Boccaccesca2

Pistolina

di Mauro Antonio Miglieruolo

Il giorno in cui seppi di Pistolina, che aveva deciso di venire ad abitare a Lapide, presi la più grande cantonata della mia vita. Un vero disastro, disdetta e vergogna caddero su di me. Perché in effetti commisi uno di quegli sbagli di valutazione che hai comuni mortali capitano sì e no un paio nella vita; mentre io ero già all’ennesimo, e altri nel di poi della vicenda quando tutto fu chiarito (e per niente aggiustato). Uno sbaglio di quelli, per intenderci, che capitano solo agli entusiasti un po’ carogna del mio calibro.

A mia parziale giustificazione ho da opporre che i guai provenivano dal Pianeta Madre e si sa, tutto ciò che proviene dalla Terra è eccellente per definizione: nessun vero spaziale, dopo migliaia di anni di espansione della Via Lattea, ha dimenticato le origini ancestrali; nessuno ha veramente tagliato il cordone ombelicale con Sol Tre…

L’urto del primo contatto fu tremendo. Mi portò nell’immediato a considerare sconsiderare che potevo diventare il più felice degli uomini sul più fortunato dei pianeti. Lapide, colonia dello sprofondo, di là da ogni ragionevole distanza dalle rotte principali del commercio galattico e che però aveva ricevuto la grazia di poter accogliere Pistolina, bella tra le belle, alta superdotata flessuosa incedere felino, tutta tette tutta cosce tutta zinne (sembrava fatta col compasso, sembrava), un colpo di culo di quelli che capitano una volta ogni dieci civiltà. E quel colpo di culo, fortuna nella fortuna, a Lapide era capitato proprio mentre ero io il Facilitatore dei loro stivali. Cosicchè, se giocavo bene le mie carte, in quanto Facilitatore, avevo altissime possibilità di accasarmi con la tipa.

Naturalmente mi mossi subito, ciecamente e da ottenebrato, sapete come si dice,no? Che tira più eccetera… insomma, appena il tempo di vederla e, napoleonico come inclino a essere, deliberai di muovermi in una certa direzione. Colpito tra l’altro da varie audacie e bizzarrie compiute dalla nobile imperiale creatura.

L’astronave a vapore a lampadario dell’ultimo carico di nuovi coloni si era appena posata sugli innumerevoli trampoli geodetici agravitazionali che la tipa, senza attendere che la macchina imponente finisse di aggiustarsi sui trampoli, si fece eiettare da un’uscita laterale e, messi in funzione i retrorazzi scapolari, dopo aver compiute alcune evoluzioni da applauso nell’aria, atterrò proprio fuori lo steccato che delimitava l’area di atterraggio dell’astroporto.  A un metro appena dalla gente, che fu subito in subbuglio, con gli uomini che facevano tanto d’occhi e le donne rosicone altrettanto.

“Accidenti che roba” fecero gli assatanati più vicini. Lara Croft sfigurava nei confronti della tipa, la turista o  aspirante al permesso di soggiorno.

“Chi è? Che d’è,” chiedendo quelli più lontani.

“È venuta a trovarci Miss Universo,” fu il commento che chiarì la faccenda ai bassi di statura, agli ipovedenti e a quelli lontani.

Mi feci avanti.

Cavolo, avevo la responsabilità piena degli abitanti di Lapide e paesi vicini. Anche la responsabilità di quelli in arrivo, probabili futuri cittadini. Bisognava dunque mi muovessi con prontezza e decisione. Un istante per rendermi conto con quale superbo esemplare di femmina umana avessi a che fare e mi mossi, sorprendendo tutti, con prontezza mi mossi.

“Turista o emigrante?” mi affrettai a chiedere.

“E lei sarebbe?”

