Bologna: a proposito di un tragico tentato suicidio

di Vito Totire (*)

Non riduciamo un tragico evento alla “cronaca nera”

LA NOTIZIA

Una donna trovata ustionata, al quartiere Barca di Bologna, sul 90% del corpo è ora in fin di vita. L’ipotesi che prevale fra gli investigatori è che sia stato un tentativo di suicidio. La donna era senza documenti ed è stato difficile identificarla: ha 60 anni ed è di origine marocchina, abita a Bologna da 14 anni.

IL COMMENTO di Vito Totire

Ci è giunto un messaggio watshapp che parla di una grave forma di depressione a monte del tragico evento del quartiere Barca: ricorda le carenze della psichiatria, dice che le “PILLOLE NON BASTANO” e che c’è bisogno di centri di socializzazione.

Di certo la prevenzione del suicidio a Bologna è un tabù, un argomento che tanti preferiscono rimuovere dalla coscienza sia prima che persino dopo tragici eventi come questo.

Negli eventi verificatisi a Bologna negli ultimi anni è stata accuratamente evitata una discussione pubblica su cause e possibilità di prevenzione; dall’ultimo suicidio in carcere a quello che si verificò in questura qualche tempo fa.

Auguriamo salute e vita alla signora del quartiere Barca ma, almeno questa volta, occorre evitare la solita rimozione.

Quali le cause del disagio, quali i rimedi preventivi possibili?

Alcune città europee e del mondo (soprattutto nord Europa) si sono date programmi di prevenzione: prima ipotizzati poi discussi e gestiti con la partecipazione attiva di tutta la comunità.

L’andamento degli eventi suicidari negli ultimi decenni (recentissimo un reportage di Pino Arlacchi su “Il fatto quotidiano”) ha subìto un benefico “crollo” a livello mondiale, soprattutto per le donne che in alcune aree del pianeta sono uscite da condizioni di vero e proprio schiavismo. Questo andamento conferma il nesso con gli “eventi della vita” piuttosto che con presunte e mai dimostrate componenti biologiche.

Ma un lavoro enorme c’è ancora da fare soprattutto nelle aree (ma anche nelle piccole nicchie territoriali) di povertà, materiale e/o psicologica che sia.

Per il “sucidio” nella questura di Bologna chiedemmo le dimissioni del questore: non s’è mossa foglia nelle istituzioni, nemmeno per respingere la richiesta avanzata. Nelle istituzioni rimaste “totali” evidentemente qualcuno ritiene il suicidio un evento inevitabile; o peggio lo considera uno spiacevole episodio che disturba l’immagine di comunità che si vorrebbero immacolate.

Per l’ultimo episodio luttuoso del carcere di Bologna (guarda caso una persona provenente dal quartiere Barca) abbiamo presentato un esposto alla Procura; nessun segnale e non da oggi ma dal 1986.

A monte del dramma della Barca si intravedono i soloti, frequenti fattori di rischio: immigrazione, solitudine, coazione, abbandono, povertà…

Dobbiamo cercare di dare una risposta collettiva a questo disagio che ormai emerge anche fin troppo alla luce del sole.

Bologna, 29 agosto

(*) Vito Totire è psichiatra e portavoce del Circolo Chico Mendes e del Centro Francesco Lorusso

 

Redazione
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2 commenti

  • Daniele Barbieri

    Come era da temere la donna è morta.
    Un “caso” chiuso?
    Ecco la lettera-appello di VITO TOTIRE a chi abita a Bologna.
    «Morte al quartiere Barca .In verità siamo tutti sulla stessa barca e la coesione sociale sarebbe un bene per tutti
    L’esito era purtroppo prevedibile; la struttura super specialistica di Cesena non ha potuto fare di più; la povera donna, sessantenne, “marocchina” , è morta.
    Silenzio assordante sulle possibilità di adottare una strategia di prevenzione; è un po’ poco infatti parlare di “questioni familiari”. Tutti ne hanno; se le “questioni familiari” si intrecciano con problemi di solitudine, di scarsa coesione sociale, di emarginazione , di assenza o inadeguatezza di sensori o di scarsa capacità di ascolto, tutto questo costituisce terreno di coltura per immani lutti.
    Soltanto poche settimane fa a Bergamo si è consumata un’altra tragedia; vittima una ragazza di 19 anni morta ustionata da un incendio mentre era legata ad un letto di contenzione. In questo caso ci sono stati – in comune con l’evento luttuoso del quartiere Barca – il fuoco e la pulsione suicida. La contenzione fisica che i “terapeuti” hanno messo in campo per “guarire” la giovane ragazza ha agito in sinergia col fuoco nel determinarne la morte.
    Quello di cui non si parla quasi mai è il possibile programma di prevenzione. Eppure esistono esperienze in Europa e nel mondo. A Los Angeles agli inizi degli anni settanta il Centro per la prevenzione del suicidio ha lanciato un programma , fortemente centrato sulla “prevedibilità” dei comportamenti e sulla possibilità di avviare un “contratto” tra le persona a rischio e l’operatore sociale che potrebbe prenderla in carico. Il 75% delle persone che tentano il suicidio manda (secondo la esperienza di Los Angeles) un messaggio esplicito ad una persona significativa con cui intrattiene rapporti (il medico di base, un operatore sociale, un insegnante, un familiare un amico).
    Per la povera signora del quartiere Barca non è stato così? Un fulmine a ciel sereno, un gesto assolutamente imprevedibile? Non è credibile. Le cronache riferiscono di una “grave depressione” legata anche alla vicenda di un figlio destinatario di provvedimenti restrittivi. Si è cercato di affrontare il disagio con molte pillole e con qualche sprazzo di etnopsichiatria? Se è così, il tutto, non è stato “sufficiente”.
    Disse Mao tse tung: “ci sono morti che pesano come una piuma e morti che pesano come una montagna”. A questa massima – ma rovesciandola – hanno aderito molti soggetti istituzionali nel mondo.
    Vorremmo che anche questa persona morta pesasse come una montagna. Grazie anche a un cippo che proponiamo ai cittadini del quartiere di realizzare in memoria di tutte le morti evitabili causate dalla solitudine e dalla povertà.
    Certamente se fosse vivo Dodi Maracino ci avrebbe preceduto; ma i suoi amici e compagni sono certamente sulla sua stessa lunghezza d’onda e, senza dubbio, numerosissimi sono i cittadini residenti nel quartiere immuni dal disturbo psicosociale che si chiama indifferenza».
    Vito Totire è portavoce del circolo “Chico” Mendes e del centro Francesco Lorusso di Bologna.

