Bernardino Ramazzini: la medicina del lavoro fra…

il suo genio e gli ipocriti (o peggio) di oggi

di Vito Totire

Nell’era dello smart working e dei riders possiamo sempre dirci ramazziniani

Pochi giorni prima dell’anniversario della nascita (il 4 ottobre 1633) di Bernardino Ramazzini un evento catastrofico verificatosi a Carpi fa meditare su quanto la sua opera e il suo insegnamento siano stati trascurati. Pluricitato, ma quasi solo dai medici del lavoro, tuttavia non studiato a fondo, Ramazzini è considerato ed è il fondatore della “medicina del lavoro”, scienza eminentemente di carattere preventivo anche se spesso ha ceduto purtroppo il passo agli interventi del “giorno dopo” di tipo risarcitorio o “terapeutico”.

Difficile definire un profilo socio-politico compiuto di Ramazzini. Le notizie sul personaggio sono scarne: il Dizionario generale di cultura di Augusto Brunacci – della Società editrice internazionale, 1928 – dice appena «Ramazzini (Bernardo) …di Carpi morto a Padova 1714. Oltre molte opere di medicina scrisse un centone latino con versi di Virgilio intitolato De bello siculo, dedicato a Luigi XIV».

A parte l’omaggio al “re sole” , difficile da decodificare, Ramazzini parte da una intuizione geniale, possiamo dire anticipatrice dell’Illuminismo nonchè materialistica. In un momento storico in cui la malattia è da molti considerata una calamità di origine ignota e difficile da gestire – se non con il ricorso alla protezione della divinità (i suoi rappresentanti in terra che potevano essere anche i monarchi; ricordiamo la “favola” dei re francesi capaci di guarire la scrofola con la sola apposizione delle mani sul malato) – Ramazzini rompe con l’oscurantismo dell’epoca e individua nelle attività lavorative un importante fattore di rischio che può pregiudicare la speranza di vita e di salute degli “artigiani” (traduzione letterale dal latino “artificorum”) cioè del lavoratori. Non è solo una solidissima osservazione scientifica sulla eziologia, la questione ancora più “sorprendente” è che qualcuno rivolga, in maniera così forte e sistemica, la sua attenzione alla salute dei lavoratori. Forse è questa la maggiore rivoluzione culturale e politica di Ramazzini. Né, a proposito di sorpresa, possiamo dimenticare che ancora 150 anni dopo la morte di Ramazzini il clima predominante nella cultura medica europea causò l’ostracismo e l’internamento in manicomio di Semmelweis medico ungherese “reo” di aver scoperto (1847) la causa infettiva della strage di puerpere ben facilmente prevenibile con l’igiene delle mani.

Ramazzini prende in meticolosa rassegna tutti i profili professionali dell’epoca: dal “beccamorto” allo scrivano, al soldato di ventura, delineando tutti i possibili esiti delle attività lavorative sia sul piano fisico che su quello psicologico. E’ relativa ai mercenari svizzeri una delle sue più acute osservazioni: la umvehe, un sentimento di potente nostalgia (della casa, della pace domestica) si traduce in una condotta che gli «alienisti» dell’800 chiameranno catatonia; ma la catatonia, in battaglia, significa paralisi, esposizione al nemico e morte certa. Alle reazioni psico-traumatiche e alle depressioni dei soldati di ventura presta grande attenzione una recentissima mostra tenutasi nel cantone svizzero Nidvaldo che tuttavia – deduciamo dai commenti della stampa (Andrea Cionci su «Il Resto del Carlino») pare non aver citato questa antica osservazione di Ramazzini la quale richiama comunque alla mente un grande arco di fonti letterarie e scientifiche successive (da Erich Maria Remarque al DPTS cioè disturbo post-traumatico da stress di recente entrato nella nosografia della psichiatria “ufficiale” ).

Purtroppo – come è noto – dalla “semplice” sordità fino ai drammatici e devastanti tumori professionali le terapie possono poco e , a volte, nulla; la medicina del lavoro ha fortemente influenzato la strategia politica (purtroppo minoritaria dove vige la legge del profitto) fondata sul criterio“ è meglio prevenire che curare”.

Il messaggio di Ramazzini orientato alla conoscenza e alla prevenzione rimane dunque – dopo ben quattro secoli – la strada maestra. Solo nel 1994 l’analfabetismo opportunista dei padroni italiani ha cominciato a essere scalfito dall’obbligo di redigere la valutazione dei rischi, un documento scritto (DVR) che deve descrivere i rischi occupazionali individuando contestualmente le misure organizzative per eliminarli alla fonte o, se ciò non è tecnologicamente fattibile, per ridurli al minimo. L’obbligo era implicito nella attività imprenditoriale da sempre, fin dai tempi del “codice civile”. Successivamente, è stato più letteralmente esplicitato a partire dai decreti 303/1956 e 547/1955. Tuttavia la valutazione del rischio era di fatto aleatoria e poiché “verba volant sed scripta manent” dopo circa 300 anni dalla morte di Ramazzini il legislatore si è “ricordato” di introdurre l’obbligo di una valutazione scritta. Ma il primo precedente storico del DVR, oggi finalmente obbligatorio (pur se inevaso) è PROPRIO il trattato del medico carpigiano.

