Bolivia: lo scempio

Evo Morales da tempo non era più l’indio ribelle che toglieva il sonno a Washington. L’ultradestra ha sfruttato nel modo migliore le sue enormi contraddizioni, e quelle del Movimiento al Socialismo, per dare vita ad un colpo di stato apertamente programmato e capeggiato da fondamentalisti religiosi quali l’autoproclamata presidenta Jeanine Añez e il picchiatore Luis Fernando Camacho. In gran parte svuotati e cooptati dalle politiche di Evo, i movimenti sociali sono costretti a fare i conti con le violenze dei fascisti dei comitati civici dell’Oriente boliviano. La situazione resta difficile da decifrare e molteplici sono le interpretazioni di quanto sta accadendo.

di David Lifodi

Foto: Resumen Latinoamericano

Evo Morales non avrebbe dovuto ignorare il cosiddetto 21 F, il referendum del febbraio 2016 che aveva sancito il “no” della maggioranza degli elettori alla sua candidatura per un nuovo mandato, il quarto. Probabilmente, per lui e per il Movimiento al Socialismo, quello è stato l’inizio della fine. Successivamente, nel 2017, le manovre affinché la Corte Costituzionale non considerasse gli articoli della Costituzione che concedono la possibilità, ad un candidato, di essere rieletto per una sola volta, hanno destato molteplici perplessità. Al tempo stesso, da tempo era evidente che Morales non fosse più quello che tanti anni fa rappresentava una spina nel fianco degli Stati uniti. La politica di cooptazione dei movimenti sociali e il pasticcio della questione del Parco Nazionale Isiboro-Sécure (Tipnis), in precedenza, avevano già rappresentato degli scempi rispetto alle aspettative riposte nel Mas, in Evo e in García Linera.

Tuttavia, è altrettanto innegabile che, aldilà delle diverse opinioni sull’esito delle elezioni dell’ottobre scorso e sulle modalità del conteggio che, tra mille contestazioni, hanno assegnato a Morales la vittoria, scatenando poi la crisi che ha costretto Evo prima alle dimissioni e poi alla fuga in Messico, siamo di fronte ad un colpo di stato. La destra, in particolare quella composta da fondamentalisti religiosi, ha sfruttato nel migliore dei modi le contraddizioni e gli errori del presidente indio, prendendo all’istante la guida della protesta. Sotto certi aspetti lo schema è stato quello della manifestazioni di anni fa contro Dilma Rousseff in Brasile, nate inizialmente dal Movimento Passe Livre, di origine libertaria, contro l’aumento del prezzo del trasporto pubblico e le grandi opere in vista di Olimpiadi e mondiali di calcio, e poi monopolizzate da gruppi di ispirazione fascista, nazionalista ed evangelica.

La situazione è assai complessa e il futuro della Bolivia non si prospetta roseo. La faccia spiritata di Luis Fernando Camacho, picchiatore dei comitati civici di Santa Cruz, unita alla rapidità con cui la senatrice Jeanine Añez si è impadronita della presidenza ad interim prendendosi il Palacio Quemado di La Paz grazie ad un Parlamento dove erano presenti soltanto gli oppositori di Morales e del Mas, e quindi in aperta violazione costituzionale, fanno presagire che il paese non vedrà presto una pacificazione. Va inoltre sottolineato che il colpo di stato è stato contrassegnato dalla destra religiosa. L’attuale presidenta della Bolivia è quella che solo alcuni fa sognava “un paese libero dai riti satanici degli indios”.

La minaccia dello stesso Camacho, “la Bibbia tornerà al Palazzo di governo”, non sorprende e Jeanine Añez l’ha messa subito in pratica. Ben prima che si tenessero le presidenziali, nell’Oriente boliviano era già pronto un piano per accusare Morales di frode elettorale. La provenienza di Camacho, del resto era nota: suo padre e il suo fratellastro agirono come paramilitari in occasione del colpo di stato di Hugo Banzer all’inizio degli anni Settanta. Luis Fernando Camacho, come Bolsonaro, più volte ha parlato in pubblico circondato da pastori evangelici, con la Bibbia, il rosario ed un’immagine della Madonna, presentando le elezioni come una guerra tra il bene e il male, alternando dei ragionamenti politici e a dichiarazioni apocalittiche. Tra i suoi alleati spicca il vescovo ausiliare di Santa Cruz, quell’Estanislao Dowlaszewicz che l’11 novembre scorso, presiedendo una funzione religiosa, parlava di “resurrezione di una nuova Bolivia” e ringraziava la polizia per aver rimosso con violenza i blocchi stradali di protesta contro il colpo di stato.

