri a ogni pieno. Quindi non prendertela coi “buonisti”. Sono i cinici come te quelli che tengono alta la domanda della merce che costringe la gente a mettersi nelle mani dei trafficanti. “A casa loro!”. Certo, ci starebbero volentieri, ma ci sono le macerie a casa loro, perché a casa tua serve il gas e alla tua auto il petrolio. Ovvero serve che quelli dell’Isis, “nemici dell’Occidente”, possano rivenderci i loro ottani di fondamentalismo a buon mercato.
Oh, intendiamoci: vale per tutti. Mica solo per il genio col Suv che ho visto oggi. Vale per chi prende i voli intercontinentali come per chi viaggia in low cost. Io che scrivo, mica posso chiamarmi fuori solo perché c’è scritto natural power sulla mia auto. Combustibili fossili e gas: in nome di quelle due cose li, che stanno alla base della nostra civiltà, alimentiamo continuamente conflitti che poi creano persecuzioni, sfollati e richieste d’asilo.
Certo, se uno evitasse di inalare il benzene alla pompa della benzina, avrebbe la lucidità di non sparare idiozie sui migranti dal pradellino di un rottame ciuccia-benzina. Quanto a chi riconosce il legame tra petrolio e barconi, ha due alternative: o predicare il diritto delle persone alla fuga e alla mobilità, auspicando l’abolizione di ogni frontiera; oppure sostenere la priorità dell’olio combustibile sulla vita degli umani che abitano sopra i pozzi. In altre parole: o rivendicare la solidarietà e l’accoglienza, o salutare con un fascistissimo “me-ne-frego” i profughi delle guerre del petrolio, vittime collaterali dei propri pieni. Non ci sono scuse. Ogni cento chilometri, c’è qualcuno che scappa a piedi per farci correre sui cavalli a pistoni d’acciaio. Per ogni vacanza, c’è qualcuno che in Asia o in Africa perde un tetto. Non sto facendo la morale, non dico che è bene o male (è male, malissimo, in realtà). Ma adesso vi dico solo: prendetene atto. E’ una questione di logica.
Domanda: perché la gente fatica a provare compassione per i profughi?
Risposta: Non lo so. Forse perché viviamo in società individualiste, prive di legami che si estendono oltre quelli del nucleo familiare. Perché cresciamo in mondi digitali, dove non c’è spazio per gli abbracci. A dire il vero, non lo capisco, perché io so che i Suv non provano compassione, ma gli umani si. Forse, amando troppo le merci, non si prova affetto per le persone. No so.
Mi viene in mente che chi va in giro col Suv per una città è gente che vive in guerra. In guerra contro la miseria e i poveri. E per questa guerra avrà le sue buone ragioni. Magari quel conducente di Suv che ho visto io aveva il nonno proletario e teme di cascare lui stesso nella miseria. Combatte la guerra contro la proletarizzazione corazzato col Suv. E’ un’armatura che serve a esorcizzare il fantasma della miseria.
Un fantasma che fa paura.
Uno spettro che si agita per l’Europa.
La civiltà capitalista aveva promesso, dopo il crollo del muro di Berlino, una classe media post-ideologica che avrebbe vissuto di agi e benessere. E invece ci si ritrova col vecchio schema di gioco: ancora pochi ricchi contro tanti poveri.
I poveri hanno la speranza, la solidarietà e la determinazione; i ricchi il potere e il monopolio legale della violenza.
E chi sta nel mezzo spara stronzate al distributore, seduto su un Suv pronto a far ruggire.
da qui
redaz
una teoria che mi pare interessante, quella della confederazione delle anime. Mi racconti questa teoria, disse Pereira. Ebbene, disse il dottor Cardoso, credere di essere 'uno' che fa parte a sé, staccato dalla incommensurabile pluralità dei propri io, rappresenta un'illusione, peraltro ingenua, di un'unica anima di tradizione cristiana, il dottor Ribot e il dottor Janet vedono la personalità come una confederazione di varie anime, perché noi abbiamo varie anime dentro di noi, nevvero, una confederazione che si pone sotto il controllo di un io egemone.

Un commento

  • Condivisibile e sottoscrivibile parola per parola, lo penso da tanto e lo ripeto con una certa frequenza. Da noi il problema non è la povertà. Non quella di denaro, almeno.

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