Cosa ci ispira l’opera di Ramazzini oggi?

Non hanno attinto molto alla sua opera quei sindaci di Carpi che hanno consentito che un “piccolo” tornado facesse volare via a distanza di kilometri (dicono le cronache) e come proiettili i frammenti di fibrocemento della copertura dell’Areoclub. Non basta patrocinare convegni alla memoria (bla-bla direbbe Greta): bisogna apprendere e operare, non limitarsi ai salamelecchi o ai pellegrinaggi alla tomba del maestro (seppellito in una chiesa di Padova).

Né si sono ispirati a Ramazzini i gestori dell’acqua “potabile” di Carpi che ha registrato il picco di fibre di amianto di tutta la regione Emilia-Romagna (se contate con la microscopia SEM; in TEM c’è di peggio…ma ne parleremo in un’altra occasione).

Avendo tempo e pazienza si potrebbe riscrivere un «De morbis artificorum diatriba» in chiave moderna/contemporanea … e non è escluso che lo si possa fare. Creare un file è facile e anzi – dietro la sollecitazione ci codesto blog – lo ho già fatto. Il filone di ricerca lo possiamo chiamare «Trattato delle malattie dei lavoratori nell’era dello smart working»: alle figure storiche e tradizionali del mondo del lavoro se ne stanno sostituendo altre inserite in contesti organizzativi sempre costrittivi ma spesso anche palesemente schiavistici.

Allora nel nuovo “Trattato” ramazziniano dobbiamo partire da quella trasformazione dell’organizzazione del lavoro che alcuni esperti (Barbetta, La città futura, 354 del 27.9.2021) definiscono “uberizzazione” e che è connotata da livelli di costrittività ed invasività del tempo di vita maggiori della organizzazione fordistica-tayloristica : dunque i riders, i lavoratori con partita Iva e dei call center, addetti alla logistica, autotrasportatori, immigrati in agricoltura, chi è sfruttato negli allevamenti bovini e nella macellazione, chi si ritrova nella cosiddetta gig-economy, perfino… gli addetti alla censura nel web (un’indagine riferisce che si tratti di una coorte di poche centinaia di persone a livello mondiale esposte però a un elevato rischio di DPTS in quanto, fra i loro compiti, c’è quello di “aiutare” gli algoritmi a tagliare immagini e contenuti “inaccettabili” che potrebbero offendere o sconvolgere gli utenti, dunque sono persone esposte anche a visioni estremamente disturbanti e anche cruente).

Su questi ultimi lavoratori (anche precari) verte un libro di Jacopo Franchi, «Gli obsoleti, il lavoro impossibile dei moderatori di contenuti», edito da Agenzia X. Ma ognuna delle attività prima citate è peraltro suscettibile di evolvere velocemente e comunque di indurre disagi sia nella sfera fisica che, forse più spesso, psichica. E pensiamo allo smart working, negato da organizzazioni lavorative autoritarie prima del covid e dilatatosi con l’epidemia; ma ora i lavoratori vengono richiamati all’ovile come pecorelle per essere re-incollati alla loro postazione poiché, evidentemente, le organizzazioni preferiscono il controllo fisico alle scelte di tipo ergonomico.

Come abbiamo scritto sopra, il pluricitato ma poco approfondito Ramazzini è stato pure “cavalcato” da tanti che potremmo definire propagatori di fake news ante litteram come un tale abate Chiari (una copia del libro è presente presso l’Archiginnasio di Bologna) che in una delle edizioni di primo ottocento del «Trattato» inserisce una sua personale e lunga premessa sull’uso “terapeutico” delle feci animali nella cura delle malattie umane. Non era ancora diffuso, all’epoca, il principio della “medicina basata sulle evidenze…” né era stato ancora fondato l’Istituto Cochrane…

Altri hanno adottato, coerentemente, l’immagine e la storia di Ramazzini proiettandola nel presente: in primis l’Istituto Ramazzini di Bologna fondato da Cesare Maltoni che lavora a cavallo delle contraddizioni del recente passato ancora in corso (amianto, cancerogeni occupazionali, glifosato ecc) e del futuro (5 G).