“Il Facilitatore Locale…”

“Ah, bene, così posso inoltrare subito istanza…” si interruppe. Diede uno sguardo panoramico intorno, sorrise, e mise mano alla pistola. La estrasse. Una pistola a Fiamma. Ultimissimo modello. Micidiale quanto il primo modello, ma capace di emettere 25 scariche ignitrone consecutive. Più d’uno mise per prudenza in funzione lo schermo freddo. Non che servisse a molto, contro uno pistola ignitrona, ma poteva salvare quantomeno dal riverbero…

“Ecco qua, guardate che meraviglia, autopuntamento, grilletto analogico digital-mentale, capace di sparare cinque colpi di seguito, dieci secondi per il raffreddamento e poi altri cinque: in tutto, come certamente saprete, venticinque colpi. Porto con me mille di queste pistole. Intendo venderle e con il ricavato comprare una farm automatizzata e mettermi nel commercio dell’Elisir di Lunga Vita interstellare.”

“Il Probono non cresce su questo pianeta…” obiettò un fesso. Avrei capito una donna. Invece si trattava di un maschio. Un fesso per vocazione, c’era da credere. Uno da escludere per sempre dalla razza umana.

“Fino a ieri, forse. Da adesso crescerà, eccome se crescerà.”

Lo disse in modo tale che nessuno ebbe dubbi sul successo dell’iniziativa. Nemmeno le donne. Che rosicarono il doppio di quanto finora avevano rosicato.

Rinfoderò la pistola, con un gesto tanto efficiente mi fece dubitare si trattasse di un pistolero, ma con una grazia che poteva essere solo di una pistolera (forse era per quello che la nomavano pistolina?); e andò subito al sodo.

“Posso contare su di lei per il permesso di soggiorno?” chiese con un sorriso che avrebbe sciolto una calotta polare.

Prima che potessi proferire verbo Mars, l’unico concorrente passabile alla carica di Facilitatore (alle ultine elezioni aveva perso per una manciata di voti: quelli dei tipi a cui avevo pagato da bere la sera prima), si affrettò a dire.

“Uno stronzo che si crede qualcuno solo perché porta lo scudetto di Facilitatore…”

Urla belluine d’approvazione accolsero il commento.

“Ma fra qualche mese ci saranno le nuove elezioni e…”

“E le perderai come hai perduto le ultime. Fatti in là, Mars, ragazzo. Fammi fare il mio lavoro…”

Si inalberò all’istante. Si inalberava sempre all’istante, con me, Mars. Cercava costantemente scorciatoie che lo portassero alla carica di Facilitatore pur senza averne i titoli. Alias voti.

“Ragazzo? Te lo faccio vedere io se sono un ragazzo o un uomo. Sul dietro dei Magazzini Allcut. Che ne dici? Io e te faccia a faccia, ognuno con una mannaia in mano…”

“Ci provi sempre, eh, tu Mars? Sempre con le tue cazzate e i fottutissimi duelli rusticani.”

Pistolina si girò per rivolgere a quello dei fratelli Mars che aveva parlato un sorriso da solo doppio, del tipo probabilmente che solo lei sapeva  emettere. Gli sorrise e gli rivolse un gesto di simpatia, come per dire “su su, non vale la pena litigare, lasciamo perdere…” dopo aver detto “grazie. Ho apprezzato moltissimo il suo intervento.” Parlaa molto con i sorrisi la tipa.

Tuttavia e a me che si rivolse per ulteriori informazioni.

“Buongiorno, Signor Facilitatore. Piacere di averla conosciuta. Sarebbe così cortese di fornirmi indicazioni su dove potrei alloggiare?”

Stavo già, preso dagli automatismi proprio al mestiere, per dirottarla su Pitale quando incontrai i suoi occhi azzurri, occhi di mare, occhi di cielo, occhi lucenti, specchi in pura trasparenza e seppi di non potere. Non poter più staccarmi da essi.

“La vedova Lin,” mi affrettai a dire, prima che qualcun altro ci mettesse il becco. La vedova Lin era mia amica, mi avrebbe certamente favorito. “È economica, pulita e non è una ficcanaso. Che ne dice?”

“Ottimo. Vada per la vedova Lin, allora. Chi mi ci porta?”

Mars che per tutto il tempo del breve scambio di battute era stato a guardarsela, come tutti gli altri del resto, senza smettere di ammirare, e ghignare, rivolse un cenno al fratello quindicenne, un discolo come pochi e dicendo “Venus” solo Venus e non altro, risolse la questione. Prima che potessi offrirmi Venus si fece avanti, un fulmine questo Venus, prese la 24 ore di Pistolina, apparentemente tutto il suo bagaglio, e “ci penso io” dicendo, invitò l’angelo sceso direttamente dal cielo a seguirlo.