In questa fase del golpe merita anche una breve riflessione l’atteggiamento della polizia, che proprio ieri ha represso senza pietà una manifestazione pro-Evo. Nel 2008 fu di nuovo la polizia a rifiutare di riconoscere Morales, mentre le Forze armate, dopo i primi giorni di silenzio, hanno chiesto la rinuncia dell’ormai ex presidente del paese il quale, dal Messico, continua, almeno a parole, ad insistere con una narrazione antifascista ed antimperialista che però, da anni, non corrisponde ad una pratica fatta di stretti rapporti con le elites imprenditoriali del paese. A questo proposito Raul Zibechi, che non è mai stato tenero con la presidenza Morales, ha scritto: “i principali movimenti hanno chiesto le dimissioni prima che lo facessero le forze armate e la polizia. La situazione critica in Bolivia è iniziata con l’attacco sistematico del governo di Evo Morales e Álvaro García Linera ai movimenti popolari che li hanno portati al Palacio Quemado. La mobilitazione sociale e il rifiuto dei movimenti di difendere quello che consideravano il “loro” governo è stato ciò che ha provocato le dimissioni. Lo attestano le dichiarazioni della Central Obrera Boliviana, dei docenti e delle autorità dell’Università Pubblica di El Alto, di decine di organizzazioni e di Mujeres Creando, forse la più chiara di tutte. La dichiarazione della storica Federación Sindical de Trabajadores Mineros de Bolivia (FSTMB), vicina al governo, è l’esempio più evidente del sentimento di molti movimenti: “Presidente Evo hai già fatto molto per la Bolivia, hai migliorato l’istruzione, la salute, hai dato dignità a molti poveri. Presidente, non lasciare che il tuo popolo bruci e non fare altri morti. Tutte le persone ti apprezzeranno per la posizione che devi ricoprire e le dimissioni sono inevitabili, compagno Presidente. Dobbiamo lasciare il governo nazionale nelle mani del popolo”.

Al tempo stesso, la situazione boliviana resta difficile da decifrare e assai diverse sono le opinioni su quanto sta accadendo. Da una parte, gli errori di Morales e le sue ambiguità, dalle posizione apertamente pro estrattivismo alle politiche clientelari che hanno finito per svuotare i movimenti, dall’altra le azioni squadriste dei paramilitari, che da tempo attendevano di poter incendiare impunemente la wiphala, la storica bandiera che rappresenta le popolazioni indigene latinoamericane, e dare l’assalto alle abitazioni di numerosi esponenti del governo del Mas.

Qualsiasi interpretazione si possa dare dell’attuale situazione boliviana, non si può far altro che constatare lo scempio in corso e pensare che, nel breve periodo, sarà difficile vedere la piccola Bolivia come esempio di resistenza, ora che si trova nelle mani di tanti piccoli Guaidó e Bolsonaro.

 

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

3 commenti

  • Il golpe in Bolivia e le patriarche

    https://coordinamenta.noblogs.org/post/2019/11/13/il-golpe-in-bolivia-e-le-patriarche/

    In Bolivia è stato messo in atto un colpo di Stato organizzato come al solito e per l’ennesima volta in America latina dalle oligarchie locali e dagli Stati Uniti che non intendono rinunciare a nessun titolo e in nessun caso alla predazione delle risorse del . Il tentativo di grande trasformazione cominciata a cavallo degli anni duemila in senso socialista di molti Stati del Sudamerica, in un contesto di povertà endemica e profonda e di colonizzazione atavica, aveva fatto sperare in una possibile autonomia dagli avvoltoi Usa e dalle multinazionali.

    Ci vengono in mente diverse riflessioni, generali e nello specifico della nostra lotta di donne. La prima riguarda il fatto che il miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni autoctone che è stato tentato e in parte attuato in Venezuela, in Bolivia, in Argentina, in Brasile…ha portato anche alla nascita di una piccola borghesia che si è sentita più vicina al grande capitale che al tentativo socialista che l’aveva creata. In questo senso va letto il linciaggio nel 2016 di un viceministro del governo Morales fatto da quelli che la stampa ha definito minatori ma che in effetti erano padroncini che volevano vantaggi e garanzie. Quando, come Coordinamenta, abbiamo studiato e parlato delle lotte del Black Panther Party negli Usa, negli anni ’60 e ’70, è stato evidente che uno dei meccanismi che hanno portato alla sconfitta di quell’esperienza di liberazione è stata, da parte del governo statunitense, la divisione di una classe in lotta che fino a quel momento era stata omogenea con la creazione di una piccola borghesia nera i cui interessi erano diventati in questo modo divergenti da quelli della popolazione nera in generale che era costituita tutta da poveri, accomunati da un isolamento rispetto a qualsiasi possibilità di partecipazione alla società dei bianchi. Obama viene da qui. Ne deriva quindi la necessità di porre molta attenzione, nel percorso di attuazione di riforme e tentativi di uscire dai diktat della società capitalista e neoliberista, a quelle che sono le modificazioni sociali messe in atto e studiare delle contromisure. Questo vale chiaramente anche per la lotta di liberazione di noi donne che sta seguendo un percorso simile. L’emancipazionismo è stato usato dal neoliberismo come arma per dividere l’insieme delle donne, tutte asservite dal patriarcato, inglobando nelle sue file quelle che noi abbiamo definito patriarche, interessate, coinvolte e partecipi dei progetti del grande capitale. Non è un caso infatti che la presidente ad interim nominata dai golpisti in Bolivia, Jeanine Anez, sia una donna.