  • Ettore Fasciano

    Dopo la morte, c’è solo il silenzio. Di fronte a questo evento tragico e irreversibile che rappresenta, insieme alla nascita, il solo evento della vita che richiede solamente rispetto, anche poichè, appunto, ne rappresenta l’aspetto fondamentale del mistero dell’essenza di essa, vogliamo, e forse dobbiamo, non dare risposte, ma porci domande. Molti, sicuramente troppi, si peritano di dissertare sull’evento tragico; un tale “miracolo” della natura mostra la caducità di una cosa tanto grandiosa come la vita umana. E credo che spesso lo si faccia proprio perchè non sappiamo come accettare l’inaccettabile. Eppure a livello sociale il quesito non si presenta così inarrivabile e inesplicabile. Perchè accadono eventi mortali così, a volte, prevedibili? Anche a questa domanda non è facile, anzi impossibile, rispondere; ma quello che la coscienza del singolo rifugge, la coscenza dell’Uomo, la coscienza dell’Umanità, sa bene cosa pensare e dire. Spesso però non ha il coraggio o l’onestà di rivelarlo. E il filosofo infatti risponde, poichè non è implicato nell’evento specifico, non si trova dinanzi ai parenti che piangono disperati o alla società che ne chiede risarcimento. Ma questo impersonale generale soggetto che pretende soddisfazione, cos’ha fatto perchè non avvenisse il triste evento? Tutti siamo rivolti ai fatti nostri e pertanto non ci “dobbiamo” curare degli altri: questo è il comandamento della nostra società umana. Ma quando avviene il “fattaccio” tutti a gridare “all’assassino!” e vogliamo “linciarlo”. Vogliamo “giustizia”, si dice.! L’unico obiettivo è tacitare la coscienza, nostra personale, e quella generale/sociale. Poi, letto l’articolo sul giornale e blaterata qualche maledizione contro chissà quale ipotetico capro espiatorio, passiamo a leggere la cronaca nera del giornale del giorno dopo. Per cercarne un’altro. Così come, invecchiando, andiamo alla pagina dei necrologi, a scaramanzia per poterla leggere ancora un giorno, così commentiamo fra noi stessi o col primo malcapitato di turno, che ciò che è “capitato” è stato per colpa di questo o quello; magari un politico, che ci sta sempre a fagiolo. Ma “il giorno prima” della “disgrazia” noi, dov’eravamo? Quando quella donna gridava il suo dolore, non abbiamo forse alzato il volume della televisione per non sentire?. Quando quel vecchio barbone dormiva sulla panchina, nel passargli accanto, non abbiamo forse rivolto lo sguardo al lato opposto della strada, affrettando anche il passo? Sì, forse, il mondo d’oggi, non sarà molto diverso da quello di ieri, qualcuno lo sostiene. Sarà forse vero, o no; ma sono certo che certi morti (molti, sempre più numerosi) sono frutto dell’isolamento, della solitudine, dell’abbandono, del disinteresse, dell’individualismo, insomma, della società come l’abbiamo creata “noi” post-moderni.! Ci siamo inventato perfino la “privacy” per giustificarci nel nostro egoismo !! Barzellette per bambini !! Sanno tutto di noi, e ci riempiamo la bocca (e le pagine) di privacy.! Ci siamo perfino inventati i selfie per metterci su Fb perfino quando ci suicidiamo. Il bisogno tremendo, il grido esistenziale, l’ultimo urlo disperato di richiesta di soccorso nella nostra dannata solitudine.! E’ triste ! E chiudo con l’ironica, ma lapidaria frase di Mr.Crocodile Dundee, che, al sapere che le amiche della giornalista newyorkese si rivolgevano al costoso psicanalista per raccontargli i loro problemi, domanda: “Ma loro non hanno amici?” Ecco, dove sono finiti gli amici??!

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