“Più tardi la vengo a trovare,” articolò Mars mentre i due si avviavano.

Lei si voltò un sorriso tutto denti e consentì.

“L’aspetto,” dicendo.

Avrebbe aspettato invano, decisi. Sull’istante. Decisi che nulla mi avrebbe fermato dal fermare Mars. Per prima cosa allora convocai l’assemblea plenaria degli abitanti di Lapide, il paesino emergente di undicimila anime la cui presenza nella Costellazione aveva costretto le Autorità Galattiche a iscrivere il pianeta negli Annuari dei Tracciati di Rotta Commerciali quale stazione di posta di Secondo Grado. Un gran colpo di culo, quello. Che aveva prodotto immediati frutti. Il migliore dei quali essendo Pistolina. Appunto per lei avevo convocato la riunione. Subito dopo procedetti frettoloso da Mars. Prima che Mars stesso potesse affrettarsi verso la bellissima nuova venuta.

“Mars,” gli dissi. “Ho bisogno di te a Pitale. Subito.”

“Guarda, guarda,” replicò lui. “È la prima volta che chiedi una cosa del genere, se non sbaglio.”

“Esatto. Ma non sei stato proprio tu a insistere per avere qualche incarico dalla Facilitazione per arrotondare?”

“E non sei stato proprio tu a dirmi no? No e poi no. Sempre no?”

“Ho cambiato idea. Adesso mi servi là, a Pitale. Per svolgere una missione delicata.”

“Ma guarda un po’, proprio oggi… ma va bene, accetto. Ci andrò domani. Domani sono libero…”

“Mi serve che tu ci vada adesso. Subito. Che compili una relazione sui nuovi venuti, le amicizie che hanno in loco, se ne hanno, che li intervisti uno per uno e prepari una relazione. Un paio di giorno, quattro pagati, dovrebbero essere sufficienti.”

Silenzio.

“E se ti dicessi di no.”

“Ti precetto e ci vai lo stesso. Senza paga, naturalmente.”

“Sei una carogna, Facilitatore.”

“Se non lo fossi non sarei Facilitatore.”

“Vai a fare in culo, stronzo. Oggi io ho da fare.”

“Sei precettato, amico. Parti, o tra cinque minuti spicco un mandato di cattura.”

Fece atto di mettere mano alla vecchia pistola a Fiamma. Lo lasciai fare. Ero molto più veloce e il due colpi d’ordinanza che avevo al fianco, il suo solo uno, emanavano ognuno un fascio di fuoco distruttivo quadruplo. Non c’era partita tra noi. Digrignò i denti, si trattenne.

“Eheee!” udii. “Che succede qui?” La voce di Venus. Alle mie spalle. “Gli devo sparare a sto tipo?”

“No Venus. Troppo rischioso. Capace che decidono di impiccarci, poi. No, non alle spalle. E faccia a faccia però non avresti alcuna possibilità…”

“Che faccio allora?”

“Parti con me a Pitale…”

“Cosa cosa?”

“Partiamo Venus. Il Facilitatore mi ha precettato.”

“Hahaa!” fece. E poi. “Ah! Ah! Ah!” Risata. “Ti vuole impedire di andare dall’immigrata.”

“Esatto. La vuole tutte per sé… non ama la concorrenza il Facilitatore.”

Il ragazzetto finalmente smise di parlarmi da dietro le spalle e potei rilassarmi. Avvicinò il fratello per sussurrargli qualcosa nell’orecchio. Il viso corrusco di Mars immediatamente spianò. Un risolino cattivo mi fece intendere che aveva ricevuto una buona notizia.

“Eggià, una terrestre…” disse in tono ancora più cattivo.

Non me ne preoccupai. Mars era sempre stato un po’ razzista. Si consolasse pure dietro il suo razzismo. A me non importava se Pistolina al dunque fosse risultato essere  un Clone o, peggio, un Duplo programmato a tavolino. Si sa che i Duplo sono tra gli esseri più perfetti della galassia. Anche se ordinariamente sterili rendevano però la vita dell’umano che accettava di associarsi con loro un vero Eden di gioia. E poi questa neo immigrata , pantera leoparda gatta o tigre, morbida e soda nello stesso tempo, occhi blu mare, grandi occhi che emanavano, emanavano, emanavano… macchisenefregava fosse nata da un’altra femmina o in una vasca amniotica.

Non appena libero dai due provvidi all’organizzazione materiale della riunione plenaria convocata per deliberare sull’istanza verbale di Pistolina. Volevo ci fosse un sacco di gente, quella sera. Più ngente, più confusione, più contrasti, meglio avrei potuto fare come mi pareva. Inviai messaggi, sguinzagliai auto automatiche con trombettiere e banditore incorporati, affissi alcuni manifesti davanti ai locali e feci passare la voce in giro. Avevo fretta. Fretta di concludere, prima che qualche altro pretendente si facesse avanti. Prima dell’eventuale ritorno anticipato di Mars. Avevo buone carte, le avrei giocate. Se la ragazza ci teneva alla cittadinanza chi meglio di un Facilitatore poteva dargliela? Io, il miglior amico, l’unico utile su cui appoggiarsi…

Infine attrezzai la sala grande. Sarebbero accorsi in molti. Ne ero sicuro. Come infatti. Il pienone. La sala, solitamente mezza vuota, non bastò a contenere curiosi e interessati. Vi fu persino qualcuno costretto a assistere standosene all’esterno della sala. Feci aprire porte e finestre, tutti affacciati verso l’interno invece che verso l’esterno e salii sulla pedana presidenziale. La prima cosa, pretesi che i presenti consegnassero le pistole a fiamma. Anche quelle piccole che le tettone tenevano appese tra i seni quasi si trattasse di un ciondolo.

“Ma hanno uno portata di soli tre metri!” protestarono le pie donne non appena aprii bocca. “Una donna ha tutto il diritto di difendersi.”

“Ci sono qua io, gioia. Faccio il culo al primo che osa allungare una mano.”

“Seeee, figurati. Gliela brucio io la mano a quello.”

“Appunto, è proprio questo che voglio evitare. Monchi ce ne sono fin troppi in giro in queste nostre plaghe!”

Ce n’erano almeno una decina. Non erano di più perché i saggi lapidesi avevano preso l’abitudine di indossare lunghi guanti ignifughi lunghi fino all’ascella.

Brontolando le donne vennero a consegnare i loro spruzzetti lanciafiamme. Non senza lanciarmi occhiate di fuoco. Qualcuno sputando anche di lato per manifestare noncuranza e disprezzo.

“Tu nel mio letto non ci entri, non ci entri proprio, cane rognoso.”

“A me basta tu continui a darmi il voto. Per il resto è tutta tua rimessione.”

“Presuntuoso…”

“Che ne sai tu? Mica siamo stati insieme. Ora però esigo mi sia data la possibilità di dimostrare che non lo sono.”

Grida indignate da tutte le parti. Qualcuno prese la sedia che si erano portato da casa e la scagliò contro la presidenza. Alla ‘ndo cojo cojo. Ovverossia, come diciamo noi di Lapide a scrapatuni. L’afferrai al volo e l’usai per sedermi. Un applauso indicò che la parte peggiore era iniziata.

“Come certamente sapete abbiamo appena avuto l’onore di ricevere una richiesta di rifugio da parte di un abitante, pensate un po’, della buone vecchia Terra…”

Risatacce mi interruppero. Lanci di ortaggi, uova, preservativi usati. Dovete compatirli questi miei esuberanti compatrioti. Non hanno frequenti occasioni in cui divertirsi. Solo duro lavoro e poi duro lavoro e poco altro. Cosicché sfogano la tensione accumulata non appena possono. Non appena si ritrovano insieme e possono spalleggiarsi gli uni con gli altri. Picchiai un paio di volta con il martelletto, tanto per far vedere che facevo qualcosa e lasciai si sfogassero. Ci volle un bel po’ prima che si stancassero. Un bel po’ di occhi neri e denti rotti. Approfittai del quarto d’ora, minimo, di pausa rissa per studiare la nuova venuta. Se ne stava buona buona come da tradizione nella gabbia degli imputati osservando con un sorrisetto divertito sulle labbra la gran bolgia in cui si era trasformata l’assemblea. Le peggiori naturalmente erano le donne. Non solo per il fatto che ficcavano le dita negli occhi e infliggevano atroci punizioni agli innocenti gioielli degli uomini, ma per le urla belluine che lanciavano ogni volta che venivano colpite; urla che non erano nulla in confronto a quelle che lanciavano quando colpivano.

“Vuole ancora stabilirsi tra noi?” chiesi alla deliziosa creatura, rigorosamente in gonna a campana da provetta pioniera. 

“Ora più che mai,” sussurrò per tutta risposta. E poiché la guardavo con fare interrogativo aggiunse: “Machi molto machi i maschi di questa parti. Molto cazzuti. Devono esserlo, per poter sopravvivere. Non trova? Non trova siano interessanti?”

Trovavo. Selezione naturale si chiama. Il più forte che si mette in mostra e viene scelto. La più manesca che a sua volta dimostra di essere all’altezza del cazzuto e viene scelta. Perché mai però fosse tanto contenta dei tanti “cazzuti” in circolazione non me lo spiegavo proprio. Una del posto, abituata fin dall’infanzia, se lo poteva permettere un maschio simile. Sapeva come rispondere. Ma una come lei? Gentile cittadina terrestre, bei modi, mani curatissime, ottime per porgere una pistola a fiamma su un panno di oltruto venusiano, verde o rosa, a seconda del richiedente, ma a darle sul muso di questa o quella, non ce la vedevo proprio. Lei era tipo per passacarte, professionisti, scrittori o roba del genere. Ma dei cazzuti cosa se ne faceva?

“È sicura?” insistetti. Giusto per far vedere che insistevo, per salvare la faccia e mostrare che sono uno che opera con scrupolo. Che anche io, nel mio piccolo, ero cazzuto.

“Sicurissima. Le pistole a fiamma da queste parti sono sicura andranno come il pane. Specialmente tra gli immigrati. Ognuno dovrà averne una, se intende campare.”

Ah, ecco, si trattava di fiuto per gli affari. Allora probabilmente aveva già fiutato che ero io l’affare più conveniente.

Ci pensai un po’ su e, mentre la bolgia raggiungeva il massimo consentito, il massimo che normalmente consentivo, feci la mia offerta.

“Mettiamo su casa insieme?”

“Ehee! Mi dia tempo di disfare i bagagli!”

“È su Lapide, o lo ha dimenticato?”

“Non vuole pensarci su un po’ prima. Che so, conoscermi, sapere di me ecc.”

“Siamo fatti così noi di Lapide. Istintivi. Decisionisti. Napoleonici.”

“Napoleone? WATERLOO? Magari poi si pente…”

“Non mi sono pentito mai, in vita mia.”

Non stette a pensarci su ulteriormente.

“Va bene, allora. Accasiamoci…”

Una stretta di mano e concludemmo.

Mi piacque la sua stretta di mano. All’altezza delle più nerborute di Lapide. Una mano di ferro. Sulla quale però non individuai i calli delle concittadine, ma il morbido liscio di una pelle che non aveva mai avuto a che fare con detersivi, pentole da pulire e carichi di carbone da trasportare. Che, naturalmente, non aveva nemmeno dovuto produrlo quel carbone. Niente fatiche da carbonaie, per lei. E nemmeno per mietiture e raccolta frutta. Il solo beneficio di quelle mani valeva il compromesso di quel contratto matrimoniale.

Fu più o meno a quel punto che iniziarono a comparire i taser. Proibitissimi. Ma non c’era modo di rilevarli. Gli ultimi modelli infatti erano schermati contro l’attività di scandaglio degli scannerizzatori.

“Richiesta accettata,” gridai battendo il mazzuolo dove capitava. “Riunione conclusa.”

La rissa immediatamente si interruppe. Tutti mi fissarono stupiti.

“Ma come? Senza dibattito?”

“Avete tutti quanti parlato abbastanza mi pare. Qualcuno ha forse qualcosa da aggiungere?”

Nessuno aveva qualcosa da aggiungere. Erano tutti alquanto malconci. Quel che li rendeva perplessi era non avessero votato.

“Beh,” dissi. “Non mi dite che avete intenzione di respingere una richiesta da parte di una terrestre. Faremmo sghignazzare l’intera galassia…”

“Sei un vecchio porco imbroglione!” mi elogiò una tizia. Alta due metri, larga uno e mezzo, faceva paura solo a guardarla.

“Senti,”replicai. “Tu hai una seconda casa, mi sembra. Una  baracca più o meno. Me la cedi? O meglio, ce la cedi?”

“Ahaaa!” fece lei. “Ecco cosa. Palese conflitto d’interesse, mi sembra.”

“Macché conflitto d’interesse!” gridò un’altra. “Una marchetta, ecco cosa.”

Gli uomini tacevano. Mi fissavano torvi. Perché avevo ottenuto relativamente a buon mercato quel che avrebbero dato un braccio per avere. Uno solo, uno rideva. Ma sotto i baffi. Cercando non farsi vedere.

Un tizio di nome Phobos, lontano parente di Mars.

“Che hai da ridere tu?”

“Niente. Non rido mai sulle disgrazie altrui…”

Si tratta di una subdola vendetta psicologica di Mars, argomentai. Per avvelenarmi gli ultimi istanti prima della felicità. Feci spallucce. Chiusi l’ufficio, chiusi a doppia mandata la camera da letto sul retro, la camera del Facilitatore e andai con Pistolina a prendere possesso della baracca che sarebbe stata il nostro nido d’amore.

“Hai parlato con Venus?”

“Sì, l’ho visto.”

“Ti ha detto tutto vero?”

“Tutto cosa?”

“Non ti ha confessato cosa ha fatto il mascalzoncello? Strano. Li facevo più pettegoli, gli uomini…”

Eravamo arrivati alla baracca nido d’amore. Dentro però era abbastanza pulito. Anche il letto decente. Per quello che doveva servire era il massimo a cui poteva aspirare un uomo. Letto a sospensione, naturalmente, con vibrazione incorporata, specchi a ogni parete, luci soffuse e tutto il resto. Cominciai a spogliarmi. Cominciò a spogliarsi.

“Proprio un porcellino questo tizio. Non si è arrampicato fino alla finestra del prima piano per guardarmi mentre mi spogliavo.”

“Io, alla sua età, ho fatto lo stesso decine di volte.”

“Sì, ma poi lui, quando mi ha vista, mi ha pure insultata.”

“Ma davvero!” Non credevo ai miei orecchi. L’avrei preso a calci, la prima volta l’avessi incontrato.

“Aha!” Mi ha gridato spalancando la finestra. “Allora è proprio vero quel che si dice dei terrestri!”

“Vero cosa?”

“Davero non lo sai?”

“Non mi occupo di pettegolezzi.”

Sedette sul letto, rabbuiata.

“Che c’è?”

Non rispose. Alzò la testa di scatto.

“Inutile indugiare. Se non lo sai è bene tu lo sappia. Subito.”

Paventai immani disgrazie, crolli di galassie centrali, stermini di intere comunità, l’Apocalisse. Si dimostrò peggio. Molto peggio. Una vera autentica sciagura. Nonostante bellezza e gonna, Pistolina solo metaforicamente (metafora soggettiva) poteva essere definito donna.

Tirò su la gonna e così anch’io seppi.  Quel che mai avrei voluto sapere. E invece seppi. E patii.

*

Astronavi Classe Lara Croft

 

Miglieruolo
Mauro Antonio Miglieruolo (o anche Migliaruolo), nato a Grotteria (Reggio Calabria) il 10 aprile 1942 (in verità il 6), in un paese morente del tutto simile a un reperto abitativo extraterrestre abbandonato dai suoi abitanti. Scrivo fantascienza anche per ritornarvi. Nostalgia di un mondo che non è più? Forse. Forse tutta la fantascienza nasce dalla sofferenza per tale nostalgia. A meno che non si tratti di timore. Timore di perdere aderenza con un mondo che sembra svanire e che a breve potrebbe non essere più.

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