    Ne deriva un’altra considerazione. Quando, per una serie di circostanze favorevoli, che tra l’altro raramente si presentano attraverso quelle che vengono chiamate “democratiche elezioni”, riescono ad andare al governo partiti, esperienze di sinistra, chiaramente degne di questo nome, che intendono porsi il problema di modificare lo stato delle cose, allora si devono assumere la responsabilità di andare fino in fondo, vale a dire di sostituire, cambiare radicalmente gli apparati che fino a quel momento hanno costituito l’ossatura del potere, dai vertici militari alla magistratura , agli apparati burocratici…pena il fallimento di ogni tentativo di modifica anche in senso solamente socialista della società.

    E questo vale anche per la nostra lotta di liberazione: denunciare senza sosta l’uso che viene fatto attualmente della nostra oppressione da parte del neoliberismo, non stancarsi mai di denunciare il ruolo delle patriarche, rifiutare qualsiasi tipo di compromesso con il potere, rifiutare nel movimento femminista tutte quelle i cui interessi sono quelli della classe dominante.

    Coordinamenta femminista e lesbica

  • Un articolo orrendo, ignorato il ruolo degli USA, dei paramilitari. Date l’impressione che ci fosse una destra con appoggio sociale.
    Le confusioni sugli scrutini non sono quelle che citate qui, Morales ha ottenuto il 48% del consenso, lo dichiara anche la OSA, il contendere era sulla differenza che, comunque, era attorno al 10%.
    Vi annoverate trai golpisti. Evo non è stato vittima di un golpe per gli “errori” piuttosto per le cose portate avanti grazie a una politica antimperialista con l’uso dello stato al centro della organizzazione della produzione, la distribuzione della ricchezza e dei servizi sociali. Con una politica di integrazione continentale di avanguardia come l’Alba, Unasur, ecc

    • Si possono dare diverse interpretazioni su quanto sta accadendo in Bolivia, ma io ho scritto chiaramente, e a più riprese, che si tratta di un colpo di stato condotto dai comitati civici dell’Oriente boliviano, equivalenti ai paramilitari, anche se non ho usato questo termine, segnalando più volte gli episodi di violenza di cui si sono resi protagonisti.
      Di destra con appoggio sociale non ho mai parlato e, di conseguenza, non mi annovero di certo tra i golpisti, basta leggere l’articolo con attenzione, a meno che non sia possibile nemmeno criticare le politiche di Morales e del Mas. Mi sono limitato a segnalare alcune criticità e ambiguità. Peraltro persone ben più competenti di me da anni vanno segnalando ciò che ho riportato anch’io, da Zibechi a Oscar Oliveira, storico esponente delle battaglie per l’acqua di certo non assimilabile alla destra. Sia ben chiaro, non sono per niente contento del colpo di stato.
      Non ho citato gli Stati uniti soltanto perché ho concentrato l’articolo su uno degli aspetti principali del golpe, quello del fondamentalismo religioso, ma ne ho scritto in passato. Leggi qui:https://www.labottegadelbarbieri.org/bolivia-evo-spera-nel-quarto-mandato/
      Concordo sul fondamentale ruolo svolto da Morales in Unasur e negli altri organismi di integrazione continentale, un po’ meno sulle politiche sociali che hanno permesso si alla Bolivia di far uscire molte persone dalla povertà, ma in chiave talvolta assistenzialista, come nel Brasile lulista, e anche di questo poi ne ha approfittato l’estrema destra.
      L’estrattivismo è un altro grande tallone d’Achille, secondo me, non solo di Morales, ma anche di altri governi di sinistra della regione, a partire dall’ex presidente dell’Ecuador Correa, ma questo non significa certo che sia giustificato un colpo di stato.
      Sulle elezioni, io non ho mai scritto, come hanno fatto altri, che c’è stato un broglio sicuro, ne ho citato percentuali. Piuttosto, cosa avremmo detto se invece che Morales fosse stato un personaggio come Bolsonaro a ricandidarsi dopo aver perso un referendum? E poi: possibile che non si possano esprimere delle riserve sul Mas senza essere tacciati automaticamente di golpismo?
      Aldilà della diversa analisi sulla presidenza Morales basterebbe confrontarsi più civilmente senza dire “articolo orrendo” o altro.

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