Insomma possiamo e dobbiamo dirci ramazziniani: dando continuità all’intuizione seicentesca del “maestro” ma aggiornandola con l’osservazione e lo studio degli “artefici” di oggi non «descrivendoli e catalogandoli» ma costruendo con loro i «gruppi omogenei» e usando gli storici criteri della “non delega” (ai tecnici) e della “validazione consensuale”. Solo così potremo sperare di raggiungere una condizione, per tutti, di «benessere lavorativo». Come ebbe a dire Primo Levi: «Se si escludono istanti prodigiosi e singoli che il destino ci può donare, l’amore per il proprio lavoro (che purtroppo è privilegio di pochi) costituisce la miglior approssimazione concreta delle felicità sulla terra».

Ma per amare il proprio lavoro, questo deve essere salubre per il fisico e per lo spirito consentendo a tutte e tutti di tornare ogni sera a casa, magari un po’ stanchi ma incolumi e persino di buon umore.

MA COSA SONO LE «SCOR-DATE»? NOTA PER CHI CAPITASSE QUI SOLTANTO ADESSO.

Per «scor-data» qui in “bottega” si intende il rimando a una persona o a un evento che il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna deformano, rammentano “a rovescio” o cancellano; a volte i temi possono essere più leggeri ché ogni tanto sorridere non fa male, anzi. Ovviamente assai diversi gli stili e le scelte per raccontare; a volte post brevi e magari solo un titolo, una citazione, una foto, un disegno. Comunque un gran lavoro. E si può fare meglio, specie se il nostro “collettivo di lavoro” si allargherà. Vi sentite chiamate/i “in causa”? Proprio così, questo è un bando di arruolamento nel nostro disarmato esercituccio. Grazie in anticipo a chi collaborerà, commenterà, linkerà, correggerà i nostri errori sempre possibili, segnalerà qualcun/qualcosa … o anche solo ci leggerà.

La redazione – abbastanza ballerina – della bottega

 

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

3 commenti

  • Mariano Rampini

    L’idea che possano esserci malattie riconducibili direttamente o indirettamente al tipo di lavoro svolto, all’ambiente in cui esso si svolge, così come rischi che andrebbero, quelli sì, prevenuti attraverso misure di contenimento che diventano di prevenzione quando abbattono – le percentuali sarebbero da individuare caso per caso o, meglio, settore produttivo per settore produttivo – è certamente brillante. Non fosse che arriva da un cittadino del mondo del 1600. Noi, nel nostro secolo, siamo stati capaci sia di dar vita a uno strumento come lo Statuto dei lavoratori (ahimè mai rinnovato rispetto alle nuove forme occupazionali, bensì emendato di articoli importantissimi come il 18) che a organismi che avrebbero il compito di vigilare sul rispetto delle norme antinfortunistiche o, comunque di prevenzione delle malattie correlabili al lavoro. Giusto ieri leggevo sulla “nostra” Bottega (mi perdoni Daniele questa minima appropriazione) delle difficoltà incontrate in Emilia Romagna (Regione storicamente all’avanguardia…già, storicamente…) per lo smaltimento di capannoni in Eternit. Allora viene immediato il pensiero: «di cosa stiamo parlando?» e la memoria si sposta ai fatti tragici che hanno costellato le cronache pressoché ogni giorno. Il problema, diciamocelo senza nasconderci dietro a nessun dito della mano, è quello dei controlli. Ma è anche quello di un Governo che promette rilanci (e quindi soldi più o meno a pioggia) ma non – è solo un esempio – sgravi fiscali per tutti gli imprenditori (classe variamente composita) che mettano in sicurezza i loro impianti di produzione. Così come non c’è alcun incentivo a un sistema di controlli: quante vite si sarebbero potute salvare se nelle fabbriche (più in quelle piccole ma anche in quelle grandi, Tissen ci ricorda qualcosa?) fossero regolarmente transitati ispettori obbligati a redigere rapporti precisi sul rispetto delle norme di sicurezza? Quanti sono gli ispettori a disposizione degli organismi preposti a questi compiti? Chi li organizza? Con quale frequenza vengono effettuati? Forse, e ripeto forse, rispondendo a queste domande si potrebbe diagnosticare con precisione un altro dei mali di un Paese stracolmo di leggi che pochissimi sono chiamati a far rispettare…

  • Valeria Taraborelli

    Per infortuni e morti sul lavoro siamo sempre i primi! Per quanto riguarda poi i geni che sono entrati nella storia della medicina per le loro scoperte, possiamo dire che oggi siamo ben lontani da quell’esempio e da quell’etica… Ricordiamo che Semmelweis morì in un modo atroce, infettandosi ed entrando in una lunga agonia. Oggi alla luce di conoscenze tecnologiche e super specializzate, non si riesce a contenere una pandemia, perché all’opposto di un tempo, la medicina nel suo stato dell ‘arte, ancora non è per tutti…

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