«Bird Lives!»

Pensierini parkeriani di Franco Minganti nel giorno del centenario

Non mi risulta che sia mai stata trovata la “pistola fumante” ovvero non credo esista la documentazione fotografica dell’originale di quella scritta Bird Lives! comparsa sui muri del Greenwich Village di New York alla notizia della scomparsa di Charlie Parker nella primavera 1955. Potrei sempre sbagliarmi, però. Quella dichiarazione esclamativa, quello slogan, quel messaggio era poi stato subito replicato – un meme diffusosi viralmente, declameremmo oggi – e vergato da altre mani in mille luoghi diversi dell’America.

Ho conosciuto Ted Joans a New York nel maggio 1994, in occasione del convegno monstre che sdoganò la BG – la Beat Generation – per il mondo accademico ufficiale, statunitense e non, un vero e proprio scippo che la New York University (NYU) perpetrava ai danni degli illustri vicini della Columbia, con buone ragioni definibile come la culla del primo nucleo di sodali aspiranti letterati e devianti urbani che rizomaticamente avrebbe dato vita a ondate successive di poeti e intellettuali.

Joans era stato tirato per la giacca in quel consesso – tardivamente – a ribadire quanto andava dicendo da tempo, ovvero che la BG aveva anche un’anima tutta nera, fatta soprattutto di ritmi, vibrazioni e pratiche culturali decisamente afroamericane e che erano stati in tre a far swingare il movimento e l’America tutta: Leroi Jones (all’epoca non ancora Amiri Baraka), Philip Kaufman e lui stesso.

Ero a New York anche per organizzare la manifestazione battezzata – con troppa fantasia? – “Beat Generation”, che avrebbe portato a Cesena, nel settembre di quello stesso anno, nomi ben noti agli appassionati come David Meltzer, i Fugs, Steve Lacy, Ed Sanders, John Giorno, Fred McDarrah, riuniti in un cartellone lungo un mese fatto di concerti, performances poetiche, mostre fotografiche e rassegne di libri, conferenze e incontri con critici e autori, proiezioni di film e materiali vari. Franco Dell’Amore ed io ci eravamo assicurati anche la presenza di Ted Joans, il cui nome figurava sui manifesti del programma e nel libro-catalogo che avevo approntato per l’occasione.

Indisponibile Baraka, forse non particolarmente ansioso di venir confinato entro le strettezze di un’affiliazione mai dichiarata alla BG (avrei avuto modo poi di incontrarlo al Festival della Letteratura di Mantova e di invitarlo a Bologna nel pieno fulgore della sua poetica) avevo pensato bene di coinvolgere Joans proprio per quel suo ruolo da “early Black Beat”. Da una sua poesia, intitolata «I, too, at the beginning», il cui testo avevo poi inserito in catalogo, avevo appreso che era stato lui l’autore della scritta Bird Lives! – «It was me/myself/and I who created the original BIRD LIVES» – e il primo motore della sua disseminazione, poi vissuta di vita propria. Era un ospite più che appropriato per intavolare un dibattito su jazz e poesia, lui che aveva abitato per qualche tempo proprio con Parker, lì a New York, e che amava leggere le proprie poesie accompagnato dai jazzisti. Fatto sta che a Cesena, per un motivo o per un altro, Joans non è mai arrivato, preferendole forse Parigi, dove saltuariamente risiedeva.

Se l’Ur-graffito originale non esiste più, pure Joans – che ha legittimamente cercato di far fruttare certi dettagli della propria biografia – si è più volte peritato di replicare e rimettere in scena l’atto creativo e fondativo della mitologia parkeriana. Eccolo qua alle prese con una performance in tal senso che ha avuto luogo in Germania nel 1981… se ci fidiamo, siamo in presenza della cosa più vicina all’originale.

O almeno così Joans prometteva. Ovviamente il meme è comparso nel mondo e compare in rete in un’infinità di variazioni graffitate su muri e selciati, magari ritoccato da abili grafici per aumentarne il sapore vernacolare e accreditarlo come la stele di Rosetta del graffitismo mondiale, magari insieme con il ben più datato «Kilroy was here».

Quello che invece ho appreso da poco è che nel 1958 Ted Joans, artista dalle interessanti potenzialità artistico-multidisciplinari, ha dedicato a Charlie Parker uno dei suoi quadri, conservato al Fine Arts Museum di San Francisco. Eccolo qua, per dovere di cronaca e per chiudere questi pensierini su un’immagine probabilmente tra le meno frequentate nel rutilante centenario parkeriano.

Happy Anniversary, Charlie!

 

PS Visto che continua a sfuggire ai più, se c’è un film che, da solo, incarna al meglio un’ipotetica figura parkeriana nel contesto della New York degli anni cinquanta, andate a cercarvi Sweet Love, Bitter, diretto (nel 1967)  da Herbert Danska e liberamente ispirato al romanzo Night Song di John Williams, a sua volta liberamente ispirato alla figura di Bird. La colonna sonora è firmata da Mal Waldron. La mossa vincente fu quella di far interpretare il ruolo del protagonista a Dick Gregory, un comedian molto noto, qui al suo unico ruolo cinematografico. Una interpretazione molto convincente, soprattutto per aver offerto anche un coté di humor e una performance orale scandita dalle ritmiche jazzate del vernacolo afroamericano.
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