Sgomberate Bologna dai sogni

Lo so, non dovrei cominciare un articolo (tanto meno una recensione) con fatti così personali: sono un pessimo giornalista e un ottimo “bastian contrario”… Perciò non resisto. Nel regalarmi il libro «Berretta rossa» ovvero «storie di Bologna attraverso i centri sociali», i due autori mi hanno scritto a mo’ di dedica: «La nostra forza è la forza dei sogni. Per questo non potranno fermarci … mai».

Gli sciagurati che sognano si chiamano Serafino D’Onofrio (uno sporco terrone) e Valerio Monteventi (bolognese ma rugbista, comunista e operaio, insomma un tipaccio). Il loro libro è edito da Pendragon e costa 16 euri per 230 pagine. Secondo me merita di esser letto. Oltretutto è pure scritto bene, fa sorridere o “raspare” in gola nei punti giusti.

Attenzione a quel plurale – «storie» – del sottotitolo. I due tipacci non hanno voluto fare la «storia» (singolare) di Bologna attraverso i centri sociali, che pure sarebbe stato interessante. Per questo quasi mai ci sono i nomi veri dei protagonisti e delle protagoniste – anche se chiunque frequenti Bologna ne identifica un bel po’ – e per questo non ci sono spiegazioni o cronologie (e infatti chiunque abbia poniamo 20 anni o abiti in altre parti d’Italia in certi momenti non capisce di chi si parli o in che anno si navighi… ma è poco importante in questo tipo di libro).

Nel recensire «Berretta rossa», in pagina bolognese, un cronista di «L’unità» ha esordito con un virgolettato: «libro controindicato per i politici dei palazzi che non hanno mai capito niente dei centri sociali». Vero… a metà. Perchè da tutto il libro emerge che a non comprendere nulla dei centri sociali è la cultura produttivista e perbenista del “picista” (ora “pidduino”) medio. Che per esorcizzare il mostro si inventa che lì dentro circolano «bibite drogate» e via delirando.

E’ una storia di occupazioni, di sgomberi (specialmente ad agosto) e di ri-occupazioni, di accordi traditi (dalle amministrazioni), di campagne martellanti (in testa neanche a dirlo «Il resto del Carlino» ma anche il neo-arrivato «Repubblica» ci mette del suo) con scarsità di argomenti e notizie ma larghezza di bugie e calunnie. Articoli già scritti prima dei fatti, uguali oggi come 30 anni fa. Come spesso accade la menzogna più grande (“hanno sottratto alla città uno spazio pubblico”) si accompagna all’omissione più sfacciata. Menzogna perchè quei luoghi occupati erano 99 volte su 100 abbandonati, a volte da decenni, e omissione perchè 95 volte su 100 dopo gli sgomberi nessuno (pubblico o privato) ha utilizzato quei luoghi che naturalmente sono ben murati per evitare che collettivi o singoli abbiano la tentazione di ri-prenderli. Non ricordo più chi (forse Rudi Ghedini) quando alle elezioni il Pci-Pds-Pd fu sconfitto a Bologna da un oscuro Guazzaloca spiegò che era sbagliato dire “la sinistra ha perso a Bologna”, è il contrario: da molto tempo “Bologna ha perso la sinistra”.

Succede così – sgomberi, sgomberi e sgomberi – anche fuori da questa città? Sì, quasi ovunque. Amministrazioni cieche e bugiarde da Forlì a Milano, da l Veneto leghista a Torino e a Firenze dove mi pare che il partito al potere si chiami Coop. Succede anche fuori d’Italia? Non sempre. Ci sono città (in Germania e in Olanda, un po’ meno ma anche altrove) dove se ragazze/i – o magari adulti, vecchi, immigrati o che ne so – occupano un luogo abbandonato e degradato, poi vanno in Comune a raccontare il loro progetto, beh… trovano “politici” che li ascoltano, discutono, valutano e poi , a volte(nelle forme più varie) stabiliscono convenzioni e/o assicurano finanziamenti. A volte l’amministrazione pubblica ringrazia gli occupanti. O li premia. Come avrebbe dovuto fare nel ’95 l’allora sindaco di Bologna quando venne “resuscitato” in via Irnerio (nel centro della città) il luogo che si sarebbe chiamato Tpo, teatro polivalente occupato e che tuttora r-esiste… ma in un altro luogo. Consiglio chi magari è appassionato di cis, ovvero comportamenti istituzionali demenziali ,di leggersi bene questa storia che, ma guarda tu le coincidenze, si snoda da pag 90 («la paura» nella Smorfia) a pag 113 (il pronto intervento) di «Berretta rossa».

