Baudrillard e il consumatore-consumat(t)o

di Chief Joseph

Il 27 luglio 1929 nasce a Reims il sociologo-filosofo Jean Baudrillard. Innumerevoli e indimenticabili le sue pubblicazioni: da “Il sistema degli oggetti” a “Il sogno della merce”, passando per “Dimenticare Focault”, “Della seduzione”, “Il delitto perfetto. La televisione ha ucciso la realtà?”, “America” concludendo conL’illusione dell’immortalità”. Di seguito propongo alcune riflessioni relative al suo profetico libro “La società dei consumi”.

LA MENTALITÁ CONSUMATRICE

Nella società dei consumi, la mentalità consumatrice è qualcosa di “magico” che non ha nessun legame razionale con la produzione e con la fatica per ottenere un prodotto. Per rendere più comprensibile il concetto si può citare l’esempio degli indigeni della Melanesia, i quali, vedendo gli aerei passare nel cielo senza mai fermarsi, costruiscono, con rami e liane, simulacri di aereo nella speranza che l’aereo vi si posi. Nello stesso modo l’individuo della Società dei consumi compra una serie di oggetti e di beni non tanto perché essi tendono a soddisfare un determinato bisogno, ma perché il loro possesso costituisce un “segno” e attraverso l’accumulazione di segni si raggiungerà la “felicità”. Che la mentalità consumatrice sia una pratica fantastica è anche dimostrato dal fatto che le nuove generazioni non ereditano solamente i beni ma anche il diritto naturale all’abbondanza. E anche in questo atteggiamento l’uomo civile risulta simile ai melanesiani, i quali sono convinti di vivere nella povertà perché l’uomo bianco riesce a bloccare i carichi di beni che sono loro inviati da antenati ritiratisi ai confini del mondo. Una volta vinta la magia dei bianchi anch’essi vivranno nella ricchezza e nell’abbondanza. Questo esempio non deve però far dimenticare che nella nostra società esiste una logica produttiva (una strategia economica e politica) della quale deriva una logica del consumo (accumulazione di segni). L’accumulazione di segni, nella logica dei consumi, diventa estremamente importante. Infatti la pratica dei segni – o chiamateli sogni, se preferite – dal pensiero magico e dalla magia in poi, appare ambivalente, nel senso che fa sorgere qualcosa per procurare ciò che serve ed evoca la stessa cosa per negarla. In altre parole: il consumo di immagini, di fatti e di informazioni tende a scongiurare la realtà evocando la realtà stessa. Il fatto che attualmente i mezzi di comunicazione di massa in generale, i social e la Tv in particolare, tendano a ricercare il fatto “reale”, la narrazione cruda non implica una partecipazione alla situazione “illustrata” (se non da un punto di vista essenzialmente emotivo); significa più semplicemente che, in un’ottica miracolistica, si pensa di essere dove di fatto non si è. Davanti a un schermo non si consuma tanto il messaggio trasmesso quanto la quiete quotidiana, il lavoro monotono, le frustrazioni che rischierebbero di esplodere se i media non ci creassero l’alibi presentando fatti e situazioni spettacolari. La prassi del consumo può essere cosi definita: “La relazione del consumatore col mondo reale non è quella dell’interesse, della partecipazione, ma neanche quella dell’indifferenza, è semplicemente quella della curiosità”. (1) “Quindi il consumo non implica conoscenza, ma neanche ignoranza, semplicemente disconoscimento, perché esso (il consumo) dà della massima esclusione dal mondo, l’indice massimo di sicurezza”. (2)

IL BISOGNO FELICITÁ

Ogni discorso sui bisogni si basa sulla propensione naturale alla felicità; si tratta però di un tipo di felicita atipico (non si prende in considerazione la felicità filosofica che l’individuo realizza per se stesso). Siventa sinonimo di “eguaglianza”. In questo modo si sfrutta la propensione naturale di ognuno a migliorare la propria posizione sociale. Questa eguaglianza deve essere misurata attraverso i beni che un individuo possiede e tali oggetti rappresentano segni nella stratificazione sociale: più oggetti si possiedono (e quindi più segni) maggiiri possibilità si hanno di raggiungere la felicità. In questo modo si concretizza il concetto della “democrazia della posizione sociale”. Questo significa che tutti gli umani sono uguali (potenzialmente) perché da un determinato oggetto ottengono lo stesso tipo di soddisfazione (valore d’uso), sono disuguali riguardo la diversa capacità di acquisto (valore di scambio). Da questa affermazione si potrebbe dedurre che la società dei consumi tende a una eguaglianza completa fra tutti gli uomini, infatti basterà aumentare il numero dei beni per realizzare una società perfetta. Quindi la crescita (sviluppo) è abbondanza e quest’ultima diviene sinonimo di democrazia. Ovviamente la realtà non è così semplice: infatti non si riesce a capire come mai nelle stesse società dell’abbondanza per eccellenza, come gli USA, esista sempre la povertà, in percentuale anche elevata e nonostante gli sforzi fatti non si è ancora riusciti a sconfiggerla. Si possono dare due tipi di spiegazioni: a) la povertà è dovuta a disfunzioni del sistema: ad esempio la priorità alle spese militari; b) essa non è dovuta a disfunzioni ma risulta direttamente proporzionale. Questa seconda ipotesi è probabilmente la più verosimile anche in relazione a un approfondito esame delle società occidentali. Infatti le cifre della società dell’abbondanza ci vengono sempre date a livello globale o divise in parti uguali senza tener conto delle sperequazioni che esistono. Ad esempio, fra i Paesi industrializzati e quelli del terzo mondo; oppure, all’interno della stessa nazione, fra l’aumento dei prezzi e la perdita di velocità dei salari

IL TASSO DI DISTORSIONE

Esiste un processo di distorsione connaturale al sistema che impedisce la realizzazione dell’eguaglianza. Il tipo di società che stiamo prendendo in esame produce infatti – qualsiasi sia il volume assoluto della ricchezza – una disuguaglianza non marginale ma sistematica. La società dei consumi si basa tanto su una eccedenza strutturale che dà il senso alla crescita e quindi alla stratificazione sociale (che possiamo immaginare come una scala alla quale viene continuamente segato l’ultimo gradino e aggiunto quello più in alto, in modo di creare l’illusione della salita mentre invece si sta fermi) perché questa eccedenza è sempre appannaggio di una ristretta minoranza, fuori dalla logica della stratificazione sociale. La società dei consumi viene così a essere un compromesso fra princìpi democratici di eguaglianza e la necessità di mantenere il privilegio e la stratificazione. Di conseguenza anche determinati obiettivi che la popolazione riesce a raggiungere devono essere inseriti in questa logica.

Occorre aggiungere che di fronte agli oggetti non esiste solo una discriminazione economica, ma una più radicale nel senso che solamente alcuni raggiungono una logica razionale e autonoma degli elementi dell’ambiente; la stragrande maggioranza degli individui rimane legata a pratiche magiche, alla valorizzazione dell’oggetto in quanto segno che serve per raggiungere qualcosa che non si riuscirà mai ad avere. È necessario ribadire che “il sistema si mantiene producendo funzionalmente, da un lato povertà, e dall’altro ricchezza, da un lato gratificazione e dall’altro frustrazioni…. per sopravvivere esso ha necessità di mantenere la società in perenne deficit”. (3)

La povertà quindi non è identificabile in gruppi o persone reali; la società non riesce a sconfiggerla proprio perché il terreno di lotta è ben diverso dal luogo in cui si manifesta. È come spendere denaro per curare una forma di foruncolosi senza rendersi conto che il male sta nel fegato. Il sistema sa bene dove si trovi effettivamente la povertà ma incidere su questi meccanismi significherebbe la sua distruzione. Il sistema privilegia la corsa agli armamenti per una questione di “sopravvivenza” e poi le spese militari sono più controllabili di quelle per l’educazione, come l’auto è maggiormente “controllabile” rispetto all’ospedale e la TV a colori “rende di più” del parco giochi.

IL DIRITTO-PROGRESSO

Altro elemento importante da sottolineare è che la società dei consumi non assorbe solamente l’abbondanza ma anche gli svantaggi stessi. Attualmente infatti esistono nuove rarità, cose presenti un tempo in natura senza limitazioni: l’aria pura, lo spazio, il verde ecc. Questi vengono a rappresentare nuovi segni di segregazione e stratificazione sociale. Infatti “Il diritto all’aria pura significa la perdita dell’aria pura come bene naturale e il suo passaggio allo stato di, merce e la sua disuguale ridistribuzione sociale. Quindi non ha senso assumere un diritto (previsto per legge) come progresso sociale oggettivo ma come progresso del sistema capitalistico, cioè trasformazione di tutti i valori concreti e naturali in forma produttiva. In questo modo essi divengono fonti: 1) di profitto economico; 2) di privilegio sociale”. (4)

Dunque “il processo di consumo può essere analizzato sotto due aspetti: 1) in quanto processo di Significazione e Comunicazione, il sistema di scambio è l’equivalente del linguaggio; 2) in quanto processo di Classificazione e Differenziazione sociale, gli oggetti si ordinano come valore di status di una gerarchia. Quindi ii valore dell’oggetto non è legato al soddisfacimento del bisogno quanto al segno distintivo, ed è in questa direzione che vive la sua scelta il consumatore, il quale non si accorge della costrizione di differenziazione e di obbedienza ad un codice” (5).

Pubblicità

Vale ricordare due esempi di vecchie pubblicità.

“Per la presentazione di un vostro nuovo prodotto, per un cocktail, per un banchetto Cigahotels… Perché solo Cigahotels vi accoglie e vi ospita con una classe ritenuta unica. Perché Cigahotels è la sola compagnia che annovera alberghi fra 10 migliori del mondo… Anche mia moglie è entusiasta di questo albergo proprio sull’Arno”.

“Scegliete il vostro Cutigena e provatelo sul viso: la sua schiuma morbida e cremosa non è quella di un sapone, ma di qualcosa che la vostra pelle non ha mai provato. Sarà la vostra pelle liscia e morbida a dirvi che differenza c’è fra Cutigena e tutti gli altri saponi”.

Queste due pubblicità mettono in gioco un prestigio che non ha nessun parametro comune, fra i due c’è di mezzo tutta in gerarchia sociale. Gli individui a cui si rivolgono sono profondamente diversi, una sola cosa li unisce: l’obbligo di differenziazione e di personalizzazione.

Il tema della personalizzazione è molto presente nella pubblicità. Dire “personalizzate voi stessi il vostro appartamento” significa implicitamente ammettere che non c’è più nessuna persona. È una persona che non c’è più che si vuole personalizzare; si cerca di ricostruire in astratto con la forza dei segni qualcosa che non esiste. È importante sottolineare che la pubblicità non fa mai appello a significati personali, bensì differenziali, marginali, combinatori.

Differenziarsi significa adottare un modello qualsiasi, qualificarsi in base a questo modello astratto, a una figura combinatoria di moda: quindi privarsi di ogni reale differenza che si manifesterebbe in modo conflittuale con gli altri e col mondo.

“Si instaura una profonda complicità fra il grande trust e il piccolo consumatore, fra la struttura monopolistica della produzione e quella individualistica del consumo poiché le differenze consumate di cui si nutre l’individuo è uno dei settori chiave della produzione generalizzata. Si ricerca quindi la minima differenza qualitativa per mezzo della quale si evidenziano lo stile e lo status” (6)

Il sistema non gioca mai su differenze reali, tende invece a eliminarle per sostituirvi la forma differenziale commercializzabile, come segno distintivo.

Il narcisismo

Altro fenomeno presente in grande misura nella società dei consumi è il narcisismo. L’individuo è invitato a piacersi perché piacendo a se stesso ha la possibilità di piacere agli altri. Ed è soprattutto alle donne che viene rivolto l’invito alla compiacenza. Questa pressione si esercita su di loro attraverso il mito della donna come modello collettivo e culturale di compiacimento. La femminilità deve essere funzionale e tutti i valori naturali di bellezza e/o sensualità scompaiono a vantaggio di valori esponenziali di naturalità, di erotismo, di “linea di aggressività”. Alla femminilità funzionale corrisponde le virilità funzionale. I due modelli non derivano le loro differenziazione dai sessi, ma dalla logica differenziale del sistema. Nel modello femminile si perpetua il valore per procura. La donna è impegnata a gratificarsi solamente per entrare meglio nel suo ruolo di “oggetto competizione” nella concorrenza maschile. Risulta in competizione solamente per piacere agli uomini. Nel modello maschile la scelta è diametralmente opposta con “l’uomo che non deve chiedere mai”. Quindi si può affermare che in materia di consumo le scelte non sono un perfezionamento delle facoltà umane (capaci di stabilire rapporti coscienti e consapevoli fra l’individuo e l’oggetto) ma diventano una scorciatoia per entrare vantaggiosamente in rapporto con gli altri.

NOTE

(1) e (2) Jean Baudrillard “La società dei consumi” Il Mulino : pag. 31

(3) pag. 65

(4)(5) pag.72

(6) pag. 117.

La “bottega” segnala comune-info.net/riscoprire-baurdrillard di Gloria Germani: ovvero Serge Latouche invita a rileggere Jean Baudrillard come precursore della decrescita

MA COSA SONO LE «SCOR-DATE»? NOTA PER CHI CAPITASSE QUI SOLTANTO ADESSO.

Per «scor-data» qui in “bottega” si intende il rimando a una persona o a un evento che il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna deformano, rammentano “a rovescio” o cancellano; a volte i temi possono essere più leggeri ché ogni tanto sorridere non fa male, anzi. Ovviamente assai diversi gli stili e le scelte per raccontare; a volte post brevi e magari solo un titolo, una citazione, una foto, un disegno. Comunque un gran lavoro. E si può fare meglio, specie se il nostro “collettivo di lavoro” si allargherà. Vi sentite chiamate/i “in causa”? Proprio così, questo è un bando di arruolamento nel nostro disarmato esercituccio. Grazie in anticipo a chi collaborerà, commenterà, linkerà, correggerà i nostri errori sempre possibili, segnalerà qualcun/qualcosa … o anche solo ci leggerà.

La redazione – abbastanza ballerina – della bottega

 

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danieleB
Un piede nel mondo cosiddetto reale (dove ha fatto il giornalista, vive a Imola con Tiziana, ha un figlio di nome Jan) e un altro piede in quella che di solito si chiama fantascienza (ne ha scritto con Riccardo Mancini e Raffaele Mantegazza). Con il terzo e il quarto piede salta dal reale al fantastico: laboratori, giochi, letture sceniche. Potete trovarlo su pkdick@fastmail.it oppure a casa, allo 0542 29945; non usa il cellulare perché il suo guru, il suo psicologo, il suo estetista (e l’ornitorinco che sonnecchia in lui) hanno deciso che poteva nuocergli. Ha un simpatico omonimo che vive a Bologna. Spesso i due vengono confusi, è divertente per entrambi. Per entrambi funziona l’anagramma “ride bene a librai” (ma anche “erba, nidi e alberi” non è malaccio).

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