Da una trentina d’anni, in pratica dall’inaugurazione, il teatro dell’Accademia di belle lettere (un gioiello, opera di Farpi Vignoli) è abbandonato. Per ragioni misteriose – si parla di “sfiga” – e che nessuno chiarirà mai. Il 5 novembre 1995 studenti e studentesse dell’Accademia e alcuni collettivi (teatrali e culturali) occupano quello spazio, lo liberano di ragnatele e topi, iniziano ad aggiustare – a loro spese – i danni della mancata manutenzione. Nonostante il freddo e le difficoltà tecniche iniziano subito a offrire gratuitamente alla città spettacoli, concerti e laboratori. Come finì? Con sindaco e «Resto del Carlino» uniti nel coro “salviamo la città dai barbari, restituiamo il bel teatro di via Irnerio ai cittadini”. La tenacia dei collettivi strappò un altro luogo per cui il Tpo r-esiste ma quel bel teatrino in via Irnerio ora è…. utilizzato come magazzino di gessi. Cioè chiuso. Se la parola schifo vi pare troppo poco cercatene voi un’altra.

Ho riassunto i punti salienti della vicenda Tpo ma davvero bisogna leggerlo bene quel capitolo per capire fino a che punto può arrivare l’idiozia di chi amministra una città che si vanta di una “cultura” che… è quasi solo un ricordo del passato.

Tutte le altre vicende qui raccontate – dal Beretta Rossa, a Isola nel Kantiere, a Livello 57, a Crash (record di sgomberi), a Vag-61, a Xm24 (unico luogo in città dove è possibile trovare cibo biologico a prezzi accessibili, devastato da una perquisizione poliziesca avvenuta …. “per errore”, cioè «uno scambio di numeri civici» racconteranno) eccetera – hanno in comune solo la chiusura delle istituzioni da una parte e dall’altra la voglia indomabile di cercare e di esigere spazi “non omologati”; per il resto sono storie molto diverse fra loro, alcune più politiche e altre magari viziate da snobismi.

Nella prefazione Valerio Evagelisti spiega che dalle parti dei centri sociali gira una «fraternità», una «solidarietà» (parole fuori moda, vero?) difficili da trovare altrove. E che questo “sentire comune” è ancor più stupefacente sapendo che talvolta – per differenti scelte politiche o se volete per stupidità – in quei centi sociali si è litigato ferocemente o fatto a mazzate… «E’ questa solidarietà duratura la forza autentica dei centri sociali» conclude Evangelisti: «andatelo a spiegare a un ex piccista, ora pidduino, non capirà una parola»

Confermo. Una volta ho “testato” (a tradimento) un dozzina tra funzionari  e dirigenti del partito emilian-romagnolo. Se si parla di sfruttamento e ingiustizia, dunque di lotte e uguaglianza, non capiscono una parola. Del resto fanno scena muta anche se si chiede loro come funzionano le banche o la Borsa, chi specula sulle arance, perchè in fabbrica si muore o di spiegare le differenze fra Tunisia, Algeria e Marocco. Se per scrupolo chiedi loro un documento “congressuale”, un programma elettorale… i più non sanno se esiste e in caso dove potresti leggerlo. Rovistando in un cassetto un tipo molto gentile trovò gli atti di un congresso sui problemi “della vallata”. Una volta c’erano le Frattocchie dove il partito faceva studiare i “quadri”. Adesso se va bene leggono «Repubblica» ma i migliori sono comunque premiati con un corso a Milano: lì imparano a vestirsi e a parlare in pubblico. E non sto scherzando.

In una città – Faenza – non lontana da Bologna e in mano allo stesso partito, c’è il centro sociale Fuorilinea; appena si esce una scritta ricorda: «Mondo esterno, consumazione obbligatoria». Invece a due ore da Bologna, dove comandano Moratti e la Lega (ma sui centri sociali hanno le stesse pratiche del Pci-Pd) nei tanti traslochi del Leoncavallo, forse il centro sociale più famoso d’Italia, ha resistito – pur cambiando colore e formato – questa frase: «Per conquistare un futuro bisogna prima sognarlo». Se passate da questo blog magari avrete notato che è la frase d’apertura. Non si tratta di una coincidenza. La forza dei sogni.

Una nota (mica tanto breve) per chi ogni tanto passa su codesto blog.

C’è stato, tempo fa, su codesto blog un chiarimento fra Gianluca e Gino a proposito di una frase “acida” del primo contro i centri sociali.

Ha scritto Gianluca di “un pensiero scisso”. Una sorta di (suo e non solo suo) amore-odio verso i centri sociali. Ovvero: «Perchè intanto, a differenza dei partiti del novecento, esistono ancora ed esprimono sui temi del dibattito attuale posizioni a cui mi sento vicino. Sull’acqua ad esempio, almeno a Roma, hanno fatto un gran lavoro, penso si possa dire senza esitazioni che se oggi passa un po’ d’informazione corretta contro la privatizzazione è anche merito loro. Mi è capitato spesso però di trovarmi a proporre iniziative, sempre per l’informazione di cui mi occupo, che mai sono andate a buon fine. Prima ho dovuto subire esami per valutare la presenza di globuli di sinistra nel mio sangue. Poi ho assistito ad amplissime discussioni sul come del perchè del se e del ma del come del con chi e soprattutto del contro chi. Di seguito mesi di riunioni a vuoto. Fino al vaffanculo, mio, finale, perchè il dibattere a vuoto più preoccupati di non venir meno alle sacre idee (ma quali poi, c’è un questionario di sinistraggine come i quiz per la patente?) porta solo all’immobilismo e non è questo tempo di star fermi. A Roma i centri sociali negli anni ’90 hanno accettato un compromesso con il comune, c’era Rutelli, per utilizzare indisturbati gli spazi occupati. Un compromesso che io ho ritenuto accettabile perchè garantiva una possibilità di movimento in più. Ma quando sono gli altri ad accettare compromessi per lo stesso motivo, per esempio utilizzare i programmi dell’Unione Europea per sviluppare progetti, dai centri sociali proviene solo lo sdegno e la condanna per la collusione col nemico capitalista. Allora bisogna capirsi: o i centri sociali esprimono al loro interno una dinamica da città autogestita dove anche gli altri di sinistra sono stranieri o si decidono a comprendere che il diritto di cittadinanza a sinistra e il bollino rosso non sono certo loro ad assegnarlo. Altrimenti si rischia di essere ipocriti e poco credibili col mondo. La democrazia nella gestione dei centri sociali è tema che non mi riguarda perchè non ne faccio parte. Ma rimango convinto che i mezzi per portare avanti le iniziative non possano essere disuniti dai fini in vista di un obiettivo “supremo”. Per cui ritengo i centri sociali vittime della stessa crisi d’idee e creatività che colpisce la sinistra intera, non riesco a salvarli rispetto agli stessi partiti che contestano anche loro. Ho dovuto schematizzare molto, spero almeno di essermi fatto comprendere».

Ritengo che in molte città (ma io potrei parlare, con vera conoscenza, al massimo di 2, forse 3) il pensiero “scisso” di Gianluca sia condiviso non solo da un certo numero di “vecchietti” come noi ma anche da persone più giovani. E un’altra critica pesante si potrebbe aggiungere a certi (pochi?) centri sociali in alcune (poche?) città. Un uso molto disinvolto del denaro … che pure, in taluni di questi luoghi, gira in notevoli quantità… non fosse che per le birre vendute ai concerti. Rimando a qualche passaggio rivelatore in una ricerca, ormai vecchia (2001) di Renato Curcio e Maria Rita Prette, nata in collaborazione con Mag-4 e Mag-6, pubblicata da Sensibili alle foglie: si intitolava “Il denaro come se la gente contasse qualcosa: percorsi e interrogativi su una finanza critica” (se volete saperne di più andate su  http://www.libreriasensibiliallefoglie.com/ ).

Per quante critiche però si possano motivatamente fare (in generale o caso per caso) e per quante “brutte storie” si trovino anche in questi luoghi di aggregazione, secondo me resta una valutazione positiva complessiva: non solo per il lavoro sociale, informativo, culturale e talvolta politico portato avanti in molti di questi spazi ma per la loro esistenza in sè, per coltivare e incoraggiare la ribellione contro l’ordine degli zombies che domina le città. Come dice una maglietta (“t-shirt” se amate la coca-colonizzazione del linguaggio) assai diffusa: «Non ci avrete mai come volete voi». E’ poco ma è già qualcosa. Certo – direbbe Valerio Evangelisti- «andatelo a spiegare a un ex piccista, ora pidduino, non capirà una